Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 08/10/2010 @ 15:15:53, in diario, linkato 1422 volte)
Ho cercato e ho trovato qui parte dei versi della poesia ritrovata di Ted Hughes scritta alla morte per suicidio della moglie Sylvia Plath. Ma non è tutta qui, essendo di 150 versi. Se qualcuno la trovasse la recepisco volentieri. Le fredde note dell'inglese portano nelle biografie, alla morte della poetessa: "She committed suicide by carbon monoxide poisoning at age 30". Non so se mi piace o no. Ma l'idea che "commettere" sia il verbo a locuzione per "suicidarsi" mi sembra che molto aggravi di volontarietà il gesto. E da un punto di vista della responsabilità non mi dispiace.
www.dailymail.co.uk/news/article-1318398/Ted-Hughess-letter-Unearthed-poets-lament-Sylvia-Plaths-suicide.html
Era tutto più semplice: tu che mi domandi dove vai io che ti dico al cinema tu che mi chiedi lo sa papà io che ti dico no tu che mi inviti a dirglielo lui che mi dice no io che rimango a casa senza che poi ci volessi davvero andare al cinema.
Ho intercettato per caso questo saggio molto bello di Emiliano Morreale. L'invenzione della nostalgia (Donzelli).
In realtà ho letto solo il primo capitolo Teorie e pratiche della nostalgia. E mi è sembrato molto interessante. Analizza il sistema di nostalgia creato da cinema e, in tempi più recenti, dai media in genere riflettendo sul come questi ultimi (tv in testa) abbiano creato una acuzie del sentimento. E' un tema bellissimo tout cort e bello in questa osservazione/riflessione. Bella anche l'idea del ciclo di nostalgia col salto di 20 o 30 anni. Ho pensato se noi in fondo abbiamo nostalgia per il senso permeabilissimo che abbiamo nella nostra formazione giovanile (la musica, i film, i cartoni dei nostri anni giovani) o anche (oppure) necessitiamo di un salto epocale, un non voler essere nel tempo in cui siamo ma in uno precedente che non abbiamo potuto attraversare (nell'altro caso che non avremmo voluto abbandonare). Chissà. Alle volte penso che sia una forma più o meno idealistica di dilatazione (rallentamento) del tempo che viviamo (vita/morte cose così). Un modo per fregare il tempo intercettandolo in posticipo.
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Iersera sono stato inviato ad una serata x-factor. Sopro da non possessore di tv che c'è gente che si vede per tifare un cantante o un altro. La serata prevedeva un vassoio cadauno (la mia amica uno e io un altro contenente carne e bieda), la possibilità di dire un certo numero imprecisato di parolacce e un cane che cercava di mangiare a turno da uno dei piatti. Superati un paio di ostacoli non è stato per nulla male. E' bello poi andare a vedere la tv a casa d'altri. E i cantanti... beh alcuni sì erano davvero bravi.
Senza saperlo ho celebrato anch'io la fine della DDR rivedendo Le vite degli altri. Ho pensato che essere parte di un noi collettivo e senza persone sia il grande male di tutte le organizzazioni. Religiose, politiche. Credo che tutti i consessi umani si infrangano sul muro di un noi senza persone. Un noi facile perché indistinto e quindi più cementificabile. Un concetto che non è rimasto al muro ma che si perpetua ovunque e sempre. In qualsiasi organizzazione è più arduo tenere tante preziose unità rinunciando ad avere una malta compatta e indistinta ma è l'unico modo per farle durare nel tempo. Anche se nel breve può sembrare più efficace unime materiali identici o rendere identici materiali dissimili. La bellezza di quel film, credo, è proprio nella celebrazione dell'impossibilità di rendere a forza elementi diversi pasta comune annullandone le differenze.
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