Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 16/12/2010 @ 12:51:22, in diario, linkato 1056 volte)
Vi segnalo questa intervista di Antonio Gnoli a Severino Cesari.Vi segnalo in neretto le cose che mi hanno colpito (anche in forma dubitativa).
IL RABDOMANTE DI STORIE di ANTONIO GNOLI laRepubblica — 15 dicembre 2010
La parola "editor" non piace a Severino Cesari che di mestiere appunto fa l' editor. Sono quindici anni che, insieme a Paolo Repetti, manda avanti quella lucrosa aziendina che è Stile Libero, costola dell' Einaudi con licenza di stupire e di fare soldi. Catalogo ricco: molta letteratura noir, non solo straniera (anche se è prevalente), molta narrativa che vede - caso forse unico in Italia - una pattuglia di giovani italiani molto bene agguerrita e spesso presente nelle classifiche dei romanzi più venduti. Qualche nome in ordine sparso: Aldo Nove, Tommaso Pincio, Niccolò Ammaniti, i Wu Ming, Giancarlo De Cataldo, Paolo Nori, Valerio Evangelisti fino alle acquisizioni più recenti: Giorgio Falco, Antonella Lattanzi e ora Giuseppe Genna che ha speso un peana su Stile Libero e i suoi due maghetti. I quali non sono come il gatto e la volpe. Nel senso che Repetti ricomprende in sé la velocità felina e l' astuzia commerciale, mentre Cesari è quello che riflette, medita, si apparta. Tanto uno è estroflesso, quanto l' altro è ripiegato sul lavoro interno. «Faccio un mestiere invisibile», dice Cesari. E in effetti gli si può credere. Tutto in lui è votato all' understatemant. A cominciare dal modo di parlare: sommesso, come se ogni volta che apre bocca ti debba chiedere scusa. In che senso fa un mestiere invisibile? «Nel senso che non esiste davvero. Cos' è un editor? Per me è solo uno che legge e che ascolta ciò che legge. Non ci sono regole, discipline da seguire: c' è solo la tua mente che risuona di parole altrui. Naturalmente non vorrei che si scadesse in una specie di afflato mistico, perché è ovvio che esiste anche una parte tecnica. Ma non è il lato più importante». E qual è il lato più importante? «È quello- per dirlo con una fiaba raccolta da Frobenius - che scoprono i sudditi del Re ascoltando le storie raccontate da Farlimas. Le persone che lo ascoltano sentono accadere qualcosa dentro di loro: tempeste di emozioni, paure, rabbia, gioia. Ecco, quando si è in grado di avvertire tutto questo, allora si è davanti alla nascita di un vero libro». C' è differenza tra creare una storia e riviverla nell' ascolto? «È come chiedersi perché uno è scrittore e l' altro no. Un autore è una specie di rabdomante che sa trovare le storie. La mia funzione è mettermi al suo servizio. E questo presuppone una cosa: se tu, che svolgi quel compito, non ritieni importante che le storie nascano, non avrai mai l' atteggiamento giusto. La domanda che ti devi rivolgere - lo dico per coloro che un giorno magari vorranno intraprendere la professione - è: quanto risulta importante per te che una storia esista?». Come decide che una storia è pubblicabile? «Si deve ascoltare quello che si legge e sentire che la storia abbia una voce. La voce è il timbro, la cifra di un autore. Quando Valeria Parrella spedì i suoi primi racconti alla Minimum Fax, Nicola Lagioia leggendoli ha sentito quella voce. Che è inconfondibile. È come un clic che scatta nella testa. Poi, è chiaro, bisogna vedere se ha potenza, respiro, tenuta». Lei parla di voce e di ascolto, cioè di aspetti legati più all' oralità che alla scrittura. «È vero, ma l' essenza di una storia è nel suo essere prima di tutto racconto orale. Poi arrivano i dati più tecnici. Ricordo che quando ci arrivò il testo di Simona Vinci, capimmo subito che c' era una voce. La storia non era messa a fuoco perfettamente. Ma c' era quel timbro particolarissimo che, in termini analitici, sintattici, linguistici, significava che la storia era fatta di immagini nette, staccate per paratassi, molto fotografica e poco dinamica. E i lettori si affezionano alla voce di un autore. E se quella voce cambia o stecca se ne accorgono e spesso se ne allontanano». C' è molta empatia in ciò che dice. Ma l' editing di un libro è anche qualcosa di più specifico. Ricordo il lavoro di Grazia Cherchi e di Cesare Garboli che a volte riscrivevano un testo. «C' è una mitologia dell' editing che non condivido. Parto dalla considerazione che se devi riscrivere un libro, tanto vale lasciar perdere. Hai fallito in partenza. Perché quello scrittore non diventerà un vero scrittore. Non so se Grazia Cherchi abbia mai riscritto un romanzo. L' ho conosciuta bene e so che ha sempre cercato e trovato scrittori veri. Stefano Benni e Massimo Carlotto, per esempio, li ha scoperti lei. E non li ha riscritti o manipolati, perché la loro cifra era autentica. Il compito dell' editor è di far sentire che quella voce c' è, correggerla nei particolari, renderla leggera se è appesantita, più profonda se è superficiale, più estesa se è contratta». Ci fornisca un esempio. «Quando Giancarlo De Cataldo ci inviò Romanzo criminale, fu subito chiaro che era un libro forte e avvincente. Però, alla fine della lettura, mi resi conto che il romanzo non aveva un punto di ingresso. Mancava, ai miei occhi, una facilitazione per il lettore, qualcosa che lo portasse immediatamente nell' epica criminale di quella storia. Gli comunicai la mia perplessità e Giancarlo, bravissimo, qualche giorno dopo ci consegnò le due paginette iniziali che ruotano attorno alla frase chiave: "Io stavo con il libanese". In quel momento il romanzo ha preso il volo». A proposito di voci e di editor viene in mente l' ultimo film di Woody Allen nel quale uno scrittore mediocre si appropria di un manoscritto di un amico che crede morto e lo spedisce al suo editor. Il romanzo è bellissimo e l' editor estasiato glielo pubblica. Ma poi l' amico si risveglia dal coma... «È una storia che avrebbe potuto raccontare Frobenius». Il domanda è un' altra: l' editor, che ha respinto tutti i precedenti romanzi, non si accorge che quella è una storia rubata? «Probabilmente sì, o forse si convince di essere in presenza di un miracolo e così aggira ogni sospetto. Chi può dirlo? Occorre distinguere tra l' editore e l' editor. Il primo ha il dovere morale di proteggere la legalità dell' opera; il secondo ha la necessità di tirare fuori la storia nel modo migliore». Lei lavora in una casa editrice che ha avuto straordinarie figure di editor: Vittorini, Pavese, Bollati, Calvino, Fruttero e Lucentini. Quel mondo sopravvive da qualche parte? «Sono figure oggi improponibili. Tra l' altro, non solo decidevano quali libri pubblicare, ma spesso erano essi stessi dotati di una voce narrativa straordinaria. E poi non credo che avessero un' attenzione, come c' è oggi, al mercato. La centralità dello scrittore era così forte da far passare in secondo piano ogni altra esigenza». Intende dire che Stile Libero ha una cifra editoriale completamente diversa? «Con Paolo Repetti abbiamo costruito Stile Libero nell' idea di conservare una dimensione artigianale senza prescindere dal mercato e dalle sue ragioni industriali. Per noi un autore è uno scrittore che, fatte salve tutte le sue prerogative, va aiutato a stare sul mercato». L' ideale da questo punto di vista è la fabbrica dei bestseller. «Non necessariamente. Anche se le classifiche sono importanti. Ma poi c' è il saper cogliere le novitàe saper investire sui propri autori. Io so - tanto per fare degli esempi - che intercettare scrittori come Giorgio Falco o Antonella Lattanzi, significa seguirli nella loro crescita e non limitarsi al singolo libro». Far parte della costellazione Mondadori le crea qualche problema? «Per niente. Lì ci sono fior di professionisti. Come da noi, del resto. Nessun impedimento o intrusione ci sono mai stati. Per il semplice motivo che la nostra autonomia è garantita prima di tutto dalla capacità di ottenere risultati».
Cosa fare coi chinotti? Scrivo così, esattamente così, sperando che un giorno qualcuno batta speranzoso questa domanda su un/il motore di ricerca. L'idea di trovarsi in un sito di cucina, in un blog di gourmet. E invece eccovi in un sito di non so cosa. Un blog un po' pop, un po' no. Il sito in tutti i casi di uno che ha un albero di chinotto nel suo giardino e ha avuto la stessa vostra impasse. Risposte 1 L'anno scorso ho fatto una marmellata unendo un terzo di mandarance bio e molto zucchero. 2 Quest'anno, tutte le mattine, a colazione, sto spremendo un chinotto e due o tre mandarance.
Appendice digressiva esogena In clima, appendico. Ieri sera ho cucinato zucca e taleggio. Testimonio che si creano possibilità sensoriali inattese che certifico e declamo alla posterità.
Prendo in prestito dal blog di un amico scrittore, Federico Platania, questo giudizio su un libro di Forest (Tutti i bambini tranne uno) che lessi l'anno scorso.
Leggendo ho anche pensato che la morte è classista. Forest è un uomo estremamente colto (si capisce anche che è mediamente facoltoso: può permettersi di abbandonare il lavoro per lunghi periodi, un po’ come il personaggio di Nanni Moretti de La stanza del figlio protagonista di una vicenda pressoché identica). Se Forest fosse stato meno colto e più povero non sarebbe riuscito a elaborare il lutto in un modo così vittorioso. Ed ecco allora queste centinaia di pagine limpide, vere, perfettamente controllate. Si sfiora il patetico solo in alcuni punti ma Forest ti ci porta con una grazia che lo rende immediatamente perdonabile.
Il resto qui http://platania.wordpress.com/2010/12/12/tutti-i-bambini-tranne-uno/#more-518
La morte è classista?
Vi capita mai di guardare fuori dal finestrino del treno e l'occhio vi cade su una scena inattesa? E vi viene da pensare che è proprio un caso particolare, una specie di epifania? Vi viene mai, poi, il pensiero che sia stato quel qualcosa che vi abbia chiamato così forte da così lontano e così in corsa?
Ecco cosa ho visto ieri dal finestrino del treno che da Londra portava a Stansted: UNA VOLPE, NELLA NEVE, MANGIATA DA DUE CORVI.
E ho pensato a quei quadri tipo di Durer o di Bruegel. Avete presente? Mi sono chiesto in quanti dal treno abbiamo colto questo rapido fotogramma, a cosa ci accomunasse e tante altre inutili domande. Una volpe giaceva morta in mezzo alla neve razziata da due corvi. Tutto qui.
Qualcuno di voi mi ha consigliato di leggere Nudi e crudi di Alan Bennett. Lo scriveva a proposito della mia contrarietà su un libro che mi era stato molto consigliato ma che mi aveva molto deluso. Ed era La cerimonia del massaggio. Devo dire che il consiglio (il libro giaceva a metà prezzo in una libreria col reparto usato) era azzeccato e che il libriccino (perché così poche pagine tradotte da due traduttrici? Perché non lasciare il titolo originale The Clothes They Stood Up In?) è divertente, arguto ben ritmato a tratti spassoso. Ho riso da solo in metro alle riflessioni sui ricordini lasciati dai ladri nelle case svaligiate. Qualcosa mi avrebbe dovuto suggerire che il tema escrementi sarebbe stato per me molto epifanico ma stendo un velo pietoso e soprattutto mi tappo il naso. Lo sviluppo è interessante anche se ho trovato il finale debole, e un po' pietoso, quasi irritante e...moralista? forzato? fasullo? facilmente astruso? Ma ne è valsa la pena.
Ognuno di noi ha una sua frontiera. Una linea che non varchi. Una linea davanti alla quale ti fermi. Ma che si sposta anche. Una linea che adesso per esempio è un po' più in là e non riesci più all'abbraccio. O che si avvicina anche se è solo per poco. Una mano che riesce a starti nella mano pochi secondi e poi basta. Eccolo il suo tempo infinito, la cosa che le è costata anni è ora tre secondi. I tre secondi più lunghi della tua vita, pensi perché sai in regime di economia a cosa corrispondono, come l'estrazione di un minerale prezioso. Ognuno ha una sua frontiera, ti dici. A volte per distrazione non la sorveglia. E tutto da tutto questo deriva.
|
|
Ci sono 14728 persone collegate
<
|
novembre 2024
|
>
|
L |
M |
M |
G |
V |
S |
D |
| | | | 1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
10 |
11 |
12 |
13 |
14 |
15 |
16 |
17 |
18 |
19 |
20 |
21 |
22 |
23 |
24 |
25 |
26 |
27 |
28 |
29 |
30 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|