Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mi inteneriscono le scarpe di vernice dei giapponesi o dei coreani. Quella costruita forma di eleganza. Inappuntabile. Luccicante. Mi piacciono meno nella versione un po' da ginnastica di queste calzature ciclistiche che vanno per la maggiore. Nella scarpa classica di vernice vedo, invece, il voglio e posso senza ostentazione conclamata dell'essere eleganti - o notati per l'eleganza - a dispetto delle mode. E dell'umiltà autoimposta. O del trasandato come unica forma del patinato da rivista di moda.
La coppia
Spengono la luce ma la sua bianca campana di vetro Riluce ancora un istante prima di svanire del tutto Come una pastiglia in un bicchiere di oscurità. Poi si alza. E le pareti dell’albergo si slanciano nel buio del cielo.
I movimenti dell’amore si esauriscono e loro dormono Ma i pensieri pià segreti si incontrano Come quando due colori si fondono Sulla carta umida del disegno di un bimbo.
Buio e silenzio. Ma la città stanotte si è avvicinata. Con le finestre spente. Sono giunte le case. Stanno molto vicine nell’attesa affollata, Di gente dal volto inespressivo.
(traduzione di Franco Buffoni)
Io mi ricordo le due mani di uno senza mani, che erano di una gomma grigia e di una forma esagerata. L'apparecchio con cui parlava un uomo operato alle corde vocali. Mi ricordo il suono della sua voce. Sintetizzata in un'epoca senza sintetizzatori che mi sembrava dicesse tutte parole in -orno tipo buongiorno ma non deve essere un ricordo affidabile. Io mi ricordo la biancheria di una volta. Pesante e un po' sgraziata, anatomica, antivento, antiurto. Mi ricordo l'odore che avevano certe ascelle. Mi ricordo anche che il sapone viaggiava dentro scatolette di plastica dai colori tenui. La gente per strada non si baciava, non si teneva per mano e persino non si guardava. Ma forse non guardavo io o non ricordo. Chi era zoppo era zoppo e chi chiedeva l'elemosina era povero e sfortunato ma questo non era un genere merceologico. E poi domenica era davvero domenica. Non come adesso che lo è sempre meno. Ma erano tante le cose che avevano una liturgia diversa e forse questo ha determinato alcune scelte mie e complica altre soluzioni che per altri sono scontate.
Inventario
hai scrutato il tempo nel paralume: rami intrecciati, linee di edifici toccate parola per parola. fino allo sguardo tutto è aperto – chi
l’ha detto? sto solamente seduto qui come scritto da me stesso, matita su carta. batte l’orologio a gas, si beve forte per fissare questo testo & si ha
nel sangue l’interpunzione sbagliata. là le bottiglie sulla stufa, qui i trucioli, dissolti dal parlare, l’odore di segatura fresca – ogni
tratto di scrittura respinge le cose attraverso la grafite nelle tue ossa, solo al piangere non riesci ad arrivare
(traduzione M. De Angelis / T. Prammer)
"Credo ci sia anche questo: un ‘volermi gonfiare' in una specie di sentimento tragico. E non solo un sentirmi sempre triste, ma un volermi sentire sempre più triste. Un portare agli estremi le situazioni drammatiche, per poi soffrirne di gusto. [...] Non farti prendere da un'atmosfera, da un momento, per di più d'indolenza, ma tieni presente le grandi linee e le grandi direzioni. E sii pure triste, semplicemente e sinceramente triste, ma non costruirci sopra dei drammi. Una persona dev'essere semplice anche nella sua tristezza, altrimenti la sua è soltanto isteria".
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