Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nei film, più spesso che nella realtà, succede che si fa sempre in tempo a dire la parola che risolve, quella che scioglie. E ora penso alle formule latine degli esorcismi. Avete presente? Quegli ultimi due latinorum che liberano il corpo dalla possessione, letti alla meglio sotto il vento del demonio. Due parolette e bon, finita così. Nella vita non succede altrettanta fortuna da fotofinish. Alle volte non basta una parola o due. E il momento non è spesso quello giusto. O è tardi. E il demonio ha già fatto il suo sporco lavoro. Bene. Meglio (o prima) di noi, almeno.
Questo che vi sto per dire viene da un racconto della Gallant: Irina (da Piccoli naufragi). Riri il giovane nipote viene spedito a trovare Irina per dare modo alla mamma di operarsi. Il racconto, che poi se vi andrà vi leggerete, è un racconto famigliare. Riri va dalla donna e non pare che ci vada con grande piacere e se siete stati ragazzi come lui forse qualcosa vi riviene alla memoria. Come vi verrà alla memoria quella volubilità un po' speciale che avevano quegli anni. Anni in cui una cosa pesante all'improvviso vi appariva leggera e viceversa con un rapido e inspiegabile cambiamento dell'umore. Eppure alla fine Riri si trova bene e con lui anche Irina (anche questo sono certo che vi dirà qualcosa). Ma Irina che come noi oggi sa cosa e come succede sa anche cosa succederà ancora a Riri e senza dolore lo racconta. E adesso vi leggo il racconto, nel suo finale leggero. E vi saluto.
"Irina sapeva che la mattina successiva sarebbe stato come se Riri si trovasse lì da sempre, e che al mopmento di ripartire, quattro giorni dopo, avrebbe dovuto ricordargli che partire è l'altra metà di arrivare. Sorrise, sapendo quanto gli sarebbe dispiaciuto andarsene e quanto presto si sarebbe lasciato alle spalle il dispiacere. 'Ieri a quest'ora...' avrebbe forse detto, ma solo una volta, non di più. Si era addormentato.. la bocca era leggermente aperta e i capelli bagnati sulla fronte erano bagnati e scuri. Sembrava scomodo con il braccio piegato, ma Irina non interferì; la mente sommersa, i movimenti inconsci dovevano essere indipendenti, da lei e da chiunque altro, soprattutto da lei. Non lo amava di più o di meno degli altri suoi nipoti. Vedi, andrà tutto a posto, gli stava dicendo. Tu e tua madre, e i ragazzi che sono così preoccuopati, e il mio vecchio amico. Ogni cosa si può sistemare, per pochi giorni alla volta, non più a lungo. Spense la luce, e il corpo del nipote le fu grato. In quel momento la sua mente, nello splendore di un ghiacciolo colpito dal sole, non stava semplicemente sciando, ma volava".
Anni fa era più facile uscire con me. Uno chiamava e io c'ero. Tutto era più semplice anni fa, anche per me. Si trattava di mettre insieme ore e giornate. Un'operazione tutto sommato semplice. Che sapevo fare con un colcolo a mente che raramente sbagliavo. Ora è tutto diverso. Ora, anche per me, si tratta di organizzare tanti pieni. E anche tanti vuoti. Tutto richiede oggi un'aritmetica più complessa, funzioni, proporzioni. Deve essere così per tutto. Anche per uscire. Come per la scienza. Come per gli scacchi. E anche un po' per l'alimentazione.
Amo il bianco tra le parole, il loro margine ardente, amo quando taci e quando riprendi a parlare, amo la parola che galleggia solitaria sullo specchio buio del vocabolario, e quando sborda, va alla deriva con deciso smarrimento, quando si oscura e quando si spezza, si fa ombra. Quando veste il mondo, quando lo rivela, quando fa mappa, quando fa destino. Amo quando è imminente e quando si schianta. quando è straniera, quando straniera sono io nella sua ipotetica terra, amo quello che resta, dopo la parola detta, non detta. E quando è proibita e pronunciata lo stesso, quando si cerca e si vela, quando si sposa e quando è realtà dei muri e quando sfracellarsi al suolo, quando scorre candida e corre per prima a bere, e quando preme alla gola, spinge all'aperto, quando è presa a prestito, quando mi impresta al discorso dell'altro, quando mi abbandona. Non voglio una parola di troppo, voglio un silenzio a dirotto, non un commercio tra mutezza e voce, ma una breccia, una ferita che allarga luce, un sottosuolo della musica. Dammi un amore che precipita - parola.
1 L'altroieri ho visto Poetry e mi è piaciuto. Mi piacciono quei film dove l'attesa del finale, quasi per distrazione, è procrastinata, rallentata e delusa. Mi piace anche nei libri. Quel mancare alle attese (di chi attende) per dire altro, per costringere chi vede o legge a pensare ad altro. Spesso nel fare questa scelta c'è talento. O coraggio, almeno.
2 Ieri ho ascoltato i due racconti di Michele Mari a Massenzio. Più bello il primo. In Mari non c'è intellettualismo, erudizione fini a loro stessi. C'è la capacità mitopoietica di lavorare su figure un passo distanti dal nostro mondo (anche questo senza artificio ma con una congruità - se riesce - che è efficace). In questo scarto verso l'opera c'è l'effetto felice di un viaggio fuori di noi (che spesso poi mostra la trama del dentro di noi - questo intendo per mitopoietica).
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