Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Andate al cinema. Perché i cinema sono vuoti. Perché i ristoranti sono sempre pieni. Perché al cinema si sta zitti. Perché la persona che vi sta al fianco, vi piaccia o non vi piaccia, è lì al fianco vostro nella sua più completa nudità. Quella del silenzio. Andate al cinema perché dopo avrete qualcosa di cui parlare. Perché davvero lì saprete come la pensa quella persona, fuori dalle frasi fatte dei brindisi, dai complimenti gratuiti che danno il ritmo ai bocconi. Andateci anche per capire come si siede. Dove si siede. Dalla postura capirete tante cose: l'imbarazzo per il vostro corpo, l'imbarazzo del suo corpo. Se parla troppo o troppo poco. Se il silenzio e la concentrazione conservano un po' di attenzione per voi. Per sapere quanto potrete contare nei momenti difficili o di apnea di un pensiero che sia costante e che non vi faccia sentire soli o vedovi o in pausa. Perché non esserci per un altro è il peggio che possa capitare quando le cose sono in salita e qualcuno - anche voi sì - rimane indietro. Andate al cinema. Anche soli. Sedetevi dove state comodi. Allontanatevi da compagnie chiassose. Prendete le distanze dai masticatori, dai chattatori, dagli esseemmessatori, dai commentatori. Andate al cinema allo spettacolo che preferite. A quello in cui potete. Ma provate a farlo di pomeriggio. Quando il mondo si rivolta dalla parte sbagliata del tempo. Se vi capita di andarci troppo tardi addormentatevi senza imbarazzi. Se siete soli qualcuno vi sveglierà. Se siete insieme a qualcuno e ve lo farà pesare saprete qualcosa in più di quella persona. Andate al cinema e proponete ad altri di andarci come un insegnamento porta a porta di una religione che è sempre più iniziatica. Andate al cinema come per officiare un culto d'insieme che un giorno non sarà né un culto né un insieme e questo, se provate a pensarci, non sarà per niente bello.
Rimasto indietro sulle visioni recenti inizio da ieri sera. Anche se con poca emozione e dico sì andate al cinema ma non per forza a vedere On the road. Perché fotografia a parte si tratta di un film che manca un po' lo scopo accontentandosi di una visione parziale e di strada. Senza riuscire ad approfondire più di tanto il viaggio della vita di cui è metafora quella strada che attraversa gli States. Bravi gli attori ma in se stessi. Come esercitazioni di uno stile che tiene in piedi questo tributo mal riuscito a una grande opera narrativa USA (vedi anche Chiedi alla polvere: dimostrazione che è meglio punire di sorvegliare quando si ha a che fare con un talismano, epocale o assoluto che sia). Andate al cinema a vedere Reality perché sì questo è forse il film italiano migliore del momento. Certo si allunga un po' nell'attesa dell'ingresso nella casa e nelle manie di persecuzione che avvelenano il sogno del successo ma alla fine è un'opera importante e riuscita nelle sue ambizioni di trascesa sociologia. Contrariamente a The Truman Show il protagonista in fine entra nel invece di uscire dal sogno di realtà (edulcorata). E lo fa nel solo modo che conosce: di soppiatto, fondendo tristemente aspirazioni di cui si nutre (malamente) e mezzi di cui disponde (inconsapevolmente). Una favola cruenta con un fine lieto solo nelle intenzioni di chi si condanna alla propria sconfitta di realtà. Andate al cinema a vedere Tutti i santi giorni perché Virzì è riuscito a fare un film sull'amore partendo dal suo frutto(?) più immediato e quintessenziale divertendoci amaramente sulla incolpevole necessità di aggrapparci a qualcosa per dire di esistere affettivamente. Effettivamente. E' in questo sostanziale - e strutturale - sbilanciamento che l'amore opera e dispone. Il cupido più vero crea lacci e cordate e in questi tiene assieme personalità diverse, aspirazioni inappagate. Dove c'è amore c'è una salita che magari non arriva mai alla sua vetta. Un'aspirazione, una ossessione e un bisogno. E' il suo bello, direbbe qualcuno. Questo tentare. Delle volte anche questo frustrato non riuscire. C'è a chi piace. E c'è che ogni tanto finisce per piacere un po' a tutti. E per dispiacere. Ma si gioca così.
Di Carvelli (del 19/10/2012 @ 08:54:11, in diario, linkato 1418 volte)
sempre sia il mio cuore aperto ai piccoli uccelli che sono il segreto del vivere qualsiasi loro canto è meglio del sapere e gli uomini che non li sentono sono vecchi
sempre la mia mente vaghi affamata intrepida assetata e agile e anche s'è domenica il torto sia mio ché se la gente ha ragione non è giovane
e che io non faccia mai nulla di utile e il mio amore per te sia più che sincero perché nessuno giammai fu così stolto da non attirarsi con un sorriso il cielo
Cos'è la letteratura per me. Cos'è un libro per me. A cosa mi serve leggere. E nessun punto di domanda. Perché sono tutte risposte. Perché la domanda è una risposta. La risposta è la scelta. Scegliere è il mestiere della letteratura. Il suo specifico. Scegliere è cercare. Qualche volta trovare. Fortunatamente (o fortunosamente) trovare. Cerco un libro che mi spiega. Che spieghi il meccanismo delle cose che non so, di quelle che avverto senza saperle dire. Cerco un libro che apre. Che apra quelle nuvole grigie che nascondono le cose e i sentimenti che ho intuito. Che metta in contatto queste urgenze. E vengo a Richard Yates. Di cui avevo letto e apprezzato Revolutionary road. Anche se ne avevo percepita una bellezza perfetta ma distante. Algida. La stessa che ritrovo negli Undici racconti. Una riuscita scuola di scrittura: bellezza messa in forma propria. Eppure è in Easter parade che avverto la scossa vivida dell'incontro che cerco. Quello con il saper rivelare. Quello con il disegno più grande che uno scrittore magari si limita a tratteggiare con segni molto leggeri ma necessari e prossimi alla evidenza di una verità più ultima. Più grande è lo scrittore più chiaro è il disegno. Più vibrante la parola che lo dice. Vibrante ma essenziale. Vivida la luce. Abbagliante ma schermata per renderne chiara ma sostenibile la visione.
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