Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Per andare in ufficio con il motorino attraverso la Tuscolana andando vero fuori. Stamane guardando in alto ho visto la scia perfetta e immobile di un aereo che segnava la traccia di un percorso che poi mi ha fatto effetto ritrovare appena sopra il mio ufficio come se senza saperlo ci fossimo sfidati a chi faceva prima. Come un fachiro stamane il mio gatto Google si era steso a riposare su una sega, l'aria paciosa di sempre. Sotto, la sega arrugginita di sempre. Continuo la lettura di Inoue Yasushi. C'è un genere (un genere che chiamo ora per nome) che mi piace particolarmente. Il genere lo definisco la "Relazione personale" (un relazionare che può essere sentimentale o meno). Questi sono libri che mi piace leggere e scrivere. Relazione è Walden di Thoreau, Mattatoio n.5 di Vonnegut o questo libro giapponese.
"Considerare lo sguardo estraneo la conseguenza di un ambiente estraneo è tanto più assurdo in quanto è vero il contrario: esso deriva dalle cose familiari, delle quali ci viene sottratta l'ovvietà. Nessuno è disposto a rinunciare all'ovvietà, ognuno dipende da coase che restano docili a sua disposizione e non perdono la propria natura. Cose con cui si può trafficare senza rispecchiarsi in esse. Se ci si comincia a rispecchiare, ciò che segue può soltanto andare giù a precipizio, da ogni piccolo gesto si lanciano occhiate verso l'abisso. Sentirsi in accordo con le cose è prezioso perché ci lascia vivere. La si chiama ovvietà. Essa esiste soltanto finché non la si percepisce. Credo che l'ovvietà sia quanto di più rilassante ci sia dato. Ci mantiene a debita distanza da noi stessi". (Herta Muller - Lo sguardo estraneo - Sellerio)
Ecco ero partito da qui. Come e dove sono arrivato lo leggete al giorno di ieri. Oggi ho scritto lo spunto da cui ero partito per dire quello che avevo detto ieri.
Domani cito con più precisione visto che sono pensieri che vengono dalla Muller di cui già ho parlato. Estensioni di un passaggio del suo libro in cui reclama la piccolezza, l'ovvietà, le cose in apparenza meno profonde. Ma da qui già sto estendendo, appunto. Felice, davvero felice, lo sono stato e lo sono. Se mi ricordo il perché è un perché stupido. E allora ecco che cerco di ricavare non la legge, non dico la regola, neppure il meccanismo. Forse una contingenza. E la contingenza mi sembra che fosse/è sempre la stessa. Sono felice quando mi dimentico di me. Non che mi annulli, no. Sono felice quando sono con me, senza solo me. Sono felice quando sono uno qualsiasi, un nessuno qualsiasi. Quando tutto è pieno ma è niente. Tutto e niente. Ecco questa piccola fotografia che voglio salvare sul mio desktop, una cartolina che mi voglio spedire oggi sperando che mi arrivi un giorno, quel giorno lì, in cui mi starò domandando che cosa sono e perché non sono quello che sono. Nell'immagine a ben vedere non mi si vede. L'immagine è piena di cose, una paesaggio stracolmo di cose e gente. Se ho tempo, se la guardo bene ecco che comincio a riconoscere qualcuno, se fisso punto per punto quell'inquadratura vedo cose che hanno avuto un legame con me. E poi, a furia di guardare, eccomi. Laggiù, in un angolo. Un punto poco chiaro dell'immagine. Fianco a fianco con persone che ricordo a malapena, oggetti che ho avuto per poco. Eppure sì, quello sono io. Continuo a fissare l'intera inquadratura e mi sembra di percepire un senso unico di tutto. Qualcosa che tiene in sé il resto. Qualcosa che è in tutto. Che è tutto. E che non so dire. Ma che - ne sono certo - non sono io. Ed è bello perché ci arrivo dopo. La prima risposta - una risposta un po' facile, la prima che veniva da dare - era stata "Io". Ma era sbagliata. Un errore facile da fare. Un piccolo tranello, uno di quelli che ti fa pentire di aver risposto subito. Uno di quelli che a scuola doveva essere seguito da un "guarda bene!" dei professori. Ecco, il tema di oggi: la seconda risposta, quella giusta, a una domanda importante, la più importante che ci sia.
Mi è stato regalato questo libro di Herta Muller. Il titolo è Lo sguardo estraneo ma è il sottotitolo che lascia un brivido. La vita è una scoreggia in un lampione. Della Muller Nobel so poco. Lessi venti o più anni fa Bassure che credo fosse in omaggio con l'Unità. Non ricordo nulla di quello. Poi questo piccolo libro in regalo dal mio amico Ale. Lo prendo sotto gamba come tanti libri che mi sembrano distanti da me. Cosa mi sembra distante da me? La letteratura contemporanea tedesca (e non si sa il perché, e non si sa il perché). I libri con le copertine fatte da un'unica immagine, un particolare sgranato e molto colorato. Altre cose che non so dire o che dirò circostanziandole.
Il persecutore non ha bisogno di essere fisicamente presente per esercitare la sua minaccia. Sotto forma di ombra si annida comunque nelle cose, la facoltà di incutere paura l'ha trasmessa alla bicicletta, alla tintura dei capelli, al profumo, al frigorifero, rendendo minacciosi quegli oggetti usuali e inanimati. Gli oggetti privati di chi si sente minacciato diventano la personificazione del persecutore.
Così scrive la Muller facendo seguito a e commentando gli episodi di controllo patiti durante gli anni di regime in Romania. E' terribile scoprire quello strano nesso che lega episodi distaccati. Tornare a casa e scoprire che qualcosa è stato spostato da qualcuno ma senza vedere o scoprire altri segni del passaggio di questo qualcuno. Sentirsi ripetere da uno frasi dette a terzi senza che ci sia legame tra le due persone e le due situazioni. Quello che mi stupisce in questo racconto di persecuzione è la violenza perpetrata in nome di quel miracolo della vita che è la coincidenza. La naturale coincidenza che hanno le cose. Dire una cosa che un altro dirà appena dopo senza sapere di noi. Incontrare due volte uan persona in una stessa città, momenti e orari diversi. Ecco - so che è poco e che non può non essere notato altro in questa terribile pianificazione del Male - ma quello che trovo intollerabile nella persecuzione è questo essere entrati in questo matrix corrompendone le leggi consuete. Per deformazione provo a pensare a cosa ha da insegnarmi questo libro, questa storia. Mi domando se questa meccanica del terrore e del controllo può essere portata altrove. Può.
|