Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ieri in un vagone della metro alle 23 passate leggevo l'intervista che chiude il libro postumo di un autore vivente ma non scrivente. Lui è Matteo Galiazzo e il libro si intitola "Sinapsi" (edito da Indiana). Chi è Galiazzo? Un autore che per noi che abbiamo scritto e letto negli anni '90 ha rappresentato una ipotesi di sviluppi ulteriori e interessanti rispetto a quello che avevano letto o leggevamo. Veniva da una piccola rivista e dall'attenzione di un altro autore interessante tanto come agitatore letterario (ma non agitava o non voleva farlo pretestuosamente) che come scrittore di racconti come Marco Drago e il suo Maltese. Lo scambio tra Matteo B. Bianchi e Galiazzo dal titolo "Un pensionato che guarda i cantieri" ha un suo vento. Galiazzo racconta il suo fermo biologico di non precisata durata. Il punto non è la carenza di pesci e in minima parte riguarda il mare in tempesta. Galiazzo non scrive forzatamente o naturalmente? Forse è questa la prima domanda. Ma di domande ce ne sono molte. Quelle che fa MBB e altre che forse avrebbe voluto fargli o gli farebbe ancora se potesse. Quelle che gli faremmo noi altri se potessimo (cosa legge? come è cambiato il rapporto coi libri? cosa il digitale ha migliorato o migliorerà o peggiorerà?). Forse, al di là delle risposte dello scrittore genovese (la scelta della programmazione come forma certa di contro all'incerta e molteplice via della creazione letteraria, la tendenza dell'ambiente letterario alla non dimensione e al disargine e altro), una risposta si fa largo in noi: Galiazzo non scrive per dimostrare a se e agli altri che si può scrivere (anche con il successo che decreta la pubblicazione per un grande editore come Einaudi) e poi non scrivere più. Come se si trattasse di una sintomatologia diversa più che di una guarigione. Non scrive come se si potesse ragionare sul tempo (uno scrive perché ha scritto oltre che il contrario) e dire che uno rimane scrittore anche se non pubblica e persino se non scrive (la qual cosa giustifica molti esordi tardivi e molte riscoperte). Non scrive perché ha già scritto. Non scrive per dimostrare a se e a noi che scrivere non è un mestiere (almeno quanto vivere) e cosa meglio di un prepensionamento in piena salute? Non scrive e questo resta. Come un punto prima che un punto di domanda.
Di Carvelli (del 30/11/2012 @ 09:10:43, in diario, linkato 1338 volte)
Su Internazionale di oggi una poesia di Kurt Marti, poeta e teologo evangelico, che qui posto in un'altra versione:
Voi chiedete cos'è la risurrezione dei morti? io non lo so
voi chiedete quando è la risurrezione dei morti? io non lo so
voi chiedete c'è una risurrezione dei morti? io non lo so
Io so soltanto quello che voi non chiedete: la risurrezione di coloro che amano
Io so soltanto a che cosa Egli ci chiama: alla risurrezione qui e ora.
http://alsolcodellavita.blogspot.it/2012/04/risurrezione-qui-e-ora.html
La domenica specialmente quando non c'è nessuno in casa e siamo là verso la fine di giugno, vado fuori sul terrazzo per stare a sentire che al di là dei muri la città sta zitta.
Se tu dici "sombrero" io non penso al Messico, come dovrei. Né a un gelato, se esiste. A una rivoluzione, come in fondo mi piacerebbe. Se tu dici "sombrero" io conto il numero delle dita. Iniziando dalle mani. E poi continuando con i piedi. E mi ritrovo bambino, in un letto da cui non vorrei scendere. Il letto di un bambino è alto - lo è per un po' e più di quel che sembrerebbe a guardarlo da adesso - ed è difficile venirne fuori. Specie d'inverno. Soprattutto di domenica. Ma dipende dalla scuola, dalle pagelle, dai genitori. Se tu dici "sombrero" io vedo quelle dita piccole, quella pelle bianca che un calzino ha rivelato all'improvviso in tutto il suo candore tiepido. Ecco: "sombrero" è la parola delle dita, dell'infanzia, di oggi.
“Ah, se la gente cominciasse a bruciare le staccionate e lasciasse vivere le foreste! Ho visto staccionate a metà distrutte, con le estremità disperse nella prateria, e un qualche miserabile avaro verificare con un agrimensore i propri confini, mentre il cielo viveva ovunque intorno a lui, ed egli non vedeva gli angeli volteggiare, ma cercava un vecchio buco per piantare un palo in mezzo al paradiso. Guardai ancora, e vidi l’uomo ritto nel mezzo di una palude infernale, assediato da demoni, e aveva di certo trovato i propri confini, tre piccole pietre con un palo rizzato al centro, e guardando più attentamente vidi che l’agrimensore era il Principe delle Tenebre.” (“Camminare” di H.D. Thoreau).
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