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Ho visto da poco Diaz. Un po' resistendo a quel "ci devi andare" che mi faceva fare resistenza. Avevo visto a suo tempo Romanzo di una strage. E mi trovo qui ora a pensarli insieme. Come due film che andavano fatti. Due film che hanno uno lo svantaggio e l'altro il semivantaggio del tempo. In realtà erano e sono due film che andavano fatti ma che raccontano una realtà a cui la finzione poco può dare se non le macchiette o il "al posto di". Come si dice con parole abusate "la realtà supera la fantasia". E così mi sono commosso e indignato ma interessato meno (meno dei reportage fatti al tempo). Ma, ripeto, capisco e approvo i perché della realizzazione. Fare un film storico-civile - per dire: un Le mani sulla città - non è cosa facile. Più facile tirare su un Gomorrafilm da un Gomorralibro. In tutti i casi anche se non riescono o riescono parzialmente (qui i due registi sono stati bravi uno a far parlare realtà e ricostruzione insieme, lì a distendere una verità un po' asseverata per quanto poi surgelata) le operazioni di questo tipo hanno a dispetto di loro stesse un perché più grande. Che noi facciamo nostro. In un paese che ha più gambe di memoria corte. Voglio dire: una paese che fatica ad allontanarsi quanto basta (cioè molto) dai suoi errori.
C’è vicenda di morte in paradiso? Cade il frutto maturo? O sempre i rami Pendono grevi nel sereno cielo Che non muta, ma è simile alla terra, Con fiumi come i nostri, sempre in cerca D’introvabili mari e di marine Intangibili al gesto dell’angoscia? Perché piantare peri sulle sponde Di quei fiumi, o odoriferi susini? Portano ahimè lassù questi colori, Veston la seta delle nostre sere, E fan vibrare i nostri vani liuti! Mistica madre di bellezza è morte, Nel cui tepido grembo intravediamo Le madri nostre in un’insonne attesa.
Un genere di persone che si definisce ottimista pur almanaccando e mietendo più no che sì. Un genere che poi si picca pure di questa bolla. E la ribolla (non il vino no...e questa volta la doppia negazione serviva) come negativismo altrui. Negativismo: esisterà? Dico: ma voi preferite il nichilismo, il negazionismo o il pessimismo (o negativismo se mi accettate questo neologismo per dire di chi tende al no più che al sì, un no non poi così concettuale)? Io sono quel genere di persona che no non preferisce. E non è che non... Proprio no. Io sono ottimista.
Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo è vero se è vero che tua cammini ancora, tutto il mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi dalla tua nascita e l'importanza del nuovo giorno non è che notte per la tua distanza. Cieca sono ché tu cammini ancora! cieca sono che tu cammini e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.
L'ultima volontà della sua condanna è recuperare il tempo perduto. Quello che ha speso male. Quello che non ha speso. L'ultima volontà è una seconda condanna. Il desiderio della fine è solo la scoperta della fine. E pesa più della condanna. E addolora. E piaga. Lo chiama "Lo spreco" come se fosse un corpo unico. E questo gli dà leggerezza. Apparente. La farneticazione delle parole ha pochi rimandi felici. Nessuna clausola che contenga un disinnesco. La condanna è "Lo spreco". E non è nemmeno da trovare una parola ulteriore. Perché la parola non ha nessun potere. A questo punto. Al punto della sua condanna. Ora, pensa, tutto sarà più semplice perché definitivo. Più chiaro perché orizzontale. Il momento in cui scopre "Lo spreco" è quello in cui fa esperienza della sua fine. Un'esperienza dolorosa che però lo libera. Il male qui non viene per nuocere. Viene per chiudere il cerchio. E chiudere il cerchio ha qualcosa di perfetto e definitivo. Da adesso, pensa, tutto è più chiaro. E non è chiaro se lo pensa o se lo vede. Ma si sente pronto alla condanna.
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