Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Simple Raymond Carver
A break in the clouds. The blue outline of the mountains. Dark yellow of the fields. Black river. What am I doing here, lonely and filled with remorse?
I go on casually eating from the bowl of raspberries. If I were dead, I remind myself, I wouldn’t be eating them. It’s not so simple. It is that simple.
Love me or leave me. Dico che sono così. L'ho sempre detto. Ma lei mi prende in giro. Love me or leave me. Sono fatto così. Come nella canzone di Billie Holiday. L'inizio è quasi un piccolo mantra, uno scioglilingua da imparare a memoria e a memoria recitarlo. Love me or leave me or let me be lonely You won’t believe me, I love you only. Chi vive sulla corda fa così. Chi ha sofferto e soffre parla così. Chi lo sa, chi lo è (sulle corde) lo fa. E' il nostro piccolo credo. Dovremmo dirlo spesso come se fosse un codice fiscale. Di noi che siamo così. Anche agli altri che non sanno cosa vuol dire davvero. Lei si mangia la mia marmellata. Beve il mio thè e leave me. A pancia piena. Il tema non era love me. Ma neppure leave me. La marmellata non era scontata. Il thè era dovuto. Il resto è piovuto.
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Sogno sangue e sangue. Il sogno si dovrebbe intitolare "Piove sul bagnato" o più correttamente "Sanguina sul sangue". Sentite qua. C'è un'ambulanza chi la guida scende per litigare con uno. Si prendono a testate. Io vedo da dietro il vetro dell'ambulanza tingersi del rosso del sangue di questo coraggioso ma sfortunato (nella lotta) ambulanziere. Ma poi mi rendo conto che dentro l'ambulanza ci sono due emofiliaci attaccati a grosse buste di plastica cariche di sangue che si sono bucate nell'impatto (la brusca frenata? il litigio?). Tutto è rosso. Tutto è sangue. Sinceramente: non sto bene? Gentilmente: sapete se, come di solito nei sogni, più brutto è il sogno più porta bene?
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Non farei altro che ascoltare questa canzone di Leonard Cohen. Non ditelo ai miei capi. Oppure no, diteglielo, ma ditegli che mentre la ascolto in continuazione sto lavorando alacremente. Ah se vi chiedono cosa vuol dire alacremente, ditegli senza requie. O senza requiem.
Ho come sempre lasciato in sospeso due o tre discorsi. Uno era sul film di Moretti. Mi piaceva ripensando al film accendere una luce sul fatto che il papa esce dalla prigione del Vaticano per tornare in mezzo alla vita (i fedeli, la vecchia passione mai accolta in prima persona ma mediata dalla sorella per il teatro) mentre lo psicologo rimane imprigionato nel chiuso della quarantena in attesa del sì definitivo. E lui finisce invece per riportare nel gruppo le sue ossessioni (la pallavolo come necessità di sfida, la discussione del suo e altrui sapere). Lo scambio simbolico, sembra quasi uno scambio di ostaggi, ha come esito la liberazione (forse) dell'uomo di chiesa contro la riduzione all'immobilità e all'inanità dello psicologo. La teoria semplice della moglie di questi (psicologa anche lei) rende forse più leggera perché regressiva e quindi lontana nel tempo la diagnosi delle difficoltà del PapaNonPapa. In questo doppio stallo e in una piccola speranza nel lontano passato c'è forse tanto di questo film che non deve essere preso come un film anticlericale. Forse il finale un po' ad effetto (bandiere su-bandire giù, delusione) rinuncia a questo sguardo alto assecondando l'enfasi del fallimento (della percezione del fallimento). Mentre sappiamo che fallendo il Papa si nobilità e si ingrandisce nella fede. Così ci piace pensare (da non cattolici?).
Cito a memoria da Pagnol. Il tempo degli amori (Neri Pozza). Il motore della giovinezza è la vanità. E segue una serie di assurdità ascoltate in età giovanile tipo il vantaggio per le donne di camminare a quattro zampe per partorire in modo più agevole e amenità simili. In definitiva la trama della giovane età non è mai la creduloneria. Le stupidate funzionano perché ne rinfrancano la vanità. Il bisogno di credere per il vantaggio di sentirsi artefici di questa propulsione di scemenza. Purtroppo l'età come spesso accade non è indicativa. Spesso la vanità continua a essere il motore della nostra età matura. E crediamo alle scemenze che ci arrivano addosso, alle seduzioni, ora mi rendo conto, per questo male (grave ma curabile) che è la vanità. E' la vanità che ci strumentalizza e ci rende deboli e proni all'inganno. L'adultità è solo la disposizione a questo cambiamento. Spesso avviene per un passaggio crudele se non può accadere per maturazione. In definitiva: maturare vuol dire diventare meno vanitosi. Questa è la cosa che scrivo oggi.
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