Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 07/11/2005 @ 09:19:05, in diario, linkato 1008 volte)
Mi è accaduto di pensarci l'altro giorno in relazione a delle cose che mi hanno raccontato. Mi è accaduto di pensare a quanto spesso sia scombianato il nesso, staccato il contatto tra come vorremmo che gli altri ci percepissero, tra come ci diamo da fare affinché ci conoscessero il quelle nostre intenzioni e quanto alal fine tutto si riveli diverso. Un classico di questa schizofrenia è femminile verso i maschi e maschile verso le femmine. L'idea è: fai di me carne da macello, non chiedo di meglio. Ed è un invito, spesso è un invito facile e fruttuoso. Ma a conti fatti, al dopo, a seguire, però, uno strascico di dolore, di delusione, di frustrazione. Spesso ad una presentazione così limpidamente sbarazzina, ad un incontro spumeggiante segue l'invenzione di un innamoramento come se l'effetto mistificasse (o cambiasse) la cause. Come se ci fosse bisogno di pasturare (il verbo della pesca, quello che indica il pecorino in mare come invito ai pesci) l'acqua per poi buttare meglio l'amo. Il nome del dolore successivo e conseguente invece alle premesse da cui si è partiti qual è? Poca sincerità verso se stessi? Autoinganno? O magari è la perversione del proprio sentimento in una certezza, la paura di un vuoto che pure abbiamo desiderato, dichiarato, scelto e vissuto?
Di Carvelli (del 08/11/2005 @ 08:45:54, in diario, linkato 2056 volte)
Una delle più divertenti testimonianze raccolte nel mio libro sulla pornografia LA COMUNITA' POLNO (sono costretto a pronunciarlo alla cinese altrimenti il server al mio lavoro mi inibisce l'ingresso!) raccontava di un attore francese che accompagnava il suo tambureggiante assalto all'attrice di turno con un (onomatopeico?) zinedinzidan zinedinzidan zinedinzidan zinedinzidan. Mi riviene in mente stamane sentendo che l'incosapevole calciatore Zinedine Zidane avrebbe vaticinato con un "purtroppo" il sicuro scudetto della Juventus. Certo le stranezze fanno parte dei set polno (e 2!) ma anche dell'intimità casalinga e mi sono chiesto se ad altri sia capitato di sentirsi guidare da simili unduetré che ricordano il due con del canottaggio. E naturalmente mi è venuto da ridere.
Di Carvelli (del 10/11/2005 @ 09:06:17, in diario, linkato 1027 volte)
Copro un'assenza di lettura e mi porto dietro il meridiano mondadori con Petrolio. In treno. Leggo tutto preso ma con quell'aria un po' distaccata e rispettosa che ti suscitano i meridiani. Forse la paura di rovinarlo, sporcarlo: lo tengo tra le mani osseguioso (l'ho portato senza la sovraccoperta di plastica e, naturalmente, la scatola di cartone...ognuno ha le sue abitudini di viaggio o di trasporto dei libri - sovraccoperta sì o no - fodera di carta e quale sì o no...). Lo tengo come un bambino appena nato e mi viene una faccia odiosa, distaccata, premurosa. Senza volerlo. Me ne vergogno. Anche perché penso che qualcuno potrebbe scambiarlo per un messale e a me per un prete in borghese o un mormone.
Di Carvelli (del 11/11/2005 @ 08:57:07, in diario, linkato 1068 volte)
Ancora John Berger.
Letto in piedi lungo le strade del rione Monti, nella pausa del pranzo di lavoro. Come una corrente alternata tra le cose da fare, un residuodi carica del telefonino, un risveglio improvviso nel cuore della notte.
Di Carvelli (del 11/11/2005 @ 10:53:48, in diario, linkato 1072 volte)
Qui si dice A PORTAR VIA. Qui, a Roma. Si dice APPORTàVIA come un'unico fiato di voce. un caffè a portavvia... Ma nel mio bar dicono UN CAFFè DA VIAGGIO...Uno da viaggio, due da viaggio... uno qui e due da viaggio....Non so perché dicano così. Forse per distinguersi da altri bar. Ma qui il caffè non è apportavvia...
Avete presente quei posti un po’ così? Ti siedi e ordini qualcosa da mangiare. “No, mi dispiace, la cucina è chiusa” ma è un pub e cucina dovrebbe voler dire taglio un panino di plastica e ti ci metto dentro una fetta di plastica ulteriore a forma di prosciutto, pomodoro e sottilette. E invece è chiusa la cucina e questa bambola non può essere completata. Allora la butti sul bere e chiedi un OBAN (anche se magari preferivi un LAGAVULIN ma il menù quello dice). E dopo un po’ quello torna e ti dice che non c’è. E allora ti arrampichi di nuovo sull’unto della plastica del menù e scegli una PERONI GRAN RISERVA. E quello torna con un consueto peroncino. E ti dice – alla tua perplessità – che è l’unica peroni esistente. E allora “vabbè lascia va!” e te la bevi. Ma poi a pagare 5 euro ti sorprendi e glielo dici e allora ecco che invece il peroncino veniva 3€ che a pensarci è più che onorevole per lui (il peroncino) per te e per loro (che lo avranno pagato 0,50). Insomma una serata così. Dopo aver visto il bel film di Fausto Paravidino (finalmente un film italiano bello!) TEXAS e il ricordo sorpreso del suo volto, di uno scambio di battute in un bar con la assistente montatrice del film. Incredibile, ricordo involontario. Del film poco da dire: equilibrato, intenso, di una profonda facilità che solo un drammaturgo fresco e intenso poteva scrivere e rappresentare. I messicani del film bevono e brigano magari in pub simili al mio o in questo tex-mex di provincia. Feste in casa, intrighi nello scarto ridotto di una vita asfittica. C’è un texas di casa nostra? Un confine tra opulenza e selvaggio? Ce n’è uno dell’anima fatto di gestori improvvisati e relazioni stanche trascinate negli anni, mobili, scartate da bar mocambo di fallimenti e tradimenti, disperazioni da bancone? È incredibile come possa colorarsi di grigio la vita di chi è all’ombra di un locale, anche se le luci sono messe bene e hai fatto le provviste “di cose giuste” alla metro o hai chiesto al fornitore quale birra “va adesso”. Fa freddo. Via del Corso è deserta da notte di gennaio. I gestori ricombattano le fila delle loro unioni coniugate (più che coniugali). Chi dorme con chi? Chi va a casa di chi e per quanto? Come ti sei vestita? Si vede la pancia? Quanto è lontana la periferia?
Specialmente quelli egemoni: romano e milanese. In questo momento il peggio è in una pubblicità sulla telefonia. "Stai sciallo...pauuuura...." Urticante. da zecche. Immagino che a molti piacerà questo slang giovane ma a me fa venire le piaghe. Il peggio sta forse proprio in quelle radiofoniche (per la mancanza delle immagini e il ricorso a strategie più facili?) che sono tutte un facile ammiccamento - spesso, quasi sempre, sessuale - e banalità in fila indiana. Se ci concentriamo sui valori veicolati come si compete a tutti gli osservatori moralistici di cui siamo pieni la casistica è soprendente: genitori che addossano le colpe ai figli, corteggiatori che decantano le qualità della nuova auto alla ragazza della loro sera, papà che non ricordano il nome dei figli... Per fortuna che qualcuno ha le sue belle invenzioni e riesce a far cantare le case (che grande idea!) ma la norma è l'orrore e la banalità, state scialli (ma che significa!)!
Di Carvelli (del 16/11/2005 @ 08:59:36, in diario, linkato 3343 volte)
E' il titolo di un racconto di Cechov del 1883. Di un bel racconto di Cechov. Lo leggo e mi riviene in mente tutta la mia infanzia di amore per gli animali. La mia adolescenza in cui sognavo la campagna e i suoi mestieri. E soprattutto la grande passione per l'ornitologia, lo studio del volo. Ricordi lontani di cui sono traccia i tanti volumi della biblioteca. Libri difficili, libri per un'altra età ma letti con attenzione e con tracce precise di informazioni studiate tanto tempo fa e mai più ripassate. Che tornano quando sulla mia casa volteggiano i gheppi e mi ricordo di amare questi due uccelli meravigliosi.
Il falco pellegrino.
Il martin pescatore.
Checov in questo racconto rivela la sua grande grazia narrativa, l'attenzione allo studio quasi da vivisezionatore psicologico dei personaggi. Il gusto delle descrizioni del clima umano. Delle caratteristiche che rendono le sue prose vicinissime a noi. Nella semplicità del volo basso, dello scavo interiore. Sono sensazioni che alle volte sfuggono alla lettura di prose più simboliche in cui un grasso incontra un ex magro e si rivedono alla luce del tempo che è passato. Anche lì quello che sembra interessargli - ma si capisce meglio leggendo un racconto come quello che cito nel titolo (il titolo) - non è la sociologia, né in definitiva l'apologo morale, né il bozzetto, né l'allegoria ma l'ascolto interiore, l'osservazione dei moti interiori (anche attreaverso la fredda osservazione esterna) dei personaggi. Insomma se non si dovesse dire scrittore e se gli esseri umani meritassero senza disprezzo di essere guardati alla stregua di tutti gli altri animali, lo si dovrebbe dire un naturalista. Ecco, Cechov è uno dei miei naturalisti preferiti.
Di Carvelli (del 16/11/2005 @ 12:15:31, in diario, linkato 1042 volte)
D'accordo che ci sono passatempi migliori e d'accordo pure che le riviste vanno comprate ma nel frattempo vi segnalo un piacere. Quello di mettersi in piedi nel reparto riviste della Feltrinelli, l’unico spazio rimasto a questo piacere iniziatici che è lo spulciare riviste spesso piccole e autoprodotte tirate in meno di mille copie e fatte di una o di cento passioni. Vi segnalo una bella intervista a Pierluigi Cappello con selezione di poesie e prose dell'ottimo poeta friulano (che qui si spende per la chiarezza e il lucore, due caratteristiche che gli sono proprie e che invece lo rendono inviso agli amanti del fumo, della mistificazione e della complessità pretestuosa). Era su daemon una rivista bolognese sempre ricca di contributi interessanti. E con lei il nuovo numero di Maltese narrazioni che sceglie il brevetto come idea narrativa e... funziona. Almeno a leggere il primo di Fulvio Abbate. Alla prossima sosta in piedi da Feltrinelli...
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