Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Devo dire tutte le parole che non dici tu. Le parole che iniziano per io, quelle che finiscono per tu. Devo dire tutte le parole che non dici tu. Devo fare tutto io insomma. Ma tu devi avere l'impressione che stai facendo tutto tu. Poi devo fare come se fossi te e come se fossi io. E anche lì devo fare tutte le cose che non fai tu. E quando tu dici "tocca fare tutto a me" dire pure di sì. Sembra una cosa un po' tristemente ministeriale. Eppure nel destino di qualcuno esiste questa piccola forma di spersonalizzazione e raddoppiamento. Alla fine anche un attore nasce così. Alla fine anche una star muore così. E tutti la piangono due volte. Una per lui o lei e una per tutti gli altri che sono stati o state. E anche per sé (come se loro che piangono fossero quello o quella che è pianto, pianta). Un po' come piangere due volte: una fuori e una dentro di sé. Così alla fine siamo fortunati... Così alla fine sono fortunato a essere due volte me. Una per me e una per te.
Mi piace il mio corpo quand'è col tuo corpo. È una cosa tanto nuova. Muscoli meglio e nervi di più. Mi piace il tuo corpo. Mi piace quel che fa, e il come. Mi piace sentir la sua spina dorsale, le sue ossa e il tremolante -liscio-sodo che bacerò ancora ancora e ancora di te mi piace baciare questo e quello, mi piace, lentamente accarezzare, il folto elettrico pelo, e quel che viene a carne che si separa... E occhi grandi briciole d'amore,
e forse mi piace il brivido
di sotto me te così nuova
Appartamento ad Atene è un film girato in Puglia. Il regista (Ruggero Dipaola) è italiano. E' tratto da un libro scritto da un autore americano (Glenway Wescott). Gli attori (tranne uno solo, mi pare) non sono greci. A parte questo è una riuscita opera prima dove Atene sta lì nel titolo come un "greciainminiatura" da mirabilandia. Potenza della fantasia di location a Km0, lontani da sé.
L’uomo di neve
Si deve avere un animo d’inverno Per contemplare questo gelo e i pini Con le rame incrostate dalla neve;
E avere avuto freddo lungo tempo Per guardare i ginepri irti di ghiaccio I rudi abeti nel brillìo remoto
Del sole di gennaio; e non pensare D’alcun duolo nel gemito del vento, O nel suono di queste poche foglie,
Voci di una regione visitata Da quel vento che sempre Sibila sullo stesso nudo luogo
Per chi ascolta, chi ascolta nel nevaio, E nulla in sé medesimo, contempla Là quel nulla che è e che non è.
Traduzione di Renato Poggioli
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/07/23/tradotti-dal-silenzio-4-wallace-stevens-parte-prima/
Una poetessa - che conosco solo per scritto - giorni fa mi scriveva un suo credo/monito: "se sei troppo affezionato a una parola levala". Molti scrittori, si sa, familiarizzano troppo coi loro personaggi e questo è un conflitto di interessi. O questo è un modo per dire che non va bene. Molti sceneggiatori scrivono dei dialoghi che amano senza esserne ricambiati. Che funzionino oppure no diventa in fine accessorio. O credono che lo sia. Molti registi lasciano spazio ad attori che poi ingigantiscono la loro parte. Nel loro personaggio o fuori di esso. E questa è quasi extraterritorialità. Quanto almeno innamorarsi di un luogo o di una location. Del libro da cui si è tratta una sceneggiatura o un testo teatrale. Tutto questo e altro ancora ho pensato ieri. Non perché riguardasse il film che vedevo. Non perché serva a vederlo per chi ci andrà. E comunque ieri ho visto Padroni di casa.
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