Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
India il cane del mio amico S. sta per morire. All'improvviso una tac a fronte di un comportamento strano del cane (un molosso) ha dato segni di metastasi ovunque. Il punto è come ovvio come regalargli una morte dolce. Non farlo soffrire. Il punto come ovvio separarsene e farlo separare dalla vita nel modo meno doloroso. Per lui e per lui, S. Il punto è sempre come finire. E ritorno al ritorno. Qual è la decisione più difficile? Quale la migliore? Quella giusta (possiamo usare questo aggettivo?)?
Due gattini (ne ho già parlato?) tutte le mattine si fanno trovare davanti alla porta della mai casa. Non sono miei. Vedono le ciotole (di Google) e vorrebbero essere parte di questo desco. Come un desco condiviso. Il desco di Google che - è capitato - se si avvicinano alla sua razione li lascia mangare e si ritira (comprensivo? paterno - non è il padre naturale se il veterinario ha fatto bene quel che doveva). Come se obbedisse ad un istinto. Un giorno hanno mangiato. nei giorni successivi ho fatto mangiare G. in casa. Qual è la decisione giusta - se non la prendono i miei vicini? Farli mangiare e cercare qualcuno che se li prende o... C'è una decisione "pietosa" una dura?
Oggi ho deciso di parlarvi di Colazione da Tiffany. Del film, non del libro. Vi voglio parlare ancora di Audrey sapendo di fare cosa gradita a molte e molti. Vi voglio parlare di uno dei film più moderni nell'avvicinarsi al disvelamento di certi tic contemporanei. Parlo di tic sentimentali, obviously. ma parlo anche di una base di insoddisfazione, indeterminatezza, inadeguatezza e intensi desideri che tutti ci muovono. In direzione incontrollate. Non dico sbagliate: dico incontrollate. E incontrollabili (se viste da fuori). La Nostra è in preda a quelle che chiama "paturnie" (unico verbo che la invecchia) e per reazione sublima con Tiffany. Ed è di una gioielleria che vorre parlarvi. Di un luogo che renda sublime quel che non è sublime da solo. Vi vorrei parlare di un gatto - a costo di apparire animalista, quell'animalista che non sono. E già perché il gatto in questo film ha un'altra funzione catartica. Nessuna sublimazione no, in questo caso. Ma il ricettacolo di tutti i temperamenti discordi di Lei. Il gatto fa da contraltare, da catalizzatore, quello che in poesia si chiama correlativo oggettivo. Sguardo esterno e esemplificazione del sentimento della protagonista. Ma in definitiva vi avrei voluto parlare di sentimenti, di difficoltà operative (le chiamiamo così?) che lo rendono impermeabile, lo allontanano e avvicinano da/a noi secondo leggi che non padroneggiamo più. Ma come al solito non so bene di cosa vi voglio parlare. Forse solo di una canzone e di una colazione. Dove vi pare.
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Trovo nel libro di Bennett (Una vita come le altre) di cui scrivo da qualche giorno un concetto che spesso ho letto in libri buddisti. Tiro una piccola pellicola, niente di profondo, un velo appena. Dato che noi di solito ci concentriamo sugli effetti - quello che vediamo o riscontriamo empiricamente - e ci dà un bel da fare già questo, manchiamo di vedere le cause. E il caso vuole che spesso effetti diversi generino da causa unica (non come pensiamo da cause diverse). Come un motore che poi diversifica le emissioni. Bennett fa giustizia di un concetto che spesso ho riscontrato. Cito.
Per giustificare una persona o minimizzare una sua mancanza si dice che è timida (le madri specialmente lo fanno), ma raramente la persona in oggetto si autodefinisce così. Perché se si è timidi, generalmente lo si è troppo per poterlo dire: "Sono timido" è un'uscita piuttosto audace. Protetto da questa definizione, impiegai molto tempo per capire che il timido e lo sfrontato condividono lo stesso presupposto: tutti mi stanno guardando, pensa il timido (e vorrei che non lo facessero); tutti mi stanno guardando, pensa l'arrogante (e vorrei vedere).
Proviamo a fare questa giornata.
Mentre sto scrivendo qualcuno porta i figli alla villa, le ruote si incastrano nella ghiaia. Mentre sto scrivendo un uomo anziano si sta passando una mano tra i capelli. Alla posta un signore dall'aria un po' frusta sta tuonando contro la classe politica. Qualcuno gli dà retta. Qualcuno fa finta di niente. Mentre sto scrivendo qualcuno richiama il cane nel parco e dice "andiamo a casa, ora". Mentre sto scrivendo, in un supermercato qualcuno sceglie tra le confezioni dei biscotti e pensa "chissà se gli piaceranno?" In una casa qualcuno fa i lavori. In quella a fianco qualcuno si lamenta. Mentre sto scrivendo.
Ier l'altro su Repubblica Donne una ideale classifica del sesso per sequenze. C'è e me ne compiaccio l'inizio di Betty Blue (ma sono belle anche sequenze successive piene di gioco). Non c'è e me ne dispiaccio la sequenza de Il tè nel deserto, triste, mortificante o mortifera ma bellissima in cima alla collina con in vista il deserto (una metafora sconfortante). Non c'è e me ne dispiaccio parimenti quella de Il postino suona sempre due volte (quella Nicholson-Lange) che ha turbato la mia adolescenza. Ovviamente metterei se fossi in me (o fuori di me) Ultimo tango a Parigi. Mi piace l'atmosfera che c'è in Canicola, quella de L'uomo in più (in particolare nel rapporto tra Enrica Rosso, bravissima e Andrea Renzi) e de L'imbalsamatore. Wong Kar Wai pure pure ma nel genere "vacanza" (un clima bello ma distante) ma poi così preso a bruciapelo non mi viene altro per ora. Magari ci ripenso. O suggerite voi...
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