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 rodi... di Carvelli
 
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Affamato e inferocito, sapevo che nulla al mondo mi avrebbe costrtto al suicidio. Proprio in quel periodo avevo cominciato a capire l'essenza del grande istinto di conservazione, la qualità dui cui l'uomo è in sommo grado dotato. Vedevo i nostri cavalli sfiancarsi e morire - non posso esprimermi in altro modo, utilizzare altre parole. I cavalli non si distinguevano in nulla dagli uomini. Morivano a causa del Nord, del lavoro troppo gravoso, del cibo cattivo, delle botte - e anche se subivano tutto ciò in misura mille volte inferiore agli esseri umani, i cavalli morivano prima. E capii la cosa più importante: che l'uomo è diventato uomo non perché è una creatura di Dio, né perché nelle mani ha quella cosa straordinaria che è il pollice. Ma perché è FISICAMENTE più forte, più resistente di tutti gli altri animali, e poi perché in seguito ha saputo costringere il proprio spirito a servire con successo il corpo.

Varlam Salamov
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 30/03/2006 @ 13:07:50, in diario, linkato 1983 volte)

 

LEGGERE   ROMA

dalla città contemporanea alla Roma dei Papi

 

 

  Roberto CARVELLI, autore di “Perdersi a Roma intervista

Roberto  Cotroneo, Erri De Luca, Valerio Magrelli, Sandra Petrignani

P R O G R A M M A

LUNEDì   3 APRILE  2006  ore 18 - incontro con Roberto COTRONEO

LUNEDì 10 APRILE  2006  ore 18 - incontro con Valerio MAGRELLI

LUNEDì  8  MAGGIO 2006 ore 18 - incontro con Erri DE LUCA

LUNEDì 15 MAGGIO 2006 ore 18 - incontro con Sandra PETRIGNANI

 

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Di Carvelli (del 31/03/2006 @ 11:17:42, in diario, linkato 1500 volte)
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Di Carvelli (del 31/03/2006 @ 13:47:01, in diario, linkato 1708 volte)

A Gamba Tesa/ Andrea Di Consoli

 

 

 

 

S’impara qualcosa da tutti. Da tutti quelli che ti parlano. Anche da chi ti fa del male. Anche da chi sta chiuso in casa, rintanato, lontano dagli uomini. S’impara qualcosa anche da chi non conosciamo (per esempio lo struggimento di volerlo conoscere, quell’uomo sconosciuto). Bisogna avere coraggio, per imparare. E anche per insegnare, bisogna avere coraggio. Viviamo un tempo in cui tutti vogliono fare gli allievi, perché fare i maestri significa disfarsi un po’ di se stessi, e quindi imparare a morire. Mi piacerebbe, un giorno, insegnare quello che ho imparato. Anzi, già insegno, a chi ne sa meno di me, le mie acquisizioni. Ho le idee chiare, su questo. Non sono un giovane scrittore. Non li temo, quelli più giovani di me. Non ho paura di invecchiare. Sono già vecchio. Mi assumo la responsabilità di indicare, a chi mi sta intorno, piccole rotte, mappe, gusti. Detesto quelli di quaranta o cinquant’anni che ancora mendicano un maestro. Di questi paurosi detesto l’individualismo mascherato di timidezza, la mancanza di generosità, la paura di rischiare, la necessità di nascondersi sotto l’ala rassicurante del potente di turno. Io imparo da tutti. Ma questo è normale. Piuttosto ho deciso d’insegnare quello che so, senza salire sulla spalla di un gigante generoso. I giganti non m’interessano. Li ascolto. Ma da pari a pari. Se qualcuno non mi sta bene, esco dalla porta e tolgo il disturbo. Non ho paura di nessuno. Non cerco padri. Ne ho già uno, di padre, e per me è il migliore della terra. Bisogna saper imparare da tutti. Ascoltare ogni discorso, con le mente ben aperta. Mi fanno ridere quelli che hanno mitizzato un maestro: di solito o ne sono rimasti schiacciati o lo hanno avversato con rancore. Io sono per la pluralità degli insegnamenti. Per la pluralità dei metodi e dei pensieri. Sono, della mia generazione, lo scrittore più vecchio di tutti. Mi sento di cento anni. Detesto la giovinezza che dura oltre i diciotto anni. Ho un sacco di difetti, lo ammetto. Ma rubrico tra i pregi la generosità di condividere con gli altri le mie cose. Di vedere gli altri superarmi in bravura e in riuscite di lavoro. Non bisogna solo imparare a imparare. Bisogna innanzitutto imparare a insegnare. In questo vorrei che la mia generazione fosse diversa. Vorrei che tramontasse definitivamente la stagione dei quaranta-cinquantenni che stanno marcendo nella prudenza, nella giovinezza protratta all’infinito, nella fiacca delle non-posizioni. In una parola: nel relativismo, che decade solo quando c’è da ottenere qualche misera commessa dal mondo dei giganti. Così, del proprio lavoro, non rimarrà nulla, neanche l’eco. Insegnare significa provare la vertigine di disfarsi di se stessi, cioè di morire. Significa indicare rotte, ben sapendo che quanto più sono precise e chiare, queste rotte, tanto più potranno essere contestate e superate. Per quanto mi riguarda, invertirei il problema: anziché almanaccarci sui buoni o i cattivi maestri, sarebbe interessante capire quanti di noi abbiano veramente il coraggio di ‘ergersi’ a maestri. Sì, con sicurezza. Con passione. Con coraggio. Rischiando qualcosa, quando si apre bocca. Senza marcire nel triste e misurato epigonismo dei giorni nostri, alibi perfetto per vivere una vita mediocre, senza infamia e senza lode.

 

 

 

pubblicato su Sud (numero dedicato ai maestri) e ripreso da www.nazioneindiana.com
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Di Carvelli (del 03/04/2006 @ 08:48:09, in diario, linkato 1096 volte)

 

 

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Di Carvelli (del 03/04/2006 @ 10:49:48, in diario, linkato 995 volte)

Alle volte nei libri non è importante quello che succede. Anzi, spesso. Per esempio ho riletto le prime cinquanta pagine de LO STRANIERO di Camus solo perché mi faceva piacere ricordarmi l’atmosfera del racconto e ho riscoperto una donna anziana in un ospizio. Morta. Una donna che è lo scatto del racconto (la sua morte è il clic della narrazione) ma che non compare mai. Se ne resta nella sua bara senza neanche rivedere per l’ultima volta il figlio. Ed è come se non ci fosse, quindi. La sua non presenza rafforza l’assenza. Rimarca la morte ma la sbugiarda anche (nichilisticamente?). E il fatto che il figlio non la voglia più inquadrare, evitando il riconoscimento persino legale, la sottrae al racconto (e quindi al nostro incontro). Dei dolori conosciamo solo (o meglio direttamente) quelli esterni al racconto ovvero le sensazioni degli ospiti dello stesso ospizio, due più affezionati e quindi uno sguardo più sentimentale. Molti laterali – quegli sguardi di altri anziani del centro – e anche questo rafforza la percezione della freddezza del dolore che guarda alla morte coetanea come a una condizione imminente e necessaria. Il carattere della prossimità di chi è vicino biologicamente di contro al distacco di chi è vicino nel sangue.

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Di Carvelli (del 03/04/2006 @ 16:04:03, in diario, linkato 962 volte)
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Di Carvelli (del 04/04/2006 @ 15:10:50, in diario, linkato 998 volte)
Se uno dopo diventa vecchio... se uno riuscisse ad invecchiare in un attimo. Tutto adesso, in un minuto, una giornata, un anno... Se uno adesso diventasse vecchio tutto d’un colpo e si mettesse ad aspettare? Aspettare e basta. Senza avere fretta. Come va va. Come succede. Come viene. Se uno adesso facesse come se è morto o fra poco, come se non servisse darsi pena per quel che succede o non succede, come fanno gli altri o cosa fanno gli altri? Se uno adesso si fermasse al bar ad aspettare che passi questo scroscio di pioggia, questo acquazzone?
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Di Carvelli (del 05/04/2006 @ 15:20:26, in diario, linkato 1005 volte)
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Di Carvelli (del 06/04/2006 @ 14:13:42, in diario, linkato 987 volte)
Dove lo scrivi? A chi lo leggi prima che sia pubblicato? E dopo, chi lo legge? A cosa pensavi quando lo scrivevi? Sei andato tutto filato o hai avuto una crisi? Da qui a lì e poi da lì alla fine? Come finisce? Finiva così? C'ha lavorato molto? Che computer hai? Che fai mentre aspetti? Che fai mentre pensi? A che/chi pensi? Lavori? A che ora? Hai un passatempo sciogliansie? E poi? E ora? E dopo? E il prossimo libro? E i vecchi? E quanta distanza? Cosa non più? Cosa ancora? Quando? Cosa leggi ora? Cosa leggevi allora? Che musica senti quando? E quando no? Cosa si vede dalla finestra di casa tua? Come sono i tuoi vicini? Se citofonano rispondi? Se bussano alla porta ti fai zitto e fai che non ci sei? O apri? O? Chi la fa la spesa? Fai la doccia spesso? Vai a comprare i giornali? E a che ora? Ai libri fai le orecchie? Hai segnalibri? Li lasci aperti rovesciati o forsi il dorso? Ti sei mai dimenticato un libro sotto la pioggia? Quanto pesi? A quali ore vai in bagno? Scrivi mai sulla tazza? Prendi appunti? Ci sono domande che vorresti ricevere? Quali? E domande che non vorresti ricevere? Quali?
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Di Carvelli (del 10/04/2006 @ 12:04:30, in diario, linkato 956 volte)
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