Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
C'è un racconto della raccolta di Aimee Bender - La ragazza con la gonna in fiamme (minimum fax), che al punto in cui sono mi è sembrato il migliore, in cui succede qualcosa di pericolosamente bello. Pericoloso è anche forse solo immaginare o provare a spiegare che succede in questo racconto di bello. Come in altri, peraltro, di questa scrittrice americana. Pericoloso sciogliere il legame parossistico tra Jill e Renny, in esaurimento tra Jill e Matthew. La scrittura - nella quale la Bender a suo modo eccelle - qui cede il passo alla costruzione. Così si viene trascinati involontariamente in un gorgo. O, per rimanere al racconto, verso un precipizio. Come noto - se non altro in una visione meno accreditata ma di moda - un precipizio non è spesso una caduta. Ma una sollevazione. Può quanto meno esserlo. Cosa che succede nel punto di intersezione tra due pericoli. Quello di Jill che sembra destinata a un'uscita di scena. Quello di Renny che si sente obbligato ad una analoga presa di distanza dal mondo e anche da sé. Cosa che per entrambi avviene ma non nella forma definitiva che sembrano inconsapevolmente (una strana forma di inconsapevolezza cosciente o rassegnata, quasi sacrificale) raggiungere ma in un'altra che leggerete. E che forse, come me, immaginerete pericolosamente e inconsciamente risolutiva. Vitalistica ma solo per dire che spesso la vita(lità) passa per un abbandono e una caduta. Una caduta, appunto, di un tipo diverso.
Quando il bambino era bambino
Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese. Voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente; e questa pozza, il mare.
Quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino. Per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.
Quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione. Non aveva abitudini. Sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via. Aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande. Perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lí? Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole, é forse solo un sogno? Non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? C'é veramente il male e gente veramente cattiva? Come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? E che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?
Quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
Quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí. Le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí. A ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. E questo, é ancora cosí. Sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi. Aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne. Aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
Quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia. E ancora continua a vibrare.
Uno dei generi che più amo leggere è l'ekfrasis. Ovvero quella descrizione in poesia o prosa dell'opera d'arte o dell'immagine. Per esteso, diciamo, i libri che si compongono - non strumentalmente né didascalicamente con le illustrazioni - di testo e visioni di diverso tipo. Spesso per via sentimentale, per ricostruzione personale. Questo nuovo Sebald che leggo (Soggiorno in una casa di campagna - Adelphi) appartiene con tutte le scarpe, grosse e cervello fino, al genere. E la metafora delle scarpe si presta alla ricostruzione di questa fuga verso la campagna dei soggetti in questione. Robert Walser - il mio amato Walser - in primis ma anche la scoperta (per me) di Hebel. Che leggerò. Bella anche la ricognizione sull'isola di San Pietro e Sebald che si lascia andare allo scavo di quell'interno in cui riparò Rousseau. Di un autore apprezzo sempre per prima la capacità non solo di farci vedere un luogo ma di farcelo risentire in quel modo intatto in cui lo percepisce e in cui lo vuole eternare. Non succede a tutti. A Sebald sì. Gli altri descrivono, colgono. Cose belle da dire e da rappresentare. Ma è in altro che io cerco la traccia per proseguire, un cartello verso qualcosa in cui da quando sono nato - a volte sapendolo a volte no - sto andando. I libri o una persona. Un luogo o una musica. Devono contenere questa freccia e la freccia è tale se dopo la lettura, l'ascolto - in generale l'incontro - succede un piccolo tratto di strada in più.
È straordinario pensare a quale varietà di colori ben distinti possa offrirci l'inverno, e ciò usando di tante poche tinte, se così vogliamo chiamarle. La limpidezza e la purezza particolarissima dei colori rappresentano probabilmente il fascino maggiore di una passeggiata invernale. C'è il rosso del cielo al tramonto, e della neve di sera, e dei lembi di arcobaleno durante il giorno, e delle nuvole basse. C'è l'azzurro del cielo, e dei riflessi dell'acqua, e del ghiaccio e delle ombre sulla neve. C'è il giallo del sole e del cielo crepuscolare al mattino e alla sera e del carice (o color paglierino che, diviene brillante se, a sera, viene illuminato sull'orlo del ghiaccio) e tutti e tre nei cristalli di brina. E poi i colori secondari, ecco il porpora della neve, in mucchi e sulle cime delle colline, sui monti, delle nuvole serotine. Il verde dei sempreverdi, del cielo e del ghiaccio e delle acque quando scende la sera. L'arancione del cielo di sera. Il bianco della neve e delle nuvole e il nero delle nuvole stesse. delle acque agitate, dell'acqua che s'infiltra nel sottile strato di neve sul ghiaccio. Il ruggine, il marrone e il grigio dei boschi di alberi decidui. Il bruno fulvo della terra nuda.
La rosa che abbiamo messo sulla tomba di tua nonna quella mattina si sarà seccata. Forse ci siamo seccati anche noi. Forse, semplicemente, siamo rinati. Come quella rosa. Come ogni cosa. Come la vita.
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