Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Tre giorni tre barbecue tre case. Carne come se piovesse (o nonostante piovesse).
Ha detto "sono di Fermo provincia di Ascoli Piceno e sono fiero di non essere romano". La signora dice "ma chi te c'ha chiamato, ma chi te ce vole a Roma. Stavamo mejo quanno eravamo tutti romani".
Tanta è l'abitudine che se mi chiamano per nome e non per cognome penso che ce l'hanno con qualcun'altro.
Ogni giorno la fisioterapista mi chiede a che punto sono. Le spiego che non è l'unico libro che leggo (1984) perché in effetti mi vede da giorni e sto più o meno allo stesso punto. Il punto di oggi è questo: "In linea di principio, lo sforzo bellico è pianificato in modo da divorare ogni bene eccedente i bisogni fondamentali della popolazione. In effetti, i bisogni della popolazione sono costantemente sottovalutati, con la conseguenza che vi è una carenza cronica di una buona metà dei beni necessari, ma a ciò si guarda come a un vantaggio".
Ieri abbiamo visto Happy Family di Gabriele Salvatores e ci è piaciuto. Di seguito spiegherò il mio perché. Ma prima una premessa. Anzi due.
Prima premessa. Per me il cinema si divide in film fatti bene e film fatti male. E quindi: non in cinema d'autore e cinema di genere. Ma bene e male. Lo ammetto sono un recensore da Concilio Vaticano II, da Santa Inquisizione ma no dài... Bene e male sta solo per funziona/non funziona. In definitiva il cinema non è d'autore (bene) di genere (male).
Seconda premessa: del film in questione avevo letto una critica (in Internazionale) in una parola. Pointless. Chiedo aiuto al vocabolario
Pointless agg. 1 senza punta privo di punta spuntato. 2 (fig) (meaningless) privo di senso, privo di scopo, senza significato. 3 (colloq) (useless, futile) inutile, superfluo: it's pointless to complain è inutile lamentarsi. 4 (Sport) senza segnature.
Come ovvio il recensore ce l'aveva con l'apparente gratuità dell'intreccio. La sua non necessità. La parola è bella e la riuserò. Prima di tutto in senso autoreferenziale perché io sono molto pointless. Già ma di questo non si lamenta nessuno (non è vero si lamentano in molti!). In genere. Diciamo che ne ho fatto a volte una qualità come di tante cose che faccio storte e alterne. Tipo volere bene (ma tanto) ma a intervalli. Tipo essere generoso (ma tanto) ma a intervalli. E cose così, che faccio a intervalli.
Basta con le premesse. Io credo che il più pericoloso dei difetti di Salvatores (anche per Tornatore vale un simile discorso anche se con sostanziali differenze)... - anche lui ne ha fatto a volte un pregio - è il rischio della retorica delle idee e della bellezza. Ma siccome ha una grande capacità di lavorare sulle forme e sui sentimenti ha fatto film formalmente belli e commoventi (vedi vocabolario). Ed è un pregio. Vista certa pedanteria e understatement italico insistito e ricercato, sbandierato. Detto ciò come accade anche nella letteratura la valutazione si deve spostare. Ci si deve chiedere se in quelle forme apparentemente così curate ci sia del contenuto. Da libero pensatore autodidatta penso che c'è da condividere l'accezione delle filosofie orientali, di cui credo anche Salvatores sia conoscitore o appassionato, per cui la forma può essere in effetti vuoto, la forma può essere contenuto e il contenuto può essere forma (ecco il perché di tanti film autoriali che ci giungono fastidisosi, inutili, pointless... visto che l'ho imparato lo dico!). Insomma ieri ho pensato che nelle pieghe di questo gioco sui personaggi (scomposizione delle loro funzioni, film nel film, verità/finzione ma senza intellettualismi) Salvatores abbia composto un'opera interessante, divertente e leggera, di quella leggerezza pensosa che riesce a nascondere nelle pieghe di un game dei significati. E questo è un merito. Non mi sarei soffermato negativamente (se appunto fossi un qualificato recensore) sul gioco del game (scusate la tautologia) fatto di citazioni monocrome almodovariane, sui pirandellismi, su una certa aria smielata volutamente riecheggiata dalle note di Simon &Garfunkel. Quelle sì forme, forme del gioco ma sulla divertente disposizione dei personaggi, sulla loro buona direzione/recitazione (solo Abatantuono l'ho trovato un po' sacrificato in un cliché ma era il game in questione) sui doppi finali, sul meccanismo della trasformazione pur se nell'irrinunciabilità dei finali salvatoresiani che tutti conosciamo. Escatologici e fricchettoni (politici). Una cifra, la sua. Lasciamogiela.
La parola di oggi è Ungulato*. Chiedo sostegno a wikipedia (in nota) per dire che per me, che non so esattamente chi è ungulato e chi no a parte l'elefante, la parola ha il senso di un suono. E il suono mi dice nell'ordine: foresta, confusione, terra, scalpiccio insistente. Non so quale altra parola contiene questa stessa famiglia di variabili. Non me ne viene in mente nessuna per cui rimango all'ungulato e vi dico che mi hanno sempre destato brividi di insoluto più che di assoluto le famiglie degli animali. Quei complicati teoremi di sottopartizioni. Cionondimeno sono vivamente interessato dalla polemica/diatriba post/antidarwiniana che si sta consumando e ho letto con piacere ed entusiasmo questo articolo che metto in nota**. L'entusiasmo nasce dalla mia convinta vicinanza a Darwin e all'evoluzionismo. Da qualunque vertebra o parola o costume lo si guardi. Compreso questa camicia che ora indosso e che anni fa mai avrei messo.
*Gli Ungulati (dal latino ungulatum, ossia "provvisto di unghie" -intese come zoccoli-) sono un gruppo di mammiferi dal rango attualmente non ben definito, ma comprendente in generale quegli animali che appoggiano il proprio peso corporeo sulla punta delle dita, che hanno perciò sviluppato le unghie a guisa di zoccoli per proteggersi dall'usura. Oltre agli zoccoli, altre caratteristiche comuni agli ungulati sono la riduzione dei canini, i molari di tipo bunodonte (di forma appiattita) e l'irrobustimento dell'astragalo.
**Il titolo è “Colleghi scienziati non sparate su Darwin” ne è autore Luca Luigi Cavalli-Sforza. In rete non lo trovo per cui lo cito e basta.
Non è un bel modo di fare: girarsi a guardare. Con le persone, neppure, è bello da fare. Devi imparare a farne a meno, mi dico. Conto fino a 10, il tempo che si allontanino, che passino. Non è bello mi dico, fissare la gente. E leggere sui muri. Che magari sei lì che guidi. Non è un bel modo di fare. Ieri a Firenze ho letto questa scritta senza poterla dimenticare.
SCARPE BIANCHE E VANITA'
Anche oggi andavo in moto e leggevo. Ogni giorno è così. Per esempio c'è questa famosa Laura, di cui vi ho già scritto, nel mio quartiere... nel mio quartiere ci sono molte Laure (pure una mia amica) ma c'è questa, credo una sola a cui si rivolge l'amore di qualcuno che si dice "NON MALATO MA INNAMORATO" perché è vero che quando ti si accolla uno o una pare proprio "malato/a". Anche oggi ho letto. Purtroppo. Non fate come me. Non leggete. Oppure sì, decidete voi...
FROCIO KI LEGGE
Trovo e rubo i seguenti versi da questo articolo di Daniela D'Angelo http://www.silmarillon.it/default.asp?artID=123&numeroID=11
I versi sono della poetessa argentina Alejandra Pizarnik.
Qui viviamo con una mano alla gola. Che nulla è possibile già lo sapevano gli inventori di piogge e i tessitori di parole tormentati dall'assenza. Perciò nelle loro orazioni c'era un suono di mani innamorate della nebbia.
°°
Questo lillà perde i fiori.
Da se medesimo cade
e cela la sua antica ombra.
Morirò di cose come questa.
Ne so poco. Già, eccomi, sono io: quello delle premesse. Già, proprio io. Ma in questo caso, mai come in questo caso, mi sento nel giusto o tollerato. Avete presente Raymond Carver in quel racconto Di cosa parliamo quando parliamo d'amore? Non ricordo neppure se cito bene ma c'è una cena o un pranzo e tutti parlano. E tutti parlano di amore senza tirar fuori una definizione, scioglerne il rebus. Io ieri l'ho fatto. Prima c'era stata una telefonata di un'amica in lacrime. Poi una con una collega. Poi di nuovo questa amica. Poi un amico a voce. Poi, oggi, una serie di sms e questa è una storia mia che apro e chiudo qui. In definitiva penso oggi un quarticello dopo le 10 che l'amore sia l'unica risposta a tutto quello a cui non sappiamo dare una risposta. Penso questo dopo aver sentito una delle persone di cui sopra dire di un suo ex che si è fidanzato con una persona egotica come lui (e io mi sono ricordato di aver visto convolare insospettabilmente a nozze due analoghi soggetti egotici, felicemente nonostante le perplessità dei loro amici) che quel rapporto si fondava su principi sbagliati mentre lei lo avrebbe impostato su principi sani ecc... Ebbene, ecco. La risposta è in questa confusa esposizione (l'esposizione è chiara, non è questo). Confusa perché manca l'obiettivo. Un obiettivo confuso e inspiegabile quale l'amore è. Il so di non sapere sentimentale deve trionfare e meno trionfa più si ottunde, si specializza, si allontana dal cuore nocciolo della questione. E ritorno alla mia definizione che l'amore sia l'unica risposta a tutto quello a cui non sappiamo dare una risposta per dire che l'amore non ha una meccanica definita e se anzi uno si sforza di trovarla manca completamente l'appuntamento con esso. Mi rendo conto che il ragionamento parrebbe più a posteriori ma può tornare utile in corso d'opera o negli abbozzi preparatori. Tipo quando uno sta lì che si scervella per trovare un senso e il senso non c'è. Che uno sta lì che vorrebbe far andare a pennello qualcosa che davvero non ci va. Non c'è altro da fare dunque: far trionfare questa indefinitività. L'amore è l'unica risposta a tutto quello a cui non sappiamo darne una. E' neutro, è reversibile, ha più impugnature, non ha perché. Non c'è soluzione nel numero successivo. Per ognuno si fonda e si basa su cose sbagliate, principi imperfetti. Con ognuno è così bravo da inventarsi strade personali (personali per due). Se provi a trovarne una ragione finisci per trovarti senza ragione. Così è. Purtroppo veniamo (e in essa cresciamo) nella cultura del miracolo. Ma apparentemente e in una teoria semplificata, eccessiva. Cresciamo senza poi saperli davvero riconoscere. Come popolazioni che hanno perso il magico. Un magico che ci sta sempre addosso. "Per quanto mi riguarda io non credo ad altro che ai miracoli" scrive Walt Whitman e io sono con lui. E' una piccola bugia ma a fin di bene e ad maiora.
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