Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La mattina fanno capannello attorno alla scala della metro. Un gruppo misto di diffusori di giornali free press, abitanti del quartiere, perditempo. Il clima è pensionistico sciatto e male in arnese. Il tempo (quello cronologico) è smisurato. Attendono qualche evento non verificabile, soprendono la noia con il buonumore e verrebbe da dire che con questa bassa disposizione alla ripetizione sempre uguale delle mattine abbiano ragione loro e la vincano questa dispersione che morde e affretta la fine.
Salgo sul taxi e dico dove devo andare. Il tassinaro registra l'informazione e parte. Accennno al traffico del giorno (già verificato e conclamato dal tassinaro dell'andata) e lui scatta "mortacci sua". E continua, come con un tassametro. E poi declina: "mortacci sua der sindaco e di tutti l'assessori". E via così. Uno dietro l'altro cadono sotto i suoi "mortacci sua" tutti i presunti responsabili del traffico. Non è un buon momento questo per i tassinari e si capisce dall'odio ostentato e profuso (questo) e da altre manifestazioni di dolore (la confessione dell'altro giorno di un altro che disperato mi chiedeva consigli su come comportarsi). Intanto il taxi avanza e io mi accorgo che non ho mai visto la faccia del declamatore di "mortacci sua". Mi viene la curiosità e provo a inquadrare il volto nello specchietto ma inutilmente. Poi, ad un mio commento invece colgo il muso, e lo vedo contratto in un'espressione sofferente, un ghigno, una trattenuta ira che gli ha modificato la mascella e le labbra. Mi dico che non voglio morire così. Con una faccia da "li mortacci sua".
Di Carvelli (del 22/09/2006 @ 15:53:58, in diario, linkato 7180 volte)
Queste tre donne sono di Daniele Galliano (Pinerolo, 1961)
Di Carvelli (del 25/09/2006 @ 08:51:27, in diario, linkato 1456 volte)
Sembra che non stia andando più al cinema e invece è solo che non so di tutti i film che ho visto e vedo quale sia degno di un commento ottimista. Eppure vado molto. Eppure, spesso, trovo qulacosa che mi incuriosisce o mi sorprende ed è per questo che mai abbandono la sala anche se la tentazione alle volte è forte. Ma poi resisto, mi fermo, aspetto, temporeggio. Mi dico "ho speso un bel po' di soldi" e di questi tempi non è il caso di perdere soldi. Anche ieri sono andato al cinema. E a dispetto della drammaticità del plot non ho potuto trattenere una risata pur in uno di quei momenti che il regista penso avesse inteso come apice del climax. I film spesso sono scritti male. Spesso sono male interpretati. Spesso non sembra (le due cose vengono un po' mascherate) ma i personaggi a ben guardare sono macchiette. Alle volte capita (si capisce) che sono mal diretti. Alle volte mal scritti. Tendo sempre a depenalizzare gli attori (molto neorealismo ci ha insegnato come si possa ottenere molto da non professionisti). Ma le responsabilità è giusto che si dividano. Ci sono registi che girano sull'onda di un'emozione. Registi che fanno politica e non cinema. O meglio che fanno cinema quando la politica glielo chiede. Attori che piacciono al governo. Registi che sono cari a una certa intellighenzya. Ci sono registi/autori con un bello sguardo ma solo sotto commissione e registi che pensano di essere americani (nelle interviste propagandano il loro modo di girare coraggiosamente USA) ma a parte qualche effetto e la pretesa di una serie di rutilanti e gratuiti colpi di scena non hanno altro da regalare ad un pubblico...e c'è poi un pubblico partigiano che si esalta riconoscendo la politica di cui sopra o l'americanismo di cui sotto. Nessuno dei due tipi/topoi è capace a quel punto di dirvi se il film sia bello o riuscito. L'importante è recitare/replicare il loro sentire. Tutto questo è ideologia. Che con il cinema c'enta poco o punto. Ecco perché è un po' che non parlo di film.
Di Carvelli (del 25/09/2006 @ 10:04:03, in diario, linkato 1555 volte)
Sabato mi sono seduto nella Galleria Esedra e ho fatto colazione. Solo. Dagnino è uno dei miei luoghi culto...vedasi "Perdersi a Roma". Mi pregio perciò di fare una piccola ammenda, non sia altro che economica.
Di Carvelli (del 25/09/2006 @ 14:33:21, in diario, linkato 1514 volte)
Si aggiunge al catalogo dei letti la stanza semivuota in un appartamento vuoto che poi appartamento davvero non è. Prenderne nota? Ricordare per arricchire la sequenza del libro dei letti? I minuti passano, la notte sembra incorniciata in un piccolo furto a tempo determinato. Come un'occupazione. Come un ricovero di fortuna conquistato nella precarietà di questi giorni e a tempo. Sotto macchine che sfrecciano. L'alba sarà improvvisa e andrà presa al volo. Un treno. L'odore dello sterco dei cavalli. Lavoro.
A love story, 1997. Silicon di Luisa Rabbia www.luisarabbia.com
Di Carvelli (del 26/09/2006 @ 08:54:40, in diario, linkato 1525 volte)
Parlano a voce bassa e alludono. Sesso e minori. Preferisco scollegarmi. Parlano di sesso. Due uomini dal profilo morboso e abiti sguaiatamente eleganti. Si dicono cose che si giustificano. Giustificano la loro predilezione per un sesso senza regole. Non l'età, non il contesto. Mi rendo conto che uomini così possono solo pagarle le donne, possono solo avere la fortuna di fare incontri con un mezzo in mezzo: il denaro. Sia esso contributo di un piacere diretto o dilazione di un vantaggio nel tempo. Capisco quanta distanza c'è tra queste persone (le loro idee) e l'incontro, lo scambio. Di qualsiasi tipo siano. Non è questione di pudore, né di altro. Non c'è terreno di mezzo, l'incontro deve necessariamente pendere verso di loro. A meno di un ripensamento, una distanza da quello che esprimono ora (ché tutto si può cambiare). Poi parlano di calcio. Moggi. Il sistema arbitri. La Fiorentina. Tutto è avvenuto in un baleno ed ecco che il registro è cambiato e hanno assunto una forma compita, professionale e mi domando da dove gli venga questo eloquio più sobrio, attento, consapevole. Parlano di calcio ma è come se parlassero di politica. Citano firme del giornalismo sportivo come menzionassero premi nobel e autorità intellettuali. Poi scendono. Anch'io.
Di Carvelli (del 27/09/2006 @ 08:25:29, in diario, linkato 1375 volte)
Oggi, cercando di quantificare una fregatura occorsami e i conseguenti dispendi, mi sono sorpreso a pensare a che valore si debba dare alla felicità, il prezzo, la quotazione. E' possibile dire 25mila euro? Duemila euro? So che cammino con le parole sul bordo dell'ovvio eppure, con la facilità dell'essenziale, ieri mi sono sorpreso a fare un ragionamento monetario sul più prezioso (uno dei più preziosi) beni di cui disponiamo. Il più prezioso o il primo. Anche se nessuno si azzarderebbe a dire che e se è costoso, se e che prezzo meriti. Dunque, se c'è un prezzo da pagare che si paghi. E che non ci si domandi se siano ben spesi o siano troppi. Miele per l'amara medicina? Forse, ma costa poco.
Di Carvelli (del 27/09/2006 @ 15:30:37, in diario, linkato 2675 volte)
Seguono due poesie di Beppe Salvia. Non adesso ma poi...vorrei...comprare questo piccolo tributo amichevole alla storta perfetta sorte della poesia e alla sua bellezza.
Adesso io ho una nuova casa, bella
anche adesso che non vi ho messo mano ancora. Tutta grigia e malandata, con tutte le finestre rotte, i vetri infranti, il legno fradicio. Ma bella
per il sole che prende ed il terrazzo ch’è ancora tutto ingombro di ferraglia, e perché da qui si può vedere quasi tutta la città. E la sera al tramonto sembra una battaglia lontana la città. Io amo la mia casa perché è bella E silenziosa e forte. Sembra d’aver Qui nella casa un’altra casa, d’ombra, e nella vita un’altra vita, eterna.
***
Abbiamo nel cuore un solitario amore, nostra vita infinita, e negli occhi il cielo per nostro vario cammino. Le spiagge i cieli, la riva su cui sassi e rovi e il solitario equisèto, e colli erbosi grassi rioni, città dispiegate come belle bandiere, e nude prigioni. Questa è la nostra vita. Questi nostri volti vagabondi come musi di cani ci somigliano. Il vento il sole le corolle rosse e blu, i sogni mai sognati i nostri sogni. Questa è la nostra vita e nulla più.
Beppe Salvia (1954 – 1985)
Di Carvelli (del 28/09/2006 @ 09:14:57, in diario, linkato 1427 volte)
"Il primo libro non bisognerebbe mai averlo scritto, dice Calvino. E' vero. Uno si domanda se doveva essere necessariamente quello o se non avrebbe potuto essere invece un altro. Così fatalmente ogni primo libro diventa una 'falsa partenza', che però ti condiziona, perché gli altri libri che verranno in seguito, anche se lo contraddicono, non potranno prescinderne." Così scrive, questo è lo start de L'APPRENDISTA SCRITTORE (minimum fax) di Raffaele La Capria.
Così scrive La Capria del suo primo libro a cui rimprovera un intimismo da cui poi si sarebbe affrancato. Scrivo questo, leggo questo mentre esiste già l'ISBN (quel simpatico numeretto da detenuto che alberga nella IV di copertina dei libri) del mio libro namberuan che Coniglio editore si appresta a rimandare a gennaio in libreria con il suo tutolo originario: LA RIVOLUZIONE SPIEGATA ALLE COMMESSE. Esiste già una copertina (bella) che non pubblico stante i tempi ancora distanti e i previsti e gli imprevisti ripensamenti. Il libro conterrà pagine in più e in meno, cose nuove e cose rinnovate. Ma a parte ogni rivisitazione e conferma mi viene da domandarmi se e come potre prendere le distanze da questo primo libro e se ne conservo ripensamenti. Intanto mi domando come sempre se sia questo il mio primo libro e non piuttosto LETTI, già uscito in parte in rivista, o le decine di racconti pubblicati in ogni dove di rivista semplicemente spedendoli e basta, mandandoli in lettura e basta. Non sono forse quelle le prime cose? Forse no. Bebo (questo il nome del protagonista del mio primo libro) è un personaggio-libro, di un libro che è bildungsroman, saggio, raccolta di novelle (nel senso antico della questione), campionatura di voci, trattamento cinematografico. E proprio nell'essere tutto, tutto questo, forse ne è molto ma molto meno. Il suo essere meno (meno letterario, meno libro, meno canone) lo rende però un non-libro. O, quantomeno, non un libro-inizio ma un libro-fine. E siccome non ha fine (non finisce né ha scopi reconditi) è un libro che può continuare ed è giusto (oggi, o meglio a gennaio) che abbia futuro. Un nuovo futuro. Il futuro di chi riparte. Con spirito nuovo ma da quel che è.
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