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 Il letto tatami e cucù, da Veronica, Tokyo... di Carvelli
 
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Non esistono terre pure o terre impure di per sè, ma solo la bontà o la malvagità della nostra mente.

Nichiren Daishonin
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 27/01/2005 @ 09:28:50, in diario, linkato 924 volte)
Eccola. E' arrivata. Invocata, chiamata, desiderata, come un prova di idee più soffici, come una possibilità di pensieri più bianchi. La neve. Sul tetto qua di fronte. Sul tetto di questa piccola casa. In cima. Sul davanzale, sui legni in attesa di essere montati. la neve è arrivata e con lei la pace. la cancellazione di qualsiasi scossa di pochezza che ci diamo con le cose poco importanti che diciamo, che facciamo come se ne pretendessimo l'assoluto. La neve.
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Di Carvelli (del 27/01/2005 @ 10:28:40, in diario, linkato 1060 volte)
Il principio non lo so qual è. Il freddo? E il letargo? Non dovrebbero starsene lì buone con le loro provviste? E invece eccole. Invasione. Forse scendono dal terrazzo sovrastante, abbandonano l’intercapedine per la neve. Per la fame. Un piccolo esercito di migranti. L’asilo politico lo chiedono ai biscotti, allo zucchero. Metto tutto in frigo.
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Di Carvelli (del 27/01/2005 @ 14:53:27, in diario, linkato 989 volte)

Ho aggiunto nei link

di cui non sapevo nulla da un po' e credevo in pausa. Invece scopro essere ancora in linea (per quanto nell'irregolarità di uscite d'altronde professata sin dagli albori) e con un forum ricchissimo. E' una delle riviste di racconti più interessanti in circolazione. Con in testa due ottimi autori Marco Drago (leggetevi il suo L'AMICO DEL PAZZO- Feltrinelli e CRONACHE DA CHISSA' DOVE - minimum fax) e Matteo Galiazzo.

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Di Carvelli (del 27/01/2005 @ 18:03:09, in diario, linkato 1063 volte)

Anche se ha qualche luna merita per la semplicità della sua scrittura e l'essenzialità delle sue premesse.

FABIO GALLUCCIO

"I LAGER IN ITALIA. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti"

Prefazione di Carlo Spartaco Capogreco, Saggistica, seconda ed. marzo 2003, 230 pagine, 13 euro



















Un viaggio nella memoria, in una storia non raccontata e rimossa. Una scoperta in cui l'autore snocciola come un rosario laico uno dopo l'altro i campi di internamento italiano durante il fascismo in un attonito viaggio in un'Italia spesso sconosciuta, straordinariamente bella e affascinante.

Il viaggio inizia casualmente a Ferramonti in Calabria, dove l'autore scopre proprio sotto un cavalcavia dell'autostrada Roma-Reggio Calabria, all'uscita di Tarsia, un campo di concentramento deturpato dall'autostrada, ma recuperabile, con le garitte e le baracche ancora in piedi. Da lì si avventura in un labirinto, dove ogni campo scoperto è una crudele sorpresa per le parole non dette e la memoria non recuperata. Fino ad arrivare ad un numero di oltre cento campi, cosciente, alla fine, di averne trovato solo la metà. Un racconto che si snoda come un giallo scritto da chi non si occupa di storia, ma da un un cittadino come tanti che si indigna di fronte all' occultamento, alla non verità.

Campagna, Alatri, Farfa Sabina, Anghiari, Roccatederighi, Civitella del Tronto, Urbisaglia, Pollenza, Carpi, Risiera di S.Sabba, sono alcune delle tappe nel buco nero della storia italiana. Dove l'autore spesso si muove in una panorama onirico da incubo, quasi a voler dimostrare a se stesso che non è vero, non è possibile. Ma il risveglio è più amaro della realtà.

I campi furono istituiti con decreto del 4 settembre 1940, n.439 e dovevano ospitare inizialmente soltanto cittadini stranieri dei paesi belligeranti con l'Italia, ma diventarono ben presto campi per ebrei stranieri, slavi, zingari, oppositori politici e omosessuali. Da circa 40 campi iniziali si arrivò ad un numero che, secondo lo storico Luciano Casali, professore di storia contemporanea all'Università di Bologna, ammonta a 259. L'autore ne ha catalogati 113 in Italia e 22 nei territori occupati dall'Italia. Alcuni furono campi provinciali istituiti durante la Repubblica Sociale Italiana. Pochissima la letteratura sulla materia e pochi gli storici che se sono occupati : tutto rende il tema più misterioso e affascinante, ma anche più terribile.

I campi non furono campi di sterminio, se si esclude quello della Risiera di San Sabba, ma soprattutto nei campi del centro-nord dove gli alleati arrivarono più tardi, i deportati furono prelevati dai nazi-fascisti e portati in Germania per la soluzione finale. In tutto questa storia appare, come un'ombra, la presenza della Chiesa che sorveglia, dietro le quinte, che il regime non superi certe efferatezze.

Il libro è anche l ' occasione per ripercorrere un periodo storico dalle leggi razziali del 1938 alla fine della guerra, dove la maggioranza degli italiani visse con leggerezza e superficialità quegli orrori senza accorgersi responsabilmente di quello che stava accadendo. Ma anche un severo monito a coloro che fondarono la democrazia e cercarono di cancellare con un colpo di spugna quello che era avvenuto. La storia non perdona chi dimentica e i fatti e la cronaca di questi giorni nel nostro Paese ce lo ricordano con severità e ci ammoniscono degli errori passati e, purtroppo, presenti.

UNA RECENSIONE DEL LIBRO

Uno storico non accademico decide, dopo anni di ricerche archivistiche, di mettersi in viaggio e di dare la caccia alle tracce dei luoghi di deportazione che furono istituiti dal regime fascista dopo l'entrata in guerra, sulla scorta delle leggi razziali.
È la storia del libro di Fabio Galluccio, edito da Nonluoghi Libere Edizioni, che sarà presentato martedì 22 ottobre a Roma, alla sala della Stampa estera (via dell'Umiltà, 83/c). Interverrà il professor Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni. Introdurrà Eric Jozsef, corrispondente di Liberation e presidente dell'Associazione Stampa Estera. Saranno presenti l'Autore e il direttore editoriale, Zenone Sovilla.

"I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti" di Fabio Galluccio (Nonluoghi Libere Edizioni, settembre 2002, p. 226, euro 13) è un libro sui generis: più che un saggio storico un diario di viaggio nella memoria tragica delle leggi razziali e nel territorio che ha ospitato i luoghi della vergogna. Luoghi nella gran parte dei casi dimenticati: caserme, ex conventi, ville fatiscenti, sedi di vari istituti oggi non ricordano neanche con una misera targa l'orrore che si consumò tra quelle mura.

Ma nemmeno dei campi che Mussolini fece costruire ad hoc la Repubblica democratica ha conservato la memoria, salvo rare eccezioni come Ferramonti di Tarsia (Cosenza) che prima fu sovrastato dall'autostrada e offeso dai suoi viadotti, ma in un secondo tempo divenne oggetto dell'impegno di una Fondazione guidata dallo storico Carlo Spartaco Capogreco, autore della prefazione al libro di Galluccio.

Ad Alatri, vicino a Roma, per esempio, le baracche sono ancora in piedi e al visitatore si presenta una visione spettrale il cui significato non è indicato da nessuna targa, come ha spiegato l'autore presentando in anteprima il libro alla Fiera dei piccoli editori a Belgioioso.
«Ho girato l'Italia ha raccontato Galluccio alla ricerca di questi luoghi che oggi sono quasi sempre difficili da individuare, sia nei paesini sperduti tra le montagne sia nelle città. Ho parlato con la gente, ho cercato di ricostruire la storia e la vita di questi lager; ma è una memoria in buona parte rimossa. Ho cercato i sindaci, i parroci, ho chiesto che almeno si pensasse di mettere un cartello per ricordare quei fatti orribili di sessant'anni fa. Per ricordare che in quei luoghi furono rinchiuse migliaia di persone. Ebrei, dissidenti politici, zingari, stranieri, omosessuali. Molti da quei luoghi furono trasferiti ai lager e ai campi di sterminio nazisti e non tornarono mai a casa».
Galluccio riapre una pagina inquietante della storia italiana, una pagina vergognosamente coperta dall'omertà storiografica e politica nel dopoguerra, quando l'Italia doveva rifarsi una verginità, evitare i tribunali internazionali e alimentare la leggenda degli "italiani brava gente". Il libro di Galluccio racconta il crescendo propagandistico razzista, le leggi del '38 e la loro applicazione dalle prime discriminazioni alle deportazioni verso i campi che ogni prefetto avevfa ordine di istituire e l'autore cerca di indagare e ricostruire e le condizioni di vita in una parte di queste prigioni per innocenti.

Dopo la guerra, fu minimizzata la responsabilità del popolo italiano e persino quella del regime fascista: si tentò di accollare ai nazisti anche la responsabilità dei lager in Italia. Eppure, come confermò lo stesso De Felice, erano centinaia (per il noto storico del fascismo 400, comprendendo però anche i luoghi di confino) i campi di concentramento voluti da Mussolini. Galluccio, nel suo libro, ricostruisce il percorso che condusse all'orrore: mette a nudo non solo la cinica crudeltà degli uomini del regime (ministri, sottosegretari, prefetti...) ciecamente asserviti alla ragion di Stato, ma anche l'ambiguità della Chiesa cattolica (presente in molti campi forse per evitare le efferatezze che invece si tolleravano altrove, come in Germania e in Polonia) e più in generale la connivenza di una società che assistette senza reagire all'apoteosi razzista, celebrata per anni sulle prime pagine dei giornali "ariani" che avevano costruito ad arte l'idea collettiva del "pericolo del diverso".
L'Autore, nel corso di due anni, ha girato l'Italia, dall'Alto Adige alla Calabria, per un'indagine che ha avuto quasi sempre come unico sostegno documentale delle pubblicazioni locali sconosciute ai più, opera di storici dilettanti. Il diario di questo percorso fa da contrappunto alla ricostruzione storica e accompagna nella lettura, pagina dopo pagina, sviscerando fino in fondo la doppia colpa di un popolo che prima ha sbagliato e poi, diversamente da quanto hanno fatto i tedeschi, ha preferito sorvolare e rimuovere tutto. Con rischi sociali che si proiettano anche sul presente.

Le centinaia di lager istituiti in tutta Italia (e in ex Jugoslavia e Albania), infatti, secondo l'Autore, sono una pagina che va indagata sia per onorare le vittime di quell'orrore sia per
comprendere fino in fondo i meccanismi che lo resero possibile. Sessant'anni fa tutto avvenne quasi sfuggendo alla percezione collettiva dei più; eppure i giornali per anni scrissero nelle prime pagine - con toni agiografici - delle leggi razziali, della loro applicazione, dell'istituzione dei lager e di altre nefandezze compiute nel nome della "Legge" e contro il pericolo straniero, ebreo, comunista, americano...
Per questa ragione, come spiega l'autore, il libro di Galluccio vuole essere anche un monito sul rischio che anche nell'Italia di oggi si mettano in atto iniziative legislative, con la complicità di un'opinione pubblica addomesticata o vile, che con forme nuove e molto più striscianti e inafferrabili calpesti la dignità degli esseri umani - oltre che ogni principio di giustizia e di Diritto naturale - siano essi immigrati stranieri o zingari.

Sia pure evitando azzardati e fuorvianti parallelismi storici, l'Autore invita a riflettere sul rischio che il formarsi di una percezione collettiva di "pericolo" proveniente da un'idea del "diverso" alimentata dalle istituzioni politiche e amplificata dai mass media, possa assecondare la codificazione di norme apparentemente "difensive" e obbligate da fenomeni preoccupanti, ma in realtà invasive e contrastanti con i principi universali del rispetto della persona umana.
Il rischio di morte civile per qualche gruppo sociale, in altre parole, è sempre in agguato, anche se i suoi strumenti e le sue forme cambiano radicalmente nelle varie epoche. Questo sembra dirci un libro che copre, con un grido, un vuoto storiografico e si propone come spiega Galluccio di fungere da stimolo agli storici accademici affinché il tema dei lager italiani venga indagato e fatto riemergere per consegnarlo al dibattito collettivo e rendere possibile un tentativo di rielaborazione della colpa. Il che non sarebbe poco, data l'aria che tira per vari gruppi sociali deboli anche nell'Italia di oggi.

Fabio Galluccio, nato a Messina il 13 luglio del 1954, laureato a Roma in giurisprudenza con una tesi su "La libertà nelle prospettive politico-giuridiche di Karl Jaspers", ha studiato in particolar modo la colpa del popolo tedesco durante il nazismo.

Scrive per Nonluoghi.it il diario, "Le Berluscate", sulle malefatte del governo di destra. È uno studioso di Gobetti e del mondo liberal-socialista. Al suo primo libro storico-narrativo. Il suo lavoro è nell'ambito della comunicazione attraverso i nuovi media.

 

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Di Carvelli (del 28/01/2005 @ 10:29:59, in diario, linkato 1002 volte)

1 Un bel racconto di Alan Bennett (uno scrittore che ancora non ho capito se mi piace oppure no) sui cinema e l'infanzia. Bellissimo. (repubblica cultura pagina centrale)

2 Un occhiello della prima pagina della Cultura (sempre Repubblica) Intervista/Parla Mahasweta Devi, scrittrice bengalese, che vince domani il Nonino.

E' corretto scrivere così?

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Di Carvelli (del 28/01/2005 @ 16:38:36, in diario, linkato 999 volte)
Che è il prossimo libriccino carvelliano in uscita volevo sollecitare su questo tema della disposizione dei libri nelle librerie. Per lettera. Per editore. Che poi nel suddetto KIS è una delle riflessioni del protagonista (un non-lettore che diventa lettore, non un lettore forte no). Come vanno messi i libri nelle librerie di casa? E nei negozi? Quale è il modo migliore per cercarli, per trovarli? Il modo più pratico? Quello più logico?
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Di Carvelli (del 31/01/2005 @ 09:04:21, in diario, linkato 1071 volte)
113 mail e tutte spam. Un utile Weekend per i commercianti di viagra ed altre amenità
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Di Carvelli (del 31/01/2005 @ 09:18:32, in diario, linkato 1092 volte)
Ieri ho visto LA NIÑA SANTA e mi è piaciuto. Molto. È un film sul peccato e sul perdono. Sulla santità e sulla perversione. Un film sull’udito e sulle conseguenze delle azioni come il rimbalzo multiplo e lento delle palle da biliardo fino a che una, dopo molti rimbalzi, entra in buca e conclude un determinismo rallentato ma inevitabile. Credo che molti dietro e davanti fossero delusi durante la proiezione e credo che questo dipenda anche da dove un  film viene proiettato. E questa è una sala del pieno centro, via del Corso, la strada più di periferia di Roma, pur essendo in centro. Il film è vera poesia. Da vedere, nella sua rarefazione, nel suo continuo comporsi attraverso scarti minimi, ritardi, ed elusioni. Poi alla fine tutto tragicamente e banalmente ad un tempo va in buca. Il doppiaggio della donna (col chicco in bocca) mi sembra intelligente: le consegna un’aria un po’ buffa da divorziata fatale senza fato.
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Di Carvelli (del 31/01/2005 @ 09:39:25, in diario, linkato 902 volte)
Mimmo Cuticchio con i suoi pupi e soprattutto l’arte del racconto (del cunto). Momenti di poesia e malia. Per il modo di tenere il palco e l’attenzione attraverso la voce. Più dei pupi e della perfetta arte di farli volteggiare alla Zhang Ymou è questo che trattiene. Lacrime: per chi continua un’ossessione d’arte a dispetto delle convenienze e del tempo che alle volte passa male.
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Di Carvelli (del 01/02/2005 @ 09:06:46, in diario, linkato 935 volte)
Orazianamente mi concedo una piccola riflessione su questa strana sorte umana che fa lamentare dell’infelicità e non ci fa provvedere alla felicità. Mi viene spesso a male leggere queste interviste in cui sobri intellettuali o musicisti o poeti o… si mettono a dissertare incompletamente o incompiutamente sulla Felicità. Sono gli stessi che se ne tengono a distanza e che mettono alla porta chi prova ad avvicinarsi. Poeticamente piace riconoscere che quella via – la via della felicità – è una via semplice ma guai a provarsi a proporre una via semplice. Piuttosto il filosofo suicida, piuttosto l’insegnamento della Terra, di un’agreste concordia con la Natura (che poi non applicherà). La via semplice li incuriosisce ma chi la propaganda o la insegue li irrita. Li irrita se quella detta semplicità è a portata di una mano. Se è in un altrove di Nirvana o Arcadia passi. Ma non qui. Non ora. La Felicità deve costare cara e deve essere d’elite.
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