Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non sono convintissimo - cioè non so se mi piaccia davvero - ma è un regalo e con i regali si dovrebbe fare così come nel proverbio. Quello del cavallo. Sapete? Che poi perché si dice col cavallo che se niente niente è zoppo che ci fai? Ma è un regalo della nostra amica E. e così contrariando la mia ahimé giusta fama di rifiutatior di regali accetto e copioincollo. Non mi pento di niente neppure io. Anche se alle volte costa è sempre giusto essere onesti anche con se stessi prima che con gli altri. Ma ora ripenso a quella povera penna un po' cicciotta di una ex-fidanzata, al cagnolino di peluche dei compagni di classe e a quanto altro non so che giace in un luogo terzo che non sono né io né chi mi omaggia. E i miei omaggi li rivolgo a voi. Anche questo. Di E., appunto, per me.
Non mi pento di niente - Gioconda Belli
Dalla donna che sono mi succede, a volte, di osservare nelle altre, la donna che potevo essere; donne garbate esempio di virtù, laboriose brave mogli, come mia madre avrebbe voluto. Non so perchè tutta la vita ho trascorso a ribellarmi a loro. Odio le loro minacce sul mio corpo la colpa che le loro vite impeccabili, per strano maleficio mi ispirano; mi ribello contro le loro buone azioni, contro i pianti notturni sotto il cuscino, contro la vergogna della nudità sotto la biancheria intima, stirata e inamidata. Queste donne, tuttavia, mi guardano dal fondo dei loro specchi; alzano un dito accusatore e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo e vorrei guadagnarmi il consenso universale, essere “la brava bambina”, “la donna per bene”, la Gioconda irreprensibile, prendere dieci in condotta dal partito, dallo Stato, dagli amici, dalla famiglia, dai figli e da tutti gli esseri che popolano abbondantemente questo mondo. In questa contraddizione inevitabile tra quel che doveva essere e quel che è, ho combattuto numerose battaglie mortali, battaglie inutili, loro contro di me - loro contro di me che sono me stessa - con la psiche dolorante, scarmigliata, trasgredendo progetti ancestrali, lacero le donne che vivono in me che, fin dall’infanzia, mi guardano torvo perchè non riesco nello stampo perfetto dei loro sogni, perchè oso essere quella folle, inattendibile, tenera e vulnerabile che si innamora come una triste puttana< di cause giuste, di uomini belli e di parole giocose perchè, adulta, ho osato vivere l’infanzia proibita e ho fatto l’amore sulle scrivanie nelle ore d’ufficio, ho rotto vincoli inviolabili e ho osato godere del corpo sano e sinuoso di cui i geni di tutti i miei avi mi hanno dotata. Non incolpo nessuno. Anzi li ringrazio dei doni. Non mi pento di niente, come disse Edith Piaf: ma nei pozzi scuri in cui sprofondo al mattino, appena apro gli occhi, sento le lacrime che premono, nonostante la felicità che ho finalmente conquistato, rompendo cappe e strati di roccia terziaria e quaternaria, vedo le altre donne che sono in me, sedute nel vestibolo che mi guardano con occhi dolenti e mi sento in colpa per la mia felicità. Assurde brave bambine mi circondano e danzano musiche infantili… contro di me; contro questa donna fatta, piena, la donna dal seno sodo e i fianchi larghi, che, per mia madre e contro di lei, mi piace essere.
Venerdì 8 aprile. Ore 21e50. Non dimenticherò mai quest'ora e questo giorno. Il film che stavo vedendo. Un film stupido ma non è quello. Un film pieno di immaginazione e forse è questo. Non dimenticherò il telefono, il suono che fa quando squilla. Le parole e il tono di chi le pronuncia. Tutto quello che succede intorno. Una ragazza che si tiene per mano con il ragazzo e gli dice che ha prestato il libro di anatomia a un'amica. Un indiano che entra in un call center. Attraverso la strada e una macchina mi suona per dire che è in corsa e non ha intenzione di fermarsi sulle strisce. Dei ragazzi parlano davanti a una pizzeria. Poi più nulla. Tutto reale. Tutto vero. Incredibilmente vero.
"Tutti gli scrittori conoscono bene questo fenomeno tipico dell'immaginazione: la predizione involontaria; uno scrive una cosa e quella cosa accade, oppure ne accade un simile". Questa frase di Alan Bennett (Una vita come le altre) non è purtroppo immaginativa. Ho scritto un romanzo, non ancora edito, in cui tutto quello che succede ora è già stato in una certa forma prefigurato. E' stato scritto con questo anticipo.
A chi la raccontiamo questa storia in cui siamo noi i protagonisti? Una storia a due, tu e io, una storia che non si racconta da sola, una storia che chiede di noi, parla di noi?
A chi la diciamo la nostra
metà? A chi la diamo la nostra versione uguale di una stessa uguale versione?
Come
essere due senza riuscire a essere
due davvero,
noi. Ne deriva che
bisogna essere due
perché il dialogo
sia monologo
e l’unità del due
si ricomponga.
Questo,
è evidente,
ci obbliga a una coerenza che noi abbiamo,
che anche la vita deve avere,
per noi.
Ho scelto tutto: quello che volevo avere quello che potevo perdere. Ho scelto, persino, quello che non volevo e quello che non potevo. Ho scelto anche senza scegliere. E senza avere.
|