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Di Carvelli (del 21/03/2011 @ 12:05:39, in diario, linkato 1218 volte)
Una delle prime cose che leggo sul numero nuovo di Internazionale è la poesia - in questo numero anche un interessante articolo di Dave Eggers sul suo luogo di scrittura - quella di questo numero mi piace ed è di Eva Taylor. Eccola.
Eravamo sdraiati
Eravamo sdraiati, lo vedo ancora. La sera bruciata nelle nuvole una radio accesa in una stanza e voci che cantavano.
In quell’ora sentivamo
tu la bocca che ti voleva io il suono che si perde.
Eva Taylor
Un bambino uscire dallo scuolabus e correre forsennatamente verso casa. la cartella che danzava sulle spalle piccole. Credo che nessuno possa correre, incendi a parte con quella stessa foga, dopo. Ricordo bene quell'icombenza interna, quella fretta. Mai più provata, così felice.
Ieri ho visto la chiacchierata tra Franzen e Piperno spesso interrotta da rilievi del pubblico che si aspettava... Rinizio: l'etilismo del lettore di cui parlavo ieri mal tollera le intromissioni tra autore e sé. Se qualcosa si frappone su quella strada è da "asfaltare" (un neologismo calcistico che sta andando per la maggiore). Quella che doveva essere una chiacchierata a due o un'intervista "alta" ha ceduto alla correzione del pubblico e Piperno è stato costretto ad abbassare i toni. Magari anche Franzen non aiutava. Magari è anche una questione di feeling (che secondo me a livello di scrittura in parte c'è). Magari è la differenza tra scrittori meno o più disposti a prendersi sul serio. Magari è il confine Europa-USA che Piperno aveva sagacemente notato come in sconfinamento (la newgeneration USA si chiama fuori dal proprio paese e lo fa spesso anche in location narrative). In ogni caso: come non cedere al nostro bisogno di correggere?
Ieri sera, ritornato a casa, ho ripreso in mano la mia copia de Le correzioni. Ho trovato sottolineata questa frase: "Avevano un solo modo per stare bene insieme, e non avrebbe funzionato per molto. La strana verità su Alfred era che l'amore, per lui, non era questione di avvicinarsi ma di tenersi a distanza".
"Cosa fa di un uomo un uomo?" è la domanda di Leboski ricco a Leboski povero. La rivolto. Di una donna il punto di forza maggiore è la capacità non di vincere ma di saper convivere con le sconfitte. Generalizzo ma credo che, a mia esperienza, sia questo tema della capacità di sopravvivere con orgoglio alle alterne fortune della vita a rendermi il mondo femminile misteriosamente affascinante. E invidiabile. Nel recente D di Repubblica le domande non mi hanno colpito stavolta. Più interessante il servizio di Lorella Zanardo sul difficile rapporto degli uomini col corpo delle donne (meno quello dei giovani, della generazione più giovane della mia, poco incline alla sofisticazione dell'immaginario viziato dall'industria seriale del piacere). Generalizzo ma direi che il rapporto da facilitare e capire e apprezzare e, in certi casi, ammirare sia quello con l'intimità delle donne (che comprende e trascende il corpo, che riguarda la sensibilità intera). Un universo oscuro che senza sapere cerchiamo di fare nostro per la strada breve della conquista. Un avvicinamento di una inconsapevole calamita che ci rende solo apparentemente consapevoli della grandezza.
Credo che una delle cose più interessanti che ho sentito da Franzen l'altroieri sia stata quella che vado a dire. Spiegava di come fino a Le correzioni (compreso!) abbia scritto pensando al lettore - cosa che si accordava con uno dei suoi comandamenti barra consigli di scrittura a non considerare quella col lettore una guerra - "che mi legga chi vuole leggermi" e insieme ad altri autori con cui confrontarsi. Il meglio che possa capitarti nella vita è scrivere quello che sei. Tirando fuori il meglio da te. Quello che solo tu sai e puoi dare. Quello che tu sai fare. Che alla fine è un buon consiglio in genere. Una frase buddista recita (cito a memoria): "finché non percepirai la natura della tua ultima essenza la vita sarà un'infinità e dolorosa austerità".
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