Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Solo per dirti che mi dispiace non sentire tutta quella musica brasiliana alla radio come se fossimo lì e lì non eravamo. Non qui né lì, alla controra. Eppure sentivamo la pubblicità di locali in cui non saremmo potuti andare come se, in realtà, potessimo. E che io, che ero già lontano, vivevo due straniamenti. Come se il mondo che conoscevo fosse finito in una piccola tasca nascosta, da qualche parte, nella giacca che non trovavo né cercavo più. Solo per dirti che mi dispiace (e voglio dire che mi dà una piccola pena) pensare a quando prendevamo la macchina per andare al mare, che io non sapevo le strade né la lingua giusta per chiederle. E per una volta ero costretto ad affidarmi in tutto a un'altra persona. Che è una cosa che mi succede di rado, tutto sommato. Scrivo solo per dirti che mi dispiace e lo scrivo sapendo di sicuro che è impossibile che, in un modo normale, un modo che conosco, tu possa sentire queste parole. Queste e quelle di una canzone che forse abbiamo sentito insieme. Arder tremer morrer. http://www.youtube.com/watch?v=d0uJNh7lIqE
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Vento nuziale
II vento soffiò per tutto il giorno delle mie nozze, E la mia notte di nozze fu la notte del gran vento; E una porta della stalla sbatteva e risbatteva Tanto che lui dovette andare a chiuderla, lasciandomi Intontita a lume di candela, a sentire la pioggia, A vedermi la faccia nel candeliere ritorto, Senza però vedere un bel nulla. Quando rientrò Disse che i cavalli erano inquieti, e io fui triste Che quella notte ci fosse uomo o bestia senza La felicità che io avevo.
Ora, ch'é giorno, Tutto sotto il sole si scompiglia alle raffiche del vento. Lui è andato a vedere la piena, e io Porto un secchio sbreccato nel pollaio, Lo poso a terra, e guardo intorno. Tutto è vento, Vento che batte per nuvole e boschi, che sferza Il mio grembiule e i panni stesi sulla corda. Si può reggere a questa gioia raffigurata dal vento, Su cui i miei gesti ruotano come grani su un filo Di collana? Potrò dormire ora Con questo mattino perpetuo che condivide il mio letto? Potrà mai la stessa morte disseccare Questi laghi nuovi e felici, o porre termine Al nostro chinarci come armenti su prodighe acque?
Philip Larkin (trad. di Vanna Gentili)
da http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/366-Philip-Larkin,-due-poesie.html
Mi lasciano sempre un po' sorpreso e perplesso le pubblicità-progresso, l'advertisement medico o preventivo. Il più delle volte dà per intese cose non intese. Mi domando sempre se il messaggio arrivi a tutti o a tutti quelli a cui deve arrivare. Come nel recente spot radiofonico (di televisione, non avendola, ne mastico poca) sulle disfunzioni (e)rettili (sic! e sempre sic, per tutto lo spot). E' chiaro a tutti di cosa parliamo? So che ci sono parole troppo dure (trovare sinonimo, please!) per un popolo abituato all'arma bianca come il nostro. Ma lasciare ogni cosa alla fantasia o all'enciclopedia non mi sembra adatto allo spirito dell'impresa. Forse esistono pubblicitari bravi abbastanza per non offendere il comune senso del pudore e il diffuso sentimento dell'autostima (in un campo che di stima ha bisogno, sopravvalutata o meno). O forse no?
La lunga lista dei nostri dolori inizia con la parola depressione. Seguono nell'ordine stanchezza, tasse, colpire i soliti noti, nevralgia, mal di denti, desiderio non realizzato, cervicale, amore non corrisposto, freddo, caldaia rotta, pantaloni lisi, dichiarazione dei redditi, dermatite, costo del taxi, cistite, perdere in casa al 92°, carta esaurita, credito esaurito, esaurimento.
"Smoke" in via Tagliamento di Roberto Carvelli
Questo l’ingresso del Piper Club su via Tagliamento. Un giorno canonico: il sabato pomeriggio. Quello in cui il locale è la discoteca dei ragazzi, uno spazio divertimenti che ha traguardato epoche. Da quelle ampiamente storicizzate di Patty Pravo all’odierna. In mezzo la mia epoca. E sì, a questo punto mi vedo costretto a riconoscerlo, ho anch’io un’epoca. Di attese senza biglietto fuori. Attese di qualcuno che ci girasse una riduzione o un pass per l’interno. Nell’epoca delle tessere vip per pochi fortunati che Mister Franz – morto qualche anno fa – concedeva per simpatia e molte indiscrezioni al riguardo. Leggende metropolitane o no, noi non entravamo. O solo quando avevamo messo insieme le lire che servivano e di cui, spesso, non disponevamo. O negoziando una riduzione, un due per uno. Qualcosa che considerasse le magre fortune di non essere figli di papà. Ma anche se non entravamo eravamo lì fuori a verificare i nostri motorini significativamente modificati con espansioni varie e marmitte che parevano bazooka attorcigliati. La speranza era quella di veder uscire uno che imbonisse i buttafuori con un permesso, un lasciapassare medievale. La nostra vita ha conosciuto da subito i vantaggi e gli svantaggi di fare (o non fare) parte di una cerchia ristretta e fortunata, privilegiata. Ma anche l’amicizia. Quella di chi si sa fare compagnia con nulla nella cattiva sorte. Ricordate Smoke, il film di qualche anno fa dalla sceneggiatura di Paul Auster? Un tabaccaio scattava ogni giorno alla stessa ora una foto a cavalletto davanti al suo negozio e così fissava e conservava in maniera un po’ situazionista il passare del tempo. Il Piper avrebbe dovuto fare altrettanto per salvare in un album di foto epoche e stili, mode di tutta questa attesa davanti a sé. Prima che si risolvesse nella discesa infernale nella catacomba dei decibel o si sciogliesse la sospensione in una fuga in sì o ciao verso il centro a spendere l’unica cosa che avevamo: miscela (nell’epoca in cui i benzinai la smerciavano a percentuali), poche lire per un pezzo di pizza e soprattutto tempo. Tanto tempo: ci sembrava allora. Ecco faccio parte di questa generazione: quella che avrebbe voluto ma neppure tanto. Che trovava il modo facile e divertente di sfangarla con poco. Divertendosi resistendo alla povertà delle possibilità. E di questo – ora mi tocca ammetterlo – non posso che riconoscerne il merito, anche inconsapevole, ai miei genitori “braccine corte”. Ma allo stesso tempo mi sento di ringraziare non loro ma qualche entità soprannaturale – il vento nei capelli sul motorino allora senza casco? Il Dio della chiesa tutta mosaici all’angolo su piazza Quadrata o Buenos Aires che dir si voglia? Il blando sole invernale? – per tutta quella attesa. E’ stata quella, ora penso, la formazione più importante per la mia adolescenza impaziente. La considerazione che anche senza quelle aperture – le uniche che ricordo con piacere – con i Talk Talk di Life’s what you make it si poteva passare lo stesso un bel pomeriggio girovagando da un bar all’altro a cominciare dal chioschetto in piazza, quello del lemoncocco. E poi turbinare sgasando e smarmittando imprecati lungo via del Tritone per poi risalire e andare a vedere l’uscita dei fortunati all’ora giusta. Avevano rimorchiato? Ci avrebbero presentato qualche ragazza – come un avanzo della tavola a cui non avevamo avuto l’onore di sedere? Andavamo a vedere. Ora che lo guardo, in questo pomeriggio di sabato molto vuoto e senza i capannelli degli sfortunati tipo me al tempo, penso che il Piper, come altre discoteche, ha due posizioni: aperto e chiuso. E due situazioni: esterno e interno, fuori o dentro. E quest’ultimo più che un pensiero spaziale, è proprio una legge della Vita.
http://www.paesesera.it/Societa/Smoke-in-via-Tagliamento
Dominerá il colore rosso, la calca nei negozi, la fretta e gli spintoni alla cassa. Per sbrigarsi, per non perdere la buona abitudine di essere primi anche se questi sono i giorni degli ultimi.
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