Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Rileggo un racconto di Vittorio Imbriani. C'è un certo Squillacciotti e mi viene in mente, non so perché, la saga di Scaramella. Intanto ecco una pagina dello scrittore.
Da Vittorio Imbriani - La bella bionda. Costumi napoletani
(...) Un giorno, facendo non so che scampagnata, capitammo a pranzo sul Vomero in lieta brigata; e, caduto il discorso sulle prossime nozze d'un nostro compagno, il quale si pretendeva innamorato, indispettendosi che non volessimo credergli punto punto, lo Squillacciotti parlò press'a poco così: «Qual'è il miglior amore, o più esattamente, l'unico amore possibile in Italia? L'adulterio: e vel dimostro. In quattro condizioni può trovarsi la donna: o sarà fanciulla, o vedova, o pubblica, o maritata; di qui non s'esce, altri stati non vi sono. Vediamo in quale stato possa meglio amare ed amarsi. La fanciulla pensa a collocarsi, a trovare un buon partito, ad uscire dalla dipendenza della casa paterna, ad acquistare quella personalità, che solo il matrimonio può darle; non vuole amanti, anzi pretendenti; non fa alle compagne la storia delle sue passioni, anzi il racconto de' matrimonî, che le sono usciti, delle occasioni che ha avute. Quindi sta sempre come un cacciatore in agguato. Simula e dissimula. Le opinioni, i gesti, le virtù, le parole, il carattere suo, tutto è convenzionale. Del resto, non hai l'agio di trattarla con quella confidenza ed assiduità, che ti permetterebbero di riconoscere la fisonomia sotto la maschera. E spesso, non c'è fisonomia: l'ignoranza e la soggezione, in cui l'hanno educata, ne hanno compresso ed impacciato lo svolgimento morale; atrofizzano in lei la passione. La vedova ha più valore: conosce il mondo, comprende gli affetti, sente; ma, per lo più, medita anche essa di risituarsi, e sarà capace di conculcare gli affetti vostri ed i proprî per asseguir codesto bello scopo; o, se vi fa delle concessioni amorose, le limita, le subordina alla cura di tanti riguardi, all'apparenza, alla riputazione. La cortigiana, quella non ha riguardi quando ti vuol bene, e lusinga altamente la tua vanità, poiché in piena cognizione di causa antepone te solo a tutto il pubblico. Poi non ha imposture; Orazio Flacco l'ha detto in versi bellissimi: mercem sine fucis gestat. Ma è malsicura e mutabile; non t'offre alcuna guarentigia di costanza; accanto a lei, sei consumato da gelosia (se non altro retrospettiva ed indeterminata, che mi sembrano le due peggiori forme della gelosia), anche quando lei non ti dà alcun appiglio. Inoltre arrossisci d'amarla e d'esserne riamato; ti senti ridicolo; la disprezzi; ti disprezzi di amarla. E quell'amore e quella gelosia ti corrodono il cuore, simili a due ulcere infami, dalle quali ti lasceresti mangiare le carni, per non aver l'umiliazione di mostrarle al chirurgo, di raccontargliene l'origine. Rimane la donna altrui: essa ti ama disinteressatamente; da te non può chiedere, desiderare o sperare se non corrispondenza d'affetto; quest'unico contraccambio vuole, non altro. Conscia bene di quel, che si è l'amore, ti antepone agli altri corteggiatori, ti antepone al marito. È sicura, perché i nostri costumi rendono i legami di questo genere patti d'onore, come l'obbligo di pagare i debiti di giuoco; si sacrifica, si compromette per te; arrischia la pace e la tranquillità, e spesso la vita, sempre che ti accorda un quarto d'ora di piacere... Ed ora, ditemi voi: quale preferireste di queste quattro donne, di questi quattro amori?» (...)
Ho comprato e iniziato a leggere Le Correzioni di Jonathan Franzen. Poche pagine quindi è difficile dire. Ma intanto la conferma che una poltrona è un universo. E che spesso si dice di più di un personaggio quando lo si fa fare qualcosa anziché dirla. Poi ho letto la recensione di Laura Lepri sul Sole della Domenica) e ho regalato Lettera a un giovane scrittore di Claire DeLannoy. che è un editor e una scrittrice e scrive quindi nella doppia prospettiva di chi lavora con la propria e l'altrui scrittura. Sono suggerimenti e riflessioni sul tema angelo o professionista sotto le cui doppie mentite spoglie si raccoglie una delle figure preminenti della editoria in toto. In entrambi i casi - spiritualità o materialità - non è ,ale che si parli di e parlino gli artefici delle buone cose dei libri.
sono seduta in briciole, gli occhi accecati per pudore, secondo le istruzioni di un gioco di mattoni viene inserito il pezzo. Scosse che avvisano: i rottami planano come foglie.
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quando mi dormi in mente la stanza ha il tuo profilo ed ogni cosa un posto come le vene. Sei il figlio, e il piccolo animale fermo sulla terra annusata cercando la radice la traccia, la coda di una promessa che trattengo, fino a che è rotto questo bavaglio, e il pensiero si disegna nella linea aperta delle nostre mani.
Di Carvelli (del 17/01/2007 @ 09:19:39, in diario, linkato 1465 volte)
Ancora Franzen. In una sequenza di pagine (sono ancora all'inizio) si discute dei benefici del progresso e mi colpisce quando uno (uno scrittore qui) riesce da un argomento ritrito a fare novità. Intanto perché gli argomenti ritriti sono i più interessanti. Ad esempio l'amore: con l'amore ci fai vagonate di cose e ogni volta è ritrito. Eppure vai sul sicuro. Ma se uno poi riesce a fare del ritrito novità allora è fatta. Dunque il progresso: ha fatto o non ha fatto bane all'umanità? Ha o non ha portato con sé il salto del paradigma? O ha creato nuova disillusione. "Un nonnulla rallegra l'aria" c'è scritto in un libro di un mio allievo (Roberto Cannone...chissà se scrive ancora) nel periodo in cui ho insegnato. E' bello delle volte riprendere in mano pagine che hai perduto o pagine a caso e cercare in mezzo. C'è sempre qualcosa che ti può (rallegrare, anche in una giornata tutta nuvolosa come questa) riguardare.
Di Carvelli (del 18/01/2007 @ 08:41:31, in diario, linkato 1405 volte)
Dice che ho un carattere duro. Inflessibile. Che non perdono, dice. Che sono severo con me stesso e con gli altri. E che con me stesso va pure bene ma con gli altri...Dice che mi dovrei ammorbidire, essere più flessibile, più permissivo. Dice così, l'oroscopo.
Di Carvelli (del 18/01/2007 @ 15:20:47, in diario, linkato 3765 volte)
E' sempre un mistero quando una parola - non il suo solo suono - riesce a portarsi appresso la semplicità e l'assolutezza del suo senso e insieme (semplicità e assolutezza) concorrono a definire un universo personale che è pure universale. Succede così che le cose solo presentandosi (dicendo il loro nome, la parola appunto) riescono a far esplodere un senso compiuto, definitivo ma vivo. Come in questi versi di Annalisa Manstretta.
Mi hanno vissuto a lungo nelle zone più alte della mente popolazioni di montagna chiuse in masi, stringendosi tra loro. Portavano la grande sciarpa dell'inverno la loro opportuna cornice la mia dolcezza di gelo. Venivano senza contratto ne richiamavano altri. Mute le mie campagne ammiravano quella sopravvivenza difficile. E tu guardi la tua lenta bonifica cadendo le loro case vuote.
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Non ho potuto venire da te. Sto su piastrelle ordinate su una sedia chiara, la stagione distesa ed ampia mi manda un benessere di cieli un po' di fiato nel cortile senza voce. Talvolta in questa luce escono le mamme senza testa, s'affacciano. I loro piccoli sono tranquilli seppelliti sotto laghi allungati o monti, non le vedono. Tornano in casa gonfiano i cuscini dei divani preparano la cena ai bambini.
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Come sono diverse le notti
Ogni posto ha la sua.
Questa è quella che scende nelle case
dove il buio ha la forma di un cubo
di stanze con la porta chiusa.
E’ quella dove il mondo si divide in due:
le cose impalpabili come l’aria e i pensieri
che abbracciano tutto
e poi le pareti, l’armadio, il letto, la lampada
che non ci sono più, ma lasciano lì sagome
come crisalidi rigide e dure.
Aria immobile con dentro gli ingombri delle cose
E anch’io, tutta compatta e solida,
mi avvicino al regno minerale,
al cemento, all’argilla, al gesso silenzioso
che stanno attorno a me, dentro i muri.
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Adesso sono un sentiero di terra battuta
Sperduto in alta montagna
Dove, in questa stagione,
è già caduta un po’ di neve,
e non a un’ora qualunque della giornata
ma un’ora prima dell’alba
nel grande freddo prima del sole
nel grande buio
senza l’aiuto dello sguardo
che fonda le sue colonie nei paesaggi più inospitali.
Nessuno che vede, nessuno che cammina.
E in fretta la mia mente
Si è messa a disegnare l’immagine di una casa.
Da: La dolce manodopera, di Annalisa Manstretta - Moretti&Vitali, 2006
Di Carvelli (del 19/01/2007 @ 09:51:09, in diario, linkato 1366 volte)
"-Sto dicendo, Melissa, che i figli non dovrebbero andare d'accordo con i genitori. Tuo padre e tua madre non dovrebbero essere i tuoi migliori amici. Nel rapporto genitori-figli dovrebbe esserci qualche elemento di ribellione. E' così che si definisce la propria identità individuale. -Forse è così che definisci la tua identità, - disse lei. - Ma tu non sei certo un emblema di maturità felice". (Le correzioni - Franzen)
L'esergo è a dire anzi a seguitare il già detto. Ovvero della capacità di un libro di mettere in campo un dissidio, un contrasto. Partiti in opposizione anche su macrotemi tutti condivisi. Idee su cui ognuno ha una sua opinione (avete presente le trasmissioni tv con tanti litigi?) ma portate avanti con onore, senza quel gusto (o retrogusto di ovvietà) che spesso lasciano i suonatori imporvvisati di tamburi.
Di Carvelli (del 19/01/2007 @ 12:45:21, in diario, linkato 1514 volte)
«Lei: Credo che potrei innamorarmi di te. Lui: Perché? Lei: È una cosa che sento. Lui: Credi a tutto quello che senti?»
«A volte pare Altan, a volte Claire Bretécher, o i Peanuts, o Calvin & Hobbes (nomi grossi): ma è sempre lei. I suoi dialoghi sono già delle strisce, su vite e lavori e amori tutti ugualmente precari.»
Queste righe le ha scritte Stefano Bartezzaghi commentando il primo libro di Rossella Messina. Che è un libro fatto per sequenze di dialoghi a volte fulminanti, spiazzanti (vedi in cima e in fondo al post). Prima che sia il 25 gennaio (data dell'arrivo in libreria) mi permetto di consigliarvelo. Io ho letto e conosco Rossella (è lei che ha curato l'editing di Letti quando lavorava in Voland). Ho letto dicevo queste e altre cose e ho anche cercato con poca fortuna di farle arrivare ad un paio di editori ma...è inutile piangere sulle bozze versate (e questo vale per noi come per tutti gli aspiranti inviatori di dattiloscritti)...quello che è certo è che oltre all'arguzia del botta e risposta (leggetevi il suo blog www.pensavopeggio.splinder.com) c'è una sensibilità di racconto che emerge anche nelle cose più naarrative della Messina che spero di cuore che trovino la luce della stampa (specie Limbo che è l'inedito che ho amato durante la fine di un'estate un po' faticosa e vuota). Ma torniamo all'oggi, anzi al domani, o meglio al 25 gennaio e diciamo che se una volta si diceva "ditelo con i fiori"...ora io direi ditelo con Pensavopeggio (e c'è da credere che forse anche Lui capirà).
Lui:
Ho deciso di venirti incontro.
Lei:
Convivenza?
Lui:
Pensavo di passare dalle tue
parti per un caffè.
• • •
Lui:
Certe volte vorrei un figlio,
altre…
Lei:
Un pallone?
Di Carvelli (del 23/01/2007 @ 09:03:14, in diario, linkato 5719 volte)
Nel sogno fumo un pacchetto di sigarette che non esistono. Fumo delle sigarette che ho comprato al tabaccaio, che ho scelte. Le ho indicate in cima ad un mucchio davanti alla cassa e le ho pagate e poi le fumo. Le sigarette sono bianche (filtro e tutto il resto). Sono avvolte in un pacchetto morbido. Di carta bianca. E ad occhio potrebbero somigliare alle sigarette del monopolio di stato meno conosciute e antiche. Tipo nazionali, n80, esportazione. Ma allo stesso tempo sembrano anche sigarette vecchie e basta. Marche che non ci sono più e che ha fumato una volta mio padre prima di decidere di smettere per non far respirare fumo ai figli piccoli. Come un fioretto. Una rinuncia. Una delle tante.
Di Carvelli (del 25/01/2007 @ 14:24:50, in diario, linkato 1481 volte)
Alle prese con una verde milonga il musicista si diverte e si estenua... E mi avrai verde milonga che sei stata scritta per me per la mia sensibilità per le mie scarpe lucidate per il mio tempo per il mio gusto per tutta la mia stanchezza e la mia mia guittezza. Mi avrai verde milonga inquieta che mi strappi un sorriso di tregua ad ogni accordo mentre mentre fai dannare le mie dita... Io sono qui sono venuto a suonare sono venuto ad amare e di nascosto a danzare... e ammesso che la milonga fosse una canzone, ebbene io, io l'ho svegliata e l'ho guidata a un ritmo più lento così la milonga rivelava di se molto più, molto più di quanto apparisse la sua origine d'Africa, la sua eleganza di zebra, il suo essere di frontiera, una verde frontiera ... una verde frontiera tra il suonare e l'amare, verde spettacolo in corsa da inseguire... da inseguire sempre, da inseguire ancora, fino ai laghi bianchi del silenzio fin che Athaualpa o qualche altro Dio non ti dica descansate niño, che continuo io... ah ...io sono qui, sono venuto a suonare, sono venuto a danzare, e di nascosto ad amare ...
E' proprio così: mi accorgo di amare il mio paese nelle sue manifestazioni più maldestre, confuse, complici. Intanto è ben che dica che queste sono parole mie e non di Paolo Conte che invece mi precedono. Quelle di Alle prese con una verde milonga, un pezzo arcifamoso del 1981 che accompagnano le mie parole di oggi. Dell'oggi di un me perso tra uffici e impiegati che catalogano, attribuiscono numeri di protocollo alla vita mia e delle persone che amo. Impiegati che fanno piovere inchiostri in forma di timbro sul nostro star male, sul nostro aver bisogno. E nel frattempo un caffè, una strizzata d'occhio, un compiacimento, un aiuto, una scorciatoio, una semplificazione. Proprio quando non te lo saresti aspettato più. Ma proprio quando è il caso.
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