Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 17/04/2007 @ 08:56:36, in diario, linkato 1024 volte)
Fondamentalmente è l'avvervio che usi di più. E' il tuo intercalare, il tuo concludere, sussumere, abbreviare, tirare al punto. Fondamentalmente, dici, e spari a secco e definisci e battezzi o pratichi la tua estrema unzione del ragionamento. Fondamentalmente. A me diverte soprattutto quando a "fondamentalmente" unisci la tua opinione su di te e ti definisci. "Fondamentalmente io sono così". Io "fondamentalmente" no.
Pari come mai altro. Non chiama uno non chiama l'altro. Pari. Due no. Quattro no. A coppie. E non ci si sente più. Per accumulo di posizioni, per coppie di negativo. Si fa davvero così: come una scienza esatta. Come un esperimento che riesce. Sempre. Ci si allontana per questa strada.
Se la guardo dalla parte mia. Se la guardo dalla parte tua. Se la penso come la penso. Se la penso come la pensi te. Se provo a non pensarla. Se dico e mi rimangio. Se parli senza dire. Se dico ma non penso. Se in fondo non importa. O ne va della mia vita. O della tua. E' tutta questione di valutazioni.
Giacomo Leopardi Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani
Se ora penso a questa cosa penso a un aereo. Se ora penso niente più libri nuovi a un aereo. Sempre a un aereo penso. Scegliere se comprare un'edizione completa, se vendere le vecchie, se comprare le nuove. Se tenere le une e le altre. Se informarsi da qualcuno che più di me sa come valutare una buona traduzione dall'inglese. Se penso a questa cosa così a bruciapelo, ora che so questa cosa. Penso a un aereo. Sempre e comunque a un aereo. E non c'è verso. A quello e a nient'altro (no soprattutto a quello sicuro che c'è altro). Penso a un aereo e lo so che è perché quasi tutti i libri (almeno quei due per me più importanti Mattatoio n.5 su tutti e Giaccio 9) li ho letti lassù. Aerei in aereo. E' una coincidenza ma se partivo per una missione di lavoro avevo un libro di Vonnegut. Anche Un pezzo da galera (vecchia edizione) ero lassù. Oggi penso a un aereo e a questa cosa.
Fare o non fare. Resistere o abbattersi. Continuare o fermarsi. Credere o non credere. Più o meno è tutto qui. In queste coppie di opposti. In queste scelte frettolose. Mai troppo consapevoli. Mai troppo sicure. Si va per tentativi. Tra sapere da dove si viene e timori per quel che arriverà. A volte schiacci uno a volte l'altro. Come se tutti questi fossero bottoni. Più o meno è così: pigiare o non pigiare un bottone. Uno o l'altro. Un senso o l'altro.
"Solo di sfuggita gli sovvenne che poteva essere illusorio pensare, a cinquant'anni, di poter trovare un buco che sostituisse tutto il resto".
Sto leggendo Everyman di Philip Roth.
Faccio cose così. Esco senza molto da fare e giro a vuoto attorno al nulla. Ma il nulla è un albero che mi piace, un giardino fiorito di un vicino o qualcuno attorno al mio ufficio che tira su un orto piccolo con un grande impegno. Mi dico che è più bravo di me o forse è solo più ordinato. Vorrei chiedergli come fa a tirare su queste cose e quanto gli durano ma le serrande sono abbassate. Faccio cose così. Mi metto o non mi metto il profumo. Mi metto o non mi metto il dopobarba. Guardo come cammina una persona. Piango per un film fin troppo stupido. Ti bagno le labbra arse. Ti dico che la vita è questa e non è male. Ma è la parola mia contro la tua. Sono soggiogato dal poco. Attratto da cose per altri inutili. Mi dico che sono superficiale. Anzi mi domando: "sono davvero superficiale?" Ma poi non rispondo. Faccio cose così. Deve essere la mia specialità. Andare o non andare. Fare o non fare. E tornare a casa con poco ma felice. Cercare di ricordare se mi sono sempre piaciuti i bulbi se davvero avrei voluto scrivere quella cosa. Se domani sono ancora qui. Faccio cose così. Senza pensare.
Esistono pellicole che per quanto in un primo tempo passino inosservate, film la cui visione apparentemente non sposta una riga della nostra sensibilità e che solo poi ci accorgiamo ci stanno addosso con una presa che non molla. Film a cui ripensiamo senza sosta, film le cui immagini ci risalgono come un rigurgito. O vita. Vita che all'improvviso ci suggerisce e ci ricorda quella visione. E' inutile che cerchi di distoglierti, di saltare l'associazione, di schermare l'emozione di quel ritorno. Ce li hai addosso e non te ne puoi liberare. Non importa dire quali - ognuno ha i suoi - ma ci sono film così.
Di Carvelli (del 03/04/2007 @ 09:21:07, in diario, linkato 1117 volte)
“Sono nato alle soglie dell’inverno, in montagna, e la neve ha accompagnato la mia vita. All’asilo infantile le suore ci avevano insegnato una canzoncina che diceva di un bambino che dormiva in una culla e di una vecchia che cantava, il mento sulla mano: ‘Nel bel giardino il bimbo s’addormenta./ La neve fiocca lenta, lenta, lenta’. Scopersi molto tempo dopo che era un sonetto del Pascoli”.
Iniziano così le belle prime righe di Stagioni di Mario Rigoni Stern. E continuano con un ritmo che per pigrizia devo interrompere. In ogni caso mi sembra un buon trailer questo. Se non altro per andare in libreria e continuare la lettura da soli fino a un po’ più avanti.
“Cadeva la neve sulle montagne della guerra dove ci portava il destino”.
E ancora dopo. La guerra e avanti. Fino a che...
“Dopo dieci anni Elio Vittorini mi scoperse Sergente nella neve e ancora tale sono rimasto per tanti. (...) In questi giorni è nevicato molto e sul mio tetto, sopra quella di dicembre, c’è più di un metro di neve fresca. Sono isolato dal paese. Da un libro traggo un foglio dove Andrea Zanzotto mi ha trascritto a mano una sua poesia: ‘Gelo: Stagione del candore -/ per le più variate nevi/ mille stelle sorelle/ verso me prendono il cammino’”.
Segue una meditazione sul tempo di Rigoni Stern. Il caldo africano e il freddo polare ascoltati per radio o in tv. Clamore. Terrore. E invece...
“Insomma, basta con queste lagne! E’ perché viviamo in case surriscaldate, perché facciamo poco movimento; perché le donne vanno vestite leggere per far vedere le forme e la pelliccia la indossano in mezza stagione per farsi notare, perché i giovani vestono i jeans e non mettono le mutande di lana e bevono bevande fredde invece di tè caldo”.
Naturalmente ho dovuto saltare parti meravigliose come quelle dell’invito all’annotazione mnemonica del tempo meteorologico nella nostra vita dei ricordi, delle cose... Naturalmente ho interrotto un ritmo meraviglioso che sembra procedere da sé (dall’autore) verso te (il lettore) come un’invasione di significati precisi e vivi che poi non sembra ma continui a pensarci per un po’ come accade alle cose che entrano di soppiatto ma prendono posto comodo dentro di noi.
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