Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 13/01/2011 @ 09:13:12, in diario, linkato 1076 volte)
Leggevo sempre Barbara Spinelli su La Stampa nel lungo periodo (forse due anni) in cui quotidianamente l'acquistavo . Ora è a LaRepubblica e comunque è più facile per me e sempre bello leggerla. Ecco l'articolo, interessante, di ieri.
Trovare nel Corano l'Islam dell'amicizia di BARBARA SPINELLI
LE STRAGI dei cristiani in una cattedrale di Baghdad e nella chiesa copta Al-Qaddissin a Alessandria d'Egitto sono segni non equivocabili, che qualcosa di grave sta succedendo in terre musulmane: la lenta e brutale estromissione dei cristiani, anche i più refrattari al proselitismo, i più inseriti nel luogo che abitano, non molto diversa dalla cacciata degli ebrei dai paesi arabi dopo il '48. Non importa, qui, chiedersi come mai quella cacciata scosse l'Europa meno dell'odierna oppressione di cristiani. Forse perché la martirologia cristiana ha riti consolanti antichi. Forse cominciamo appena a comprendere la catastrofe che fu la fine dell'impero asburgico, il nazionalismo identitario e le persecuzioni delle minoranze che essa generò dopo la prima guerra mondiale. Mentre ancora non comprendiamo, sino in fondo, i disastri nati dalla caduta dell'impero ottomano: che produsse nazionalismi etnici e religiosi e fu occasione, per i colonizzatori, di ridisegnare frontiere a vanvera, di usare i popoli dividendoli o accostandoli senza criterio. È uno dei motivi per cui quel continente ha Stati spesso falliti. L'ossificazione di vecchi confini impedisce di ricostruire le istituzioni, l'imperio della legge.
Ma la divisione più grave è quella che colpisce i cuori, che nelle religioni del Libro sono la sede non dei sentimenti ma della mente, del raziocinio. Tanto più essenziale è divenuto capire l'Islam: perché è ormai la seconda religione in occidente. Perché il soffrire dei cristiani nei Paesi musulmani assume proporzioni calamitose. Perché col tempo non cresce negli uni e negli altri l'unica dote che salvi: il sapere, il conoscersi reciproco. Questo degrado s'è esteso quando l'Islam è entrato, brutale, nella vita d'Occidente dopo l'11 settembre 2001.
Fu allora che molti, ansiosi di compiacersi più che di sapere, corsero a cercar lumi in saggi che descrivevano, in particolare, la disfatta dell'Islam (i libri di Bernard Lewis, di Samuel Huntington, lo stesso testo ben più antico dell'imperatore Paleologo citato nel 2006 a Ratisbona da Benedetto XVI). I più ispirati erano forse quelli che si chinavano su letteratura o testi originali: si pensi, in Italia, all'erudizione di Pietro Citati, o alla sapienza indagata da Sabino Chialà, monaco di Bose, o alla precisione con cui è stato riproposto il Corano, nel 2010 per Mondadori, dal curatore Alberto Ventura e dalla traduttrice Ida Zilio-Grandi.
Ma per scrutare un grande monoteismo è al testo base che urge tornare: al Corano, anche se tante sono le prescrizioni che vengono abrogate man mano che il Libro si snoda, provocando perenni conflitti d'interpretazione. Dobbiamo cominciare seriamente a leggerlo noi e forse anche i musulmani, che a volte lo dimenticano come i cristiani o gli ebrei sovente dimenticano i propri Libri.
Usiamo pensare, ad esempio, che nell'Islam non esistano la misericordia, la pietà, l'aiuto agli ultimi, il perdono. Non è vero, soprattutto quando in questione è la giustizia uguale per tutti. Certo, una separazione fra legge di Dio e leggi laiche è ardua nell'Islam, ma costantemente, nel Corano, la giustizia è definita "la cosa più prossima alla pietà". Nella sura 4:135 si intima: "Agite con ferma giustizia quando testimoniate davanti a Dio, anche se è contro voi stessi o contro i vostri genitori o contro i vostri parenti, siano essi poveri o ricchi, agli uni e agli altri Dio è più vicino di voi, dunque non seguite le passioni che vi fanno errare dalla rettitudine". Dio ordina di non seguire neppure l'impulso opposto, odiando gli avversari: "L'odio che nutrite contro un popolo miscredente non vi induca a essere ingiusti". Uccidere in assenza di premesse (la presenza di un assassino, un corruttore della terra) "è come uccidere l'intera umanità". Incolpevoli, nei preganti di Baghdad e Alessandria è stata uccisa, secondo la sura 5:32, l'intera umanità.
Anche se col passare dei secoli si dilatò nell'Islam la diffidenza verso ebrei e cristiani (non a causa della fede delle genti del Libro, non per l'aderenza alle loro Scritture, giudicate antesignane del Corano), il rispetto è grande perché il Dio è unico (Allah è traduzione del nome di Dio, tendiamo a scordarlo). L'accusa, risentita, non è di adempiere le Scritture, tutte e tre sacre, ma di adulterarle e credersi figli di Dio "più degli altri uomini" (5:18). Rigettate sono le idolatrie, le passioni incontrollate. L'uso della ragione (nel Corano discernimento, perspicacia) è intenso nell'Islam.
Illuminanti a questo proposito i detti islamici di Gesù, raccolti da Chialà per l'edizione Lorenzo Valla (2009). Vorremmo citarne qualcuno. "Inguaribile è lo stupido, come sabbia dalla quale niente germoglia". Gesù ammette di aver guarito il lebbroso e il cieco nato: invece "ho curato lo stupido, ma mi ha spossato" (362). E prima ancora, nel detto 303: "Non mi è stato impossibile riportare in vita i morti, ma mi è stato impossibile guarire lo stupido". Rumi racconta che Gesù fuggiva a gambe levate, se incontrava uno stupido. Stupido perché del tutto privo di discernimento, di giustizia, è il massacro dei cristiani d'Iraq e Egitto. Tanti morti, e Cristo dipinto imbrattato di sangue a Alessandria: con quale risultato? Con quale giardino radioso in vista, per il giorno in cui morte ti coglie? Gli stessi musulmani alessandrini sono sgomenti, e si offrono di presidiare loro le chiese.
Il Corano è contrario agli anatemi, alle scomuniche: il giudizio di miscredenza viene solo da Dio. La gentilezza ha uno spazio ampio nel Libro, così come vasto spazio è dedicato alle donne, che hanno meno diritti ma sono pur sempre soggetti giuridici ("Può darsi che voi disprezziate qualcosa in cui Dio ha posto un bene grande", sura 4:19). Quanto agli anatemi, la sura 2:256 è chiara: "Non c'è costrizione nella fede". Nella storia dell'Islam non potrebbero esistere conversioni forzate.
Che cosa guida allora, se non stupidità, ignoranza, e una vendetta ripetutamente scoraggiata dal Libro, la mano degli assassini o la mente degli indifferenti musulmani che sì malamente accolgono le condanne di Benedetto XVI, considerandole empie interferenze? Sembra guidarli l'incapacità radicale di mettere faccia a faccia fede e ragione, non a discapito l'una dell'altra. Un grande poeta dell'XI secolo, Abu L-Ala Al-Ma'arri, divideva la terra in "due sorti di persone: quelle che hanno la ragione senza religione, e quelle che hanno la religione e mancano di ragione".
Mille anni sono passati da allora, e ancor più dalla stesura del Corano: terzo grandioso tentativo monoteista di ingentilire la storta e cupa umanità. L'ultimo decennio di violenze, invece di stordire ancor più le menti, può esser l'occasione di tentare una memoria meno ostruita, un sapere meno trasandato. Dieci anni sono poco per iniziare a capire, e ognuno deve fare lo sforzo partendo da sé, perché le memorie comuni sono spesso una truffa, come accade in Italia attorno alla Resistenza. È un compito alto, difficile: per noi e anche per i musulmani. Nessuno è sconfitto, se si rimette a pensare.
Il Corano non pretende cose impossibili dall'uomo ("è una religione facile", diceva Muhammad), ma è severo quando parla di giustizia, pietà, ragione. Il sincretismo, oltre a non essere auspicato, è impossibile perché troppe sono le soperchierie che gli uni hanno fatto agli altri. Anche in religione, come in politica, dovrebbe esserci quella riconciliazione che memore del passato costruisca un futuro diverso. Gli arabi e persiani fra loro, gli arabi e gli ebrei in guerra continua, non hanno ancora prodotto (se si escludono, agli esordi dello Stato d'Israele, figure come Hannah Arendt o Judah Magnes), persone capaci di condividere un futuro storico, una federazione laica di etnie e religioni diverse, evitando i tranelli minimalisti della memoria condivisa.
Ieri ho visto Hereafter di Eastwood e non so dire se mi è piaciuto. E, se mi è piaciuto, quanto. Inevitabile fare confronti con i tre grandi film precedenti (salto Invictus). Come ho spesso scritto qua dentro ho amato e amo Mystic river, Million Dollar Baby e Gran Torino. Film che ho rivisto infinite volte. Questa ultima prova del regista americano, girata per gran parte tra Inghilterra e Francia, risente di uno stile europeo. Eastwood sceglie un profilo poco tambureggiante suspance. Il filo sembrano essere le domande sottese e in questo è solo residuamente hollywoodiano. Un gusto che deve aver solleticato i nostri recensori che lo hanno impalmato unanimi. Eppure nel cinema c'era sconcerto. La gente borbottava. Il finale è molto bello e commovente e solo alla fine lo scioglimento della vicenda premia il bisogno di risposte del pubblico medio (senza che però il tipo di risposte possa accontentare la medietà, visto il profilo alto dei quesiti. Ad es. la chiusa delle storie intrecciate è potente, colma di senso). L'inizio è strepitoso (per come è girato) per tutti. Credo che Eastwood stia cercando altro e forse gli va dato il beneficio della ricerca. Come credo che ripetere la visione possa essere, almeno per me, utile. (Quest'anno devo ammettere di aver lasciato in sospeso Inseption - visto con troppa leggerezza - e il film della Coppola - che mi ha irritato ma già mi successe con il suo Lost in traslation). Spesso le cose vanno riviste o ripensate. E' il caso di queste tre pellicole. E di tanto altro. Ci ritornerò per sciogliere le mie riserve.
I compleanni non se li ricordano i padri. Per quello ci sono le madri. Ma i figli lo scoprono dopo. Le madri fanno anche i regali o li suggeriscono. I figli sono contenti perché di solito sono quelli che si aspettavano. Le cose vanno così. Quasi sempre.
Come ripromessomi sono andato a rivedere Hereafter, in lingua originale e mi è piaciuto. Molto. Anche questa volta il pubblico in sala a proiezione avvenuta rumoreggiava negativo. Probabilmente chi va a vederlo ha delle aspettative e rimane deluso. O forse non accetta i temi. La morte? I sensitivi? L'ulteriorità? Forse ci si attende da Eastwood un assertività che non è in genere poi così schiacciante e monomane (si dirà?). Eppure dovrebbe essere nota la problematicità della sua posizione sul significato della vita e della morte in una visione ultraterrena. C'è qualcosa che inquieta. Forse il non sciogliemento della vicenda? Che in realtà c'è ma forse non nella orizzontalità attesa. Non so davvero. Il film è bello. Ha un casting sorprendente, una sceneggiatura senza orpelli e una tecnica di ripresa sobria anche quando (come nella scena iniziale) fa ricorso a tecniche sofisticate. Merita di essere visto. E ripensato.
Ho visto La versione di Barney e mi è piaciuto. Avevo letto il libro e ho trovato poco di quel tono dissacrante e grottesco. Non sono uno di quei lettori che lo ha osannato. Il libro è divertente e ben costruito, con una voce che funziona, un personaggio ben definito. Eppure (e in questo dissento da Escobar del Domenicale) come prassi sono andato a vedere il film senza aspettarmi la problematicità della riduzione (la parola è corretta) di quel che avevo letto. Credo che il regista abbia scelto di tirare un filo che nel libro forse neppure c'è in questa forma in parte patetica. La versione (la sua versione) di Barney finisce così per essere nel rispetto del libro, una versione ulteriore di quella che nel libro è, appunto, una versione multipla di una vita che in fondo ha anche le sue molteplicità (le mogli, le storie, le compagnie ecc.). Disquisiremmo forse di questa scelta. Potremmo. Io dico solo che il film mi ha consegnato qualcosa che mi è sembrato utile, materiale su cui riflettere. La battuta che trovo straordinaria è quella della terza sognora P. che alla fine cede alle insistenze (è amore o cedimento il suo?) di Barney e nel cedere accampa un dubbio: non sarà che dopo tanto insistere quello che verrà dopo ossia routine, normalità ecc ti deluderà? Vero e triste (veramente triste) mi è parso il tradimento di B. nella freccia: gelosia, paura, messa in discussione dell'amore, tradimento, pentimento, fine. E alla fine l'inettitudine barneyana ha un suo trionfo un po' amaro (più amaro che nel libro).Purtroppo tutto mi ha trascinato in un gorgo di pensieri un po' tristi da cui sono uscito grazie alla semplicità, cosa che spesso la vita non ci regala al momento opportuno o senza chiedere. Non potrei dire che il film merita poco, né mi sento di dire che ho sentito - visto che di tradimento si parla - che il regista abbia tradito l'opera. Perché l'ha tradita di default rifacendola, traducendola, trasportandola in un altrove a cui la fedeltà avrebbe forse nuociuto di più.
Rileggendo la mia copia de La versione di Barney di Mordecai Richler ho trovato poche sottolineature. Le poche erano citazione di altri. Tranne un divertente apologo sugli ebrei e questa frase: "Io sono un tipo impulsivo, preferisco gli errori ai rimpianti". (Non) dire: anch'io.
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