Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il primo che avverte una rondine anche se non fa primavera, anche se è primavera, che lo dica a un altro e a un altro ancora come in quelle catene in cui si fa estate in un attimo. L'idea è trovare il giorno preciso e segnarlo sui calendari, confrontandolo di anno in anno. Ieri ho ricevuto tanti sms e mail come se mi fosse morto un parente. Tutti quelli che si ricordavano del mio lavoro su Tonino Guerra, del mio studio su di lui. Si sono fatti sentire dispiaciuti, compiangenti. Si sviluppa così il senso della familiarità. Cresce così. E si radica. In noi e negli altri.
amore il nido che le accoglie, le tue rondini, non è di foglie! Nido è grande, d’aquila, sta su in alto, è impervio, vi si guarda nei meriggi ardenti tra le rupi aeree Te ed il Sole.
Mi sono laureato nel 1992 sull’opera narrativa di Tonino Guerra e sulle dinamiche di scambio tra questa e quella cinematografica (di sceneggiatore dei grandi Fellini, Antonioni, Tarkovskij, Anghelopoulos, ecc.). Il mio professore, Walter Pedullà, mi ricordo aveva qualche dubbio pur ammirandolo e apprezzandolo molto mi suggerì di sviluppare una “linea padana” con Malerba, Celati e altri. Io insistetti per costruire parte del lavoro su questa triplice complessità della sua opera (poesia, narrativa, sceneggiatura) e alla fine ne fummo soddisfatti tutti. Tonino Guerra l’ho incontrato diverse volte, intervistato alcune (una delle interviste è in Amarsi a Roma – Ponte Sisto). Un paio di volte gli ho chiesto una poesia e la sceneggiatura di un cartone animato per una rivista con cui collaboravo. Poi ho continuato a seguirlo sempre apprezzando la coerenza arte/vita che lo aveva fatto ritornare nei suoi luoghi in una sorta di bioregionalismo molto coerente. Posso dire oggi che molto nella sua opera – il senso di un magico naturale, uno psicologismo straniante e sdoppiato, il racconto dei luoghi abbandonati e la necessità di salvare il mondo contadino – mi appartengono come fossero miei. In fondo questo fanno i libri o i film: riempire di senso quel piccolo vuoto informe che da soli non riusciamo a disegnare pur intuendone perfettamente i confini lontani, le forme vaghe. Elementi di una composizione di senso di cui abbiamo spesso, appunto, solo intuito, odore o sapore. Così posso dire che la tesi di laurea e tutto il corso di studi (esami compresi) sono stati orientati a questa traccia di viaggio e di speculazione. La scintilla era stato un film pur non eccelso quale Il frullo del passero tratto da uno dei bellissimi racconti de Il polverone. I suoi libri (prima che Bompiani decidesse di ridargli l’attenzione meritata) erano introvabili, stampati per editori minuscoli o poco propensi all’editoria letteraria. Ogni sua nuova raccolta è stata, così, per me una caccia al tesoro. E questo mi piace che rimanga nella mia passione di lettore: non accontentarmi dei frutti del supermercato ma cercare quei sapori rari che spesso sfuggono ai nostri editori, recensori, lettori. Pur bravi sono spesso destinati a fare da cassa di risonanza del medesimo indifferenziato gusto dell’epoca che loro stessi spesso contribuiscono a creare con l’ingenua o insincera manifestazione di un’ottimizzazione selettiva che spesso ci allontana da altre – non comprese – manifestazioni della grandezza umana.
Sotto la luna, un festino solitario
Seduto lì tra i fiori, con la brocca di vino -, festino solitario, privo di amici intimi -, elevo il mio boccale e invito il chiar di luna. Insieme all'ombra, poi, saremo in tre, giacché la luna non si negherà al bere. E mentre l'ombra seguirà il mio corpo, intanto, al fianco suo, io scorterò la luna. La via della gaiezza termina a primavera; mentre la luna ondeggia, al mio canto, qua e là. Ed ha un sussulto l'ombra, fremendo, alla mia danza. Da sobri, noi viviamo di una gioia comune; quando poi, nell'ebbrezza, ciascuno si disperde. Noi tre, per sempre uniti, vagando senza affetti, infine, in lontananza, saremo alla Via Lattea.
(trad. di Leonardo Arena, in: Poesia cinese dell'epoca T'ang, cit., p. 52).
http://it.wikipedia.org/wiki/Li_Po
Faccio un gioco che si intitola "L'intruso". Nel gioco l'intruso sono io. Sempre io. Funziona così: mi metto in un numero x di insiemi in cui non sto bene per una serie di motivi. Diversi per ogni insieme. Gruppi in cui non sto giusto. Non calzo. Ah ecco, va detto, non è un gioco di socialità. Intanto perché lo faccio solo. E poi perché alla fine del gioco rimango fuori da ogni insieme. Però forse se poi concludo una serie xy o xyz di insiemi e non sono in nessuno mi si chiarirà il cerchio di un insieme in cui sto bene con qualcuno. Ma non ne sono sicuro.
www.paesesera.it/Societa/Qui-e-tutto-prato!-Non-e-la-via-Gluck-Gita-nella-borgata-di-Cinquina Che ci faccio qui Cinquina di Roberto Carvelli
Qua una volta era tutto prato. Non è la via Gluck ma la (borgata) Cinquina. Di prato, in verità, ce n’è ancora e tentiamo una piccola operazione restyling sostituendo la parola borgata con sobborgo. Un po’ perché inadeguata ai tempi e non più adatta a quelle marchiane partizioni classiste di una volta ora tutte risquadernate in peggiori classi e sottoclassi ma tutte contigue in un sogno pericoloso che ricorda il Teorema pasoliniano. Apparentemente felice. Il sogno degli amanti dell’induzione al consumo più sfrenato.
A Cinquina ci si arriva solcando la nuova viabilità di via della Bufalotta, tutto il complesso disegno del GRA altezza Porta di Roma. Arrivarci così, dopo la ridda di centri commerciali, dovrà pure farvi lo stesso effetto che ha fatto a me. E basta! Finalmente eccomi in Italia, anzi a Roma, meglio nella old Campagna Romana. Finché dura, perché da queste parti stanno costruendo con un’ansia abitativa – e nessuna cautela infrastrutturale, viaria etc. – da malati di mente. Ecco: i nostri specialisti della psiche dovrebbero analizzare questa compulsività architettonica. Trattarla alla stregua di un qualsiasi disturbo della personalità. Anche se le personalità che mettono insieme piani regolatori un po’ ridicoli forse sono mossi più che da ansia costruttiva dal vil attaccamento alla pecunia. Non facciamo nomi? Non facciamoli. Tanto si sanno.
Borgata e collina sono, poi, due parole che qualsiasi insiemistica dovrebbe separare. E infatti questo quartiere sta in cima a un belvedere che uno di questi costruttori se lo avesse trovato libero si sarebbe divertito a puntinare di villette a schiera. E invece Cinquina è presidiata da famiglie che si sono fatte le loro case mattone su mattone, blocchetto di tufo su blocchetto di tufo, come venivano. E, in qualche caso, ancora devono finirle e le vedi ancora lì in fieri come una grande opera di teatro d’avanguardia. L’attenzione di una scuola e di un giardino pubblico in rifacimento. La via delle vie, una specie di Panoramica, è via Feo Belcari. Chi era costui? Un poeta fiorentino quattrocentesco a carattere religioso. Ah wikipedia!
Un’altra via per accedere alla Cinquina è invece via Natalino Sapegno che molti di noi ricorderanno di aver portato sottobraccio in previsione di italiano alla prima ora. “Il (cosiddetto) Sapegno” (storia della letteratura italiana) come si diceva passandoselo di generazione in generazione, con copertine sempre diverse e quella prosa un po’ poetica e tutta tirata dritta tra storia e marxismo (ma lo storico letterario fu uno dei fuoriusciti PCI post 1956), prima che assurgessero alla moda i libri pieni di box, link e ipertesti. In parallelo via Arturo Onofri per dire che la letteratura dovrebbe essere di casa da queste parti. Ma torniamo a via Belcari che sale lasciandosi al fianco una fila di pini marittimi e tanta campagna. Speriamo che rimanga tale. Il giro completo ci porta sino al limitare di altra campagna annunciata da stalle. Ed ecco completato l’ideale giro di case di Cinquina: un agglomerato a prova di nuove costruzioni. O così spereranno gli abitanti. Alla fine venirci sembra sia stata davvero una gita. Anche se passarci in mezzo non mi ha offerto – forse per distrazione mia – il conforto di un bar.
Dopo l’invito a Cinquina un invito alla lettura. Consueto. Quello di una Roma in cui anche in quel caso era tutto prato. Da Cinquina fino all’inizio della città. Almeno da questa direzione. Porta Pia: lì iniziava tutto allora. Nel racconto di Edmondo De Amicis – l’indimenticato autore di Cuore (per qualcuno di Amore e ginnastica – espunto dalla sue memorie e intitolato Roma (ECRA, € 7,50 – corredato dalle tavole del bravissimo disegnatore cartoonista Simone Massi, uno da tenere d’occhio) la città arriva alla fine della Nomentana allora di muri e poderi. Siamo al 21 settembre 1870 e alle imprese dell’ingresso dell’esercito “italiano” nella città. Non è il caso di essere nostalgici ma concreti e di sognare che un po’ di prato rimanga attorno a Cinquina come una benedizione di cui nessuno dopo di noi possa dire, con il cuore infranto: anche qui una volta era tutto prato.
Piccola incursione nell'editing che faccio mia da Vibrisse di Giulio Mozzi ma di cui riporto l'originale che si deve a una riflessione dell'editor Anna Albano sul suo lavoro (su un testo specifico ma vale la riflessione generale). Il suo 7 di 10 è questo che posto.
7. Tagliare e sintetizzare per colpire più forte “In Martino quella autorità esercitata da un uomo che si indeboliva di anno in anno suscitava tenerezza. Pietas, la chiamavano i latini. Quello che provano gli uomini nella forza della loro maturità osservando i vecchi che si vanno spegnendo”: questa frase prima recitava: “A Martino quella autorità esercitata da un uomo che si indeboliva di anno in anno suscitava tenerezza. Pietas, la chiamavano i latini. Quello che provano gli uomini nella forza della loro maturità osservando la debolezza dei vecchi. Senza poter fare a meno di ricordare quanto forti erano stati quei vecchi un tempo e come, un giorno, anche la loro forza attuale di adulti sarebbe venuta meno.” Sacrificando l’ultima frase non togliamo niente: quell’“osservando i vecchi che si vanno spegnendo”, che esprime un’attitudine pensosa e riflessiva, contiene già anche il pensiero dell’osservatore più giovane su sé stesso e sulla propria altrettanto inevitabile decadenza. Però più sfumata, più allusa, richiedente la collaborazione del lettore.
http://vibrisse.wordpress.com/2012/03/19/i-dieci-interventi-piu-frequenti-nel-lavoro-di-editing/#more-14357 http://cosedalibri.blogspot.it/
Ci sono quelle che ti chiamano il giorno dopo averti incontrato con qualcuna per capire se c'è qualcosa da capire. Se non cedi alla curiosità ci sono due sottogeneri: chi insiste e scava e chi lascia cadere la cosa. Ma - come ci ha abituato la fisica - un corpo pesante cade più velocemente di un corpo leggero. E' una questione di genere dire o non dire, assecondare o no. Talvolta è pure una questione generica. Comunque una questione degenere parlarne - e me ne scuso - ma stamane l'ho fatto.
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