Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mi è piaciuta questa lettera su Il Primo Amore di Moresco. La linko.
Ci sarò di meno, ci sarò di più
di Antonio Moresco
Oggi compio sessantatré anni e sono alla vigilia di una svolta. D’ora in poi ci sarò di meno. Per lunghi periodi dell’anno non sarò più rintracciabile nella mia casa di Milano e al mio numero di telefono, perché vivrò altrove.
Approfitto di questo spazio pubblico per farlo sapere a chi segue il sito e magari anche a qualche lettore dei miei libri. Se mi telefonerete, è probabile che non mi troverete. Se mi scriverete, è probabile che non vedrò le vostre lettere fino al mio ritorno. Se mi lascerete un messaggio in segreteria, è probabile che potrò richiamarvi solo a distanza di un mese o due, quando passerò da casa e l’avrò potuto ascoltare, se sarà ancora memorizzato.
Non traete delle conclusioni affrettate, non pensate male di me. Non è che sono cambiato, che non rispondo più alle lettere e alle telefonate perché sono diventato uno stronzo. È solo che non sarò più lì, che dove mi troverò non sarò raggiungibile e collegato.
La spiegazione di tutto questo è semplice: sto cercando di cominciare a scrivere il nuovo romanzo che concluderà l’opera cominciata nel 1984 con Gli esordi e proseguita con Canti del caos, e che sarà portata al suo compimento e al suo inveramento da quest’ultimo azzardo. È un lavoro che mi impegnerà per anni e di fronte al quale -in questo momento- provo addirittura una paura fisica, che richiederà lunghi periodi di solitudine e di isolamento.
Perciò, esauriti gli ultimi impegni presi nei mesi scorsi, cercherò di non prenderne altri, se non in rarissimi casi. L’unico impegno stabile che manterrò è quello con il Primo amore.
Sono arrivato tardi a quest’ultima prova, perché nella prima parte della mia vita, per lunghi anni, ho fatto altro, perché la rincorsa è stata per me terribilmente sofferta e lunga.
Ma adesso sono qui, a questa età, di fronte a questo cimento, e non so se avrò gli anni, la salute e le forze. Per questo devo concentrarmi al massimo, aumentare il mio peso specifico, farmi fessura per questa cosa aliena che aspetta di irrompere nella mia vita.
Di Carvelli (del 03/11/2010 @ 09:30:47, in diario, linkato 1124 volte)
Cito dal dizionario del futuro pensato da Douglas Coupland alcune voci che mi hanno colpito.
CECITA’ ALLA VOCE INTERIORE: la quasi universale incapacità degli individui di articolare il tono e la personalità della voce che forma il loro monologo interiore. DENARRAZIONE: il processo attraverso il quale la nostra vita smette di sembrarci un racconto DISFORIA IDENTITARIA DA AEROPORTO: definisce la misura in cui i viaggi moderni spogliano il viaggiatore della sua identità quel tanto che basta a creare il bisogno di acquistare adesivi e articoli regalo per puntellare una personalità lievemente erosa: bandire del mondo, stemmi nobiliari, gadget di scuole e università. DISINIBIZIONE SITUAZIONALE: situazioni sociali in cui si è autorizzati a essere disinibiti, cioè momenti di disinibizione culturalmente approvata: quando si parla con un’indovina, con un cane o altri animali domestici, con estranei e baristi di locali pubblici, o con un medium. DOMENICOFOBIA: paura delle domeniche, una condizione che riflette la paura del tempo libero. Anche nota come ansia calendarica. Da non confondersi con domingofobia o kyriakofobia, paura del giorno del Signore. MIOTTRIE: l’incapacità dei vederci chiaramente come ci vedono gli altri. POSTUMANO: qualunque cosa sia quello che diventeremo poi. REINCARNAZIONE LAMPO: il fatto che quasi tutti gli adulti desiderano un cambiamento radicale anche quando hanno una vita fantastica. Il desiderio di reincarnarsi è universale. TEOREMA DI ROSENWALD: la convinzione che solo le persone sbagliate sono dotate di autostima.
Il resto, un po' del resto, lo trovate qui. http://tutaonline.wordpress.com/2010/11/01/a-dictionary-of-the-near-future-by-douglas-coupland/
Esistono concerti belli dal punto di vista del pubblico e concerti belli dal punto di vista dei cantanti o dei gruppi. Quello di ieri al palalottomatica a Roma di Prince è forse il concerto più bello a cui ho assistito. Dal punto di vista del pubblico.
">.
Su di lui wikipedia italiana è parca di informazioni.
Nizar Qabbani (arabo: نزار توفيق قباني, Nizār Tawfīq Qabbānī; Damasco, 21 marzo 1923 – Londra, 30 aprile 1998) è stato un diplomatico, poeta ed editore siriano. Tuttora è uno dei più importanti e più famosi poeti arabi nei tempi moderni.
Bisogna guardare alla versione inglese della stessa enciclopedia per sapere qualcosa in più. http://en.wikipedia.org/wiki/Nizar_Qabbani Di questo poeta possiedo un libro in fotocopie edito nel 1976 dall'Istituto per l'Oriente, donatomi da un'amica. Ai due sono abbastanza affezionato. Stamattina ci leggo dentro questa poesia che rende benissimo l'idea della bellezza ideale vs la bellezza reale. Ecco qua.
Non eri abbastanza bella... Bisognava che tu passassi un giorno tra le mie braccia per diventare bella.
Di Carvelli (del 04/11/2010 @ 16:52:48, in diario, linkato 1261 volte)
Ieri ho letto un pezzo sulla nuova traduzione della già fu Montagna incantata di Thomas Mann ora magica nella traduzione della Renata Colorni per il Meridiano Mondadori. Cito l'articolo e prima, dalla vecchia traduzione della Bice Giachetti-Sorteni, un passo da quel libro in quella arcinota edizione I Corvi Dall'Oglio. Mann, innanzitutto sul tempo.
Ciò che si chiama noia è dunque in realtà una brevità morbosa del tempo causata da monotonia; una uniformità ininterrotta abbrevia grandi periodi di tempo in un odo incredibile e spaventoso. La vita più lunga in una completa uniformità verrebbe ad essere più breve, trascorrerebbe inavvertita. L’abitudine è un addormentarsi o un ottundersi del senso del tempo e se gli anni della bella giovinezza sembrano lunghi mentre la vita ulteriore scorre via presto, ciò dipende certamente dall’abitudine. Noi sappiamo benissimo che l’intromissione di abitudini nuove e completamente diverse in quelle consuete è l’unico mezzo per trattenere la nostra vita, di ravvivare il nostro senso del tempo, insomma di raggiungere un ringiovanimento, un rafforzamento, una distensione della nostra vicenda temporale, e con questa anche un rinnovamento del nostro senso della vita.
LA NUOVA MONTAGNA DI THOMAS MANN ECCO PERCHÉ DA INCANTATA È DIVENTATA MAGICA
di PIETRO CITATI - laRepubblica — 03 novembre 2010
Con ogni probabilità, Thomas Mann derivò il titolo del suo romanzo La montagna magica, pubblicato nel 1924 (Meridiani Mondadori, a cura di Luca Crescenzi, traduzione di Renata Colorni, con un saggio di Michael Neumann, pagine CLXXVIII-1422, euro 55), da una frase di Nietzsche: «Ora si apre a noi il monte magico dell' Olimpo e ci mostra le sue radici». Per Nietzsche, il monte magico dell' Olimpo era il mondo di Apollo: il mondo della violenza, della dismisura, della colpa, della tenebra, miracolosamente capovolti in legge, armonia, misura, equilibrio, quiete, purezza, profezia. Non so se Mann lo amasse: forse riteneva che non era quello moderno, anzi modernissimo, dove scriveva il suo ardimentoso romanzo sinfonico. Così Mann rovesciò il significato di quell' aggettivo: magico non era più il regno di Apollo, ma quello del giovane dio rivale, Ermes. Corresse l' errore di Nietzsche perché Apollo ignora ogni magia mentre Ermes fonda il suo regno sulla magia. Profondamente nutrito di cultura mitologica, Mann sapeva che Ermes era stato concepito nella notte in un profondo antro ombroso, tra i monti e i boschi dell' Arcadia. Il dio aveva una mente dalle molte forme, che si volgeva, sempre sinuosa, da tutte le parti: il suo spirito aveva molti colori: era ondeggiante, scintillante, inestricabile; e affascinava tutti coloro che l' incontravano. Ermes giocava ironicamente con l' universo: era un grande artigiano: un ladro: un maestro di discorsi veri e falsi: conosceva il desiderio erotico senza rimedi; accompagnava all' Ade le anime dei morti, sorvegliando le frontiere, i crocicchi e le porte. Amava il viaggio, il commercio, il linguaggio, l' interpretazione. Con una geniale intuizione Mann comprese che la modernità, in quegli anni dal 1912 al 1924 in cui compose il suo libro, viveva sotto il segno di Ermes. Ma ampliò e mutò questo segno. Il mondo ermetico moderno non affondava nelle caverne, ma stava in alto, presso le cime delle altissime montagne dei Grigioni, tra le nevi, le nebbie, il freddo, il gelo, le nuvole grigio-azzurre, i radiosi e vellutati raggi di sole, il luccichio diamantino della luna, l' ovattata assenza di suoni, le cliniche dove veniva curata la Tubercolosi. Esso aveva due qualità che quello classico non conosceva. La prima era la malinconia: cara a Marsilio Ficino e a Dürer. La seconda era la fascinazione della malattia, che conduceva alla fascinazione ancora più profonda della morte. *** Il monte magico è diviso tra due spazi opposti. Il primo sono le pianure di laggiù: il lavoro, la ragione, la salute, la misura, il limite; tutte qualità che culminano nella laboriosissima Amburgo, protesa con le sue navi verso le lontananze degli Stati Uniti. Le montagne di quassù sono invece il luogo della malattia, della fascinazione, del sogno, della morte. Davanti allo sguardo di Thomas Mann e di Hans Castorp, le pianure diventano lontanissime ed estranee e presto vengono dimenticate: mentre tutta l' attenzione è concentrata sulle nevi e il sole e la malattia di quassù. Nel bel viso di Hans Castorp, l' eroe del romanzo, un' alterigia ereditaria si manifesta sotto forma di un' oscura indolenza: sottili baffetti biondi ne ornano le labbra: un certo torpore, una certa lentezza e inerzia, ne avvolge la figura; un' affabile compiacenza gli fa reputare ogni cosa degna di essere ascoltata. Vive sette anni nella grande clinica, conoscendo ogni esperienza. Dapprima quella del bianco: le pareti bianche compatte; l' infermiera con la cuffia bianca: le porte numerate laccate di bianco; i mobili bianchi, i tappeti bianchi, le tende di lino. Poi conosce i fischi e i raschi della tubercolosi: i raggi Röntgen, il dormiveglia e la febbre. E mentre i rapporti con le terre basse si sciolgono, Hans Castorp vive sempre più chiuso e incantato nell' alone della tubercolosi. Tutti i suoi sentimenti sono trasformati dalla luce morbida della malattia. Sogna sempre più profondamente, scambia le ombre per cose, e vede nelle ombre le cose. Si innamora come non si era mai innamorato: occhi slavi tra il grigioe l' azzurro lo traggono nel loro abisso; e là trova qualcosa di erotico e di androgino che aveva provato nell' adolescenza. Sale sulle montagne dei tremila metri. Vede nella neve la fonte della vita: vi adora l' origine di tutte le cose: si imbeve di quella luce «strana, delicata, misteriosamente attraente»; prova una specie di estasi, che lo porta vicino alla morte, forse oltre il paese della morte. Mentre le particelle di neve gli fioccano sul viso, il tempo si perde: non c' è più il tempo degli orologi, ma una condizione simile alla crescita segreta, strisciante, impercettibile dell' erba. Nella clinica di montagna, Hans Castorp non conosce un vero sviluppo interiore: nessun "potenziamento ermetico", nessun "accrescimento alchimistico", come Mann affermava; e alla fine ignora la pietra filosofale che aveva conquistato il suo lontano predecessore, Wilhelm Meister nei Lehrjahre di Goethe. Le terre basse diventano ancora più lontane: mentre sta disteso nella sua sedia a sdraio, Hans Castorp non scrive né riceve lettere; il suo orologio da tasca cade dal comodino e si rompe, uccidendo il tempo. Come afferma Luca Crescenzi, l' intero Zauberberg non è che un sogno ininterrotto lungo sette anni: sebbene il libro non sia veramente permeato da una profonda atmosfera onirica come quella che invade le prose di Thomas De Quincey e di Gérard de Nerval. Tutto finisce nell' agosto 1914, quando un rombo immane segna l' inizio della prima guerra mondiale, e mette fine all' epoca "borghese-estetica" dove Thomas Mann era cresciuto. Hans Castorp lascia le terre alte: ritorna nella vita, da tanto tempo abbandonata; e combatte tra il rombo dei tuoni, rossi bagliori nel cielo cupo, proiettili furibondi, schegge, scoppi, gemiti e grida, squilli di tromba e tamburi crepitanti, baionette e cadaveri. Forse muore in combattimento. Con lo scoppio della guerra si chiude il clima di Ermes: così almeno Thomas Mann sembra credere. Ma io penso che, con i suoi aspetti multiformi, la mente colorata e la fascinazione, il mondo di Ermes abbia soggiogato la maggior parte del ventesimo secolo. Ne siamo usciti da poco. O forse è impossibile uscirne. *** L' edizione dei Meridiani è eccellente. L' introduzione di Luca Crescenzi è piena di idee originali, e il commentoè un intreccio di analogie, dove appaiono e scompaiono i malinconici, gli ermetici, i romantici, Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, George Brandes, Ricarda Huch, Freud. Renata Colorni affronta un compito ancora più difficile: rendere l' ardua prosa di Mann; quella mescolanza di lirica, razionalità e falsetto, capace di sfibrare qualsiasi traduttore. La sua versione è perfetta. Forse, inebriati dall' entusiasmo, i due curatori sopravvalutano l' arte di Thomas Mann e il Zauberberg. Mann è un grande narratore, ma non un genio del ventesimo secolo come Conrad, Proust, Kafka, Musil, la Woolf, Nabokov. Non amo il falsetto della sua prosa, né le innumerevoli nozioni e idee che la sua regale cornucopia rovescia sopra il nostro capo indifeso.
Non si perde mai tempo a prendere in mano questo libro della insostituible Grazia Cherchi. Scompartimento per lettori e taciturni (Feltrinelli). Vi trovo questa bellissima massima di Goethe: "Non si è mai ingannati; si inganna se stessi". Per dire che è inutile aprire il campo delle lamentazioni. Più vantaggioso svelare la finestra della propria cecità. La Cherchi dà in questo libro intere e squillanti illuminazioni sulla scrittura. Da grande lettrice. Da grande editor. parlando di Tabucchi e dei libri del suo tempo loda ad esempio Notturno indiano. Salvo dissentire sulle conclusioni. E si chiede se il libro fino a una certa pagina perfetto non potesse aver trovato la fine lì. Invece di una manciata malmessa di pagine conclusive. Sono molti i libri che si rovinano dall'inizio ma altrettanti quelli che si scompongono alla fine. Meno grave che succeda al centro. Imputabile spesso ad operazioni di sostegno diversivo, a quelli che Virgilio chiamava tibicines, puntelli.
Ritorno su Panikkar e segnalo un libro in uscita.
Propongo di attualizzare l’idea stessa esprimendola nel modo seguente: Religione è il cammino alla Pace. (…) E’ ovvio che questa pace non è solo una pace esclusivamente politica o una concordia interna. E’ un simbolo complesso e polisemico che esprime l’armonia cosmica e personale della (e nella) realtà. (…) La libertà mira alla giustizia, la giustizia alla bontà e l’armonia alla bellezza La vera pace deve fondere questi tre valori, visioni, esperienze sia in forma ‘atemporale’ o di tempo pieno (‘tempiterna’) sia in forma personale e cosmica. La parola tradizionale per questa fusione è Amore.
Da La religione, il mondo e il corpo di Raimon Panikkar, in uscita per jaka book
Il resto dell'anticipazione qui http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=V1X8O
|
|
Ci sono 13106 persone collegate
<
|
novembre 2024
|
>
|
L |
M |
M |
G |
V |
S |
D |
| | | | 1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
10 |
11 |
12 |
13 |
14 |
15 |
16 |
17 |
18 |
19 |
20 |
21 |
22 |
23 |
24 |
25 |
26 |
27 |
28 |
29 |
30 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|