Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
se ne è occupata sul domenicale de il sole laura lepri,settimana scorsa,e ieri su repubblica bartezzaghi.i criteri di sistemazione dei libri nelle librerie.per editore?per autore?per anno di uscita?qual è il vostro? il mio per disorganizzazione è la confusione,salvo una piccola libreria dedicata al criterio arca di noè.non più di 200 libri salvati dalla dispersione.
Mi è caro questo piccolo libro di Federigo Tozzi, Bestie. Dentro ci si trovano delle frasi-racconto di una forza straordinaria. Spesso incipit di rara fragranza. Commoventi. Disperati. Esempio: "Nel bosco cerco l'albero che, tagliato a bara, imputridirà sotto terra con me. Gli voglio tanto bene: forse, è quello dove ora c'è sopra un merlo".
Caro Pino
Scusa se ti ricordo la nostra chiacchierata ma davvero comincia a essere urgente. Ci sono cose su cui ci dobbiamo pronunciare, non dico definitivamente ma decisamente sì. Questioni che abbiamo lasciato in sospeso e su cui dobbiamo dire la nostra. I Compagni e le Compagne aspettano chiarezza e gliela dobbiamo. Provo a rammentarti i temi così per fare il punto e ricordarceli per quando ci vedremo. A proposito: per te andrebbe bene lunedì dopo la proiezione di Yol? Fammi sapere.
Ti dicevo delle cose su cui va data una linea. Fiorello. Lo so, parto dal più spinoso ma i compagni si chiedono come mai quando era inviso a Berlusconi noi organizzavamo pullman dalla sezione per andarlo a sentire e ora ce ne teniamo alla larga? Un’altra questione – scusa se vado veloce ma serve solo a preparare il terreno per una discussione più approfondita ma che non potrà che essere larga come capirai – è quella della letteratura o meglio dell’editoria. Degli intellettuali molto vicini a un’ala del partito si sono scagliati contro il self-publishing, addirittura scrivendo un documento molto articolato che è stato recepito da tanti con favore. Che facciamo? Che posizione prendiamo? Non vorrei che ci trovassimo in quei cul de sac delle avanguardie e comunque forse dobbiamo recuperare la visione gramsciana della letteratura nazional-popolare. Insomma va deciso qualcosa. Diciamo o non diciamo che c’è bisogno di un filtro? Che c’è o no bisogno di una intellighenzia che decide per il popolo? Che non si può lasciare tutto al caso e al mercato? E anche su facebook, scusa se mi permetto, ma non mi sembra che finora abbiamo preso una linea coerente. Insomma va presa una posizione che come vedi viaggia sulla stessa frequenza: il ruolo della cultura popolare o di massa. Insomma, per essere sincero, non vorrei che ci trovassimo a riabilitare e fare nostri vent’anni dopo i film con Renzo Montagnani che al tempo mandammo all’indice (vedrai che il problema si riproporrà con I soliti idioti). Tutti i discorsi come vedi si fermano al punto della volontà dei più. La rispettiamo? Ne teniamo conto? La ostracizziamo e ci battiamo per un’educazione, una preparazione? Perché facciamo le primarie – scusa la licenza – se non avessimo in conto la volontà generale? C’è poi la solita questione – che mi rendo conto è minore – cara alle compagne, ovvero quella del perizoma e del tanga? Su questo, come sai, tra noi ci sono idee molto diverse. E forse è il caso che chiariamo anche solo per lasciare alla coscienza della singola. Anche su una depilazione, diciamo così, un po’ spinta – magari poi ti rendiconto a voce – c’è da dare un segnale pure se lì c’è più unità di vedute. Ma la mia lista si potrebbe allungare: su Sky, sull’outlet e tutti i consumi di massa, l’I-phone… Spero di non averti confuso le idee aprendo tutte queste finestre ma l’ho fatto per poi provare a trovare con te, quando ci vedremo, una specie di bandolo della matassa che ci aiuti ad affrontare tutto con un metodo che ci sarà utile per il futuro. Aspetto un segnale. Ti ripeto: per me va bene dopo Yol, o anche durante visto che il film l’ho già visto? Fammi sapere.
S.
Di Carvelli (del 23/11/2011 @ 10:06:39, in diario , linkato 1363 volte)
No so se c'è una relazione biunivoca. Se ad amore ricevuto corrisponda amore che si dà a sé e ad altri. Non lo so (come direbbe uno de I soliti idioti). E lo lascio ai computatori di rubriche psicologiche e al vostro buon senso. Anche se sembra asseverata la relazione di reciprocità. Giorni fa una mia amica ha ricevuto un sms bellissimo da sua mamma. Ve lo cito. " Ciao **, con lo sciopero come fai ad andare a casa questa sera? amore è dura la vita vero? ho fatto tante cose oggi. ho trovato un riccio dietro casa,toccandolo è diventato una palla,sembrava morto,invece si vedeva la pancia che si muoveva respirava pieno di paura,l'ho portato vicino al fosso.ti voglio bene bacini". Mi sono affrettato a dirle che non ho mai ricevuto un messaggio così bello da mia madre né da mio pade. Non credo che dipenda dal fatto che sono un uomo. Ho ricevuto altre cose né vi potrei dire di avere avuto a che fare con la Gestapo in mura domestiche anche se ci sono state proscrizioni, divieti, punizioni e altre leccornie. Ora sto bene o sto male? Non lo so (vedi sopra). Sono qui, questo solo. Ma se un giorno avessi una figlia o un figlio (non sono di quelli che pensano a "una severa educazione militare per evitare percolose derive di gender") giuro che gli manderò messaggi così belli. Se non trovo un riccio lo farò con un piccione, una formica, uno storno o un topo se non ci saranno altre tracce animali. Perché fa bene ricevere messaggi così (anche senza i bacini) e non ho bisogno di nessun autorevole esperto per dirlo.
Mi diverte la parola “titolo di viaggio”. La penso oggi mentre scelgo forzosamente la metro al posto della moto. Ho titoli di viaggio? Sì due. Ma ho anche un diverso titolo di viaggio: sempre la Munro, sempre un racconto da Il percorso dell’amore, intitolato Mucchio bianco. Il racconto si presta al viaggio breve di 8-9 fermate e la scrittrice canadese ti catapulta in un mondo famigliare fatto di cose piccole, esplose. Come quando racconta con sobrietà una scena di amore coniugale mentre i bambini scalpicciano downstairs. Come quando racconta il corpo di un’anziana nuda. C’è in questo racconto un talento per l’impudicizia – in una sua forma molto munroiana (quindi cesellata e arguta, ma senza ricerca d’effetto) – che lo rende trasgressivo in modo molto naturale. E da sé. Senza fuochi di artificio. Leggo per voi: “Negli anni a venire avrebbe imparato a riconoscere i segni premonitori dell’inizio come della fine di una relazione amorosa. Non l’avrebbe più stupita tanto constatare come possa squarciarsi la pellicola protettiva che ricopre ogni situazione. (…) – Secondo me, il momento migliore è sempre l’inizio. L’inizio e basta. È l’unica parte autentica. Anzi, forse persino l’attimo prima dell’inizio. Forse quando ti balena in testa l’idea che possa succedere. Forse è quella la parte migliore”.
Con questo articolo ho iniziato per e con Paese Sera dei viaggi che non mi porteranno lontano ma...come va va o meglio...dove va vo...
Anagnina ore 22 di Roberto Carvelli Vi siete mai chiesti: che ci faccio qui? La domanda, che riecheggia il titolo della nota collazione di fughe nel mondo di Bruce Chatwin, non è peregrina – è il caso di dire – neppure per un “viaggiatore” romano. Che ci faccio qui? Me lo chiedo, per esempio, davanti allo spettacolo vuoto di Anagnina ore 22. Come ci sono finito? E, soprattutto, come ne esco? Mi concentro sulla seconda domanda perché, come sapete, la metro linea A, a quest’ora e di questi tempi, è bella che chiusa, il luogo è buio e vasto come un deserto d’asfalto e in tutto questo vuoto anche la tua ombra sembra suggerire un pericolo. Persino uno come me, timorato poco di dio e quasi per nulla degli uomini, se la vive male tutta la mitteleuropeità di questa Roma Sud-Est. Dove Est sta anche a ricordare la frequentazione nazionale. Dalle 19, infatti, come in un gioco di prestigio, Anagnina diventa una stazione di posta da cui una torma di romeni e russi si raggruppa per l’ultima birra prima di... Tornare nelle case direzione Castelli? Trovare il modo per sfangare una serata?
LE CRONACHE DI ROMA - Chi legge le cronache di Roma conosce le pagine nere degli stupri e altre violenze, la morte della romena colpita da un cazzotto italiano ancora celebrata da una colonna di preghiere votive, il tappeto vitreo delle birre bevute. Le lettere indignate degli abitanti a “il direttore risponde”, giù fino al presidio delle forze armate. Insomma, un laboratorio debole di convivenza internazionale tra kebab, mercatini improvvisati e un alimentari come ne sono rimasti pochi. In definitiva, qualche giustificazione al voler lasciare l’inospitalità del luogo è possibile trovarla. Provo a chiedere a qualcuno notizie dei bus sostitutivi senza intercettare nessun idioma italiano. A furia di girare nel tondo delle sommarie indicazioni trovo il posto giusto ma il bus non parte e allora, per impazienza, mi avvio a piedi verso il mondo abitato camminando sul lato destro. Sopra mi scorre la pista della sopraelevata e passo l’edificio rosso casa cantoniera che ospita una scuola e la biblioteca comunale. Un autolavaggio che promette la doppia soluzione di un LAVAGGIO ACCURATO e di uno più rapido ed economico, solo esterno. A sinistra, coperto dalla strada, non posso vedere, purtroppo, a che punto sono i lavori del restauro dell’Osteria del Curato. Un complesso secentesco in cui, per spiegarne l’etimologia, un prete preparava da mangiare per i contadini della zona e una stazione di sosta per chi portava il vino dai Castelli a Roma. Insomma un luogo con un destino che si ripete. Non è chiaro se la trattoria-osteria (senza più curato ormai) riaprirà e quando, se la chiesetta – anticamente di pertinenza della Basilica di San Giovanni in Laterano – sarà visitabile ancora. Da qui agli studios di Cinecittà pare facile ma un po’ l’ansia di vita che un chilometro dura un attimo fatto di smog e macchine che sfrecciano e sono all’angolo del muro che recinta tutto il nostro Grande Cinema. Che ci faccio qui? E’ una domanda a cui mi piacerebbe rispondere pensando di doverlo varcare per ritrovarmi in una fantasmagoria felliniana. E invece, locco locco, me ne torno a casa.
www.paesesera.it/Societa/Che-ci-faccio-qui-Anagnina-ore-22
gira una battuta sul nuovo governo vs il vecchio: è stato come passare dal carnevale alla quaresima. facendone tesoro oseremmo dire che per il corsera transitare da alberoni a grasso in rubrica di prima pagina fa pensare a un passaggio da liala a joyce. si veda il ritratto odierno di bocchino del massmediologo.
Tra le 4 e le 6 del pomeriggio del 1° novembre 1975 Pier Paolo Pasolini rilascia la sua ultima intervista a Furio Colombo (che possiamo rileggere nel libriccino a firma del giornalista e del professor Gian Carlo Ferretti che la introduce in L’ultima intervista di Pasolini, Avagliano). Il giorno dopo, Pasolini sarà all’obitorio. E’ una lettura importante, da consigliare. Dice Pasolini a Colombo (a cui chiede di intitolarla Perché siamo tutti in pericolo): “A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire”. E’ un bel messaggio di speranza che stempera o rafforza il pericolo che aleggia come una premonizione che purtroppo si avvera e la definizione del potere. “Il potere – dice Pasolini – è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo”. Il potere ci divide e ci comanda. Rimanere uniti a noi stessi o impermeabili ci mette a rischio. Tutti.
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