Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non mi piacciono le trasmissioni con gli scherzi telefonici. Radiofoniche o televisive. Non mi piacciono perché non ci vuole molto a trovare una persona che casca dalle nuvole, che ha ottant'anni o una cultura non elevata. Non mi piace in realtà l'umorismo sulle disgrazie altrui. Eppure molte mattine mi sveglio con una radio che intervista sprovveduti e mette risate finte come base alle loro perplessità.
A pensarci bene non c'è una motivazione profonda. Ad ascoltare non è che si deduca chissà quale particolare ascolto (di lei) e d'altronde si capisce pure che non c'è una malia né una semplice attrazione (di lui verso lei). Neppure una tentazione. Non si capisce quindi, a pensarci bene, perché lui stia confidando alla sua collega cose molto intime. Pagine della sua vita in casa. Con una punta di sindacale richiesta di considerazione per il suo operare nel contesto famigliare a dispetto della moglie che, si sottintende, gli manca di rispetto davanti ai figli. Descrive una scena di tavola silenziando appena, per non infastidire gli altri clienti del bar aziendale, le urala ben maggiori della consorte. Il racconto continua ispirato ad una remissività che non cambierà, a pensarci bene, neppure dopo questo inutile sfogo.
Di tutta la querelle sui maestri (buoni o no), sugli amici (effettivi e no), sui fratelli (di sangue, di latte, di sezione, di parrocchia, carcere o setta), i padri putativi e quelli semiotici me l'ha detta una collega. Che è una collega che pure scrive e che scrive senza preoccuparsi molto (molto meno di me) di queste querelle. E' lei che mi ha detto che la letteratura dovrebbe occuparsi del mondo ma che quando non riesce finisce per occuparsi di se stessa. Scrivo la sua frase dieci volte sul quadernetto. In bella copia. E senza accorgermene la declino. La letteratura che non si occupa del mondo si occupa di se stessa. La letteratura che si occupa di se stessa non si occupa del mondo. Il mondo non si occupa della letteratura che non si occupa del mondo. A furia di scrivere la grafia peggiora. Riscrivo: la letteratura si deve occupare del mondo.
Ieri sentivo questa curiosa notizia di una pubblicità prima messa e poi tolta (rimossa) negli Stati Uniti a costo e promozione di un avvocato (donna) divorzista che incitava al ricrearsi una vita. Un invito al divorzio insomma consigliato e incentivato da due - statuario modello e procace modella (senza testa nella foto) - tentazioni acefale. In tv commenti perplessi, retorica, indignazione. Stamattina invece uscendo dalla metro una pubblicità di un parco acquatico invitava (da un cartellone una biondina in due pezzi succinto che cavalcava delfino gonfiabile) a scivolare insieme a lei. Ho messo in relazione le due pubblicità, le due nazioni, le due ragazze.
Non ho letto il libro di Alessandro De Roma edito da Il Maestrale - di cui si potrebbe avere fiducia per consuetudine - ma mi ha convinto un'intervista che leggo su Queer l'inserto culturale domenicale di Liberazione. In particolare una domanda ostetrica. La domanda è di Franz Krauspenhaar. La risposta è dell'autore sardo.
Un romanzo d'esordio indubbiamente ambizioso. Dall'idea fino alla stesura, quanto è durata la gestazione? Quattro anni fa ho trascorso nove mesi a Cala Liberotto, in una casa a due passi dalla cosiddetta spiaggia degli svizzeri. Lavoravo a Nuoro, a cinquanta chilometri di distanza. A Cala Liberotto nel pomeriggio e durante il fine settimana avevo tempo per scrivere. E' una località turistica molto bella, verdissima, e quasi del tutto deserta in inverno. E' stato uno degli anni più belli della mia vita. Ho lavorato al romanzo per tutto l'anno, senza risparmiare la fantasia. Volevo creare un intero mondo e mi trovavo nelle condizioni ideali per farlo: silenzio, tempo, e una casa meravigliosa per scrivere. Può sembrare un romanzo molto "ragionato", "costruito", invece è venuto fuori quasi di getto, piuttosto in fretta. Poi negli anni successivi, specialmente dopo l'interessamento da parte del Maestrale, ci sono tornato sopra moltissime volte, limando e soprattutto tagliando almeno un centinaio di pagine, prima da solo e poi con l'aiuto di Giancarlo, editor del Maestrale, che mi ha aiutato moltissimo. Credo sinceramente che il fatto di non conoscere nessuno nel mondo dell'editoria e di avere così poche probabilità di pubblicare mi abbia aiutato a concepire un progetto così in grande, ingenuo e ambizioso al tempo stesso.
Tutta l'intervista qui.
Il significato dell'esistenza
Ogni cosa tranne il linguaggio conosce il significato dell'esistenza. Gli alberi, i pianeti, i fiumi, Il tempo non conoscono altro. Lo esprimono momento per momento come universo.
Perfino questo stupido corpo lo vive almeno in parte, e vi avrebbe piena dignità non fosse per l'ignorante libertà della mia mente parlante.
Ieri ho visto Mio fratello è figlio unico. Proprio mentre sto rileggendo Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. E mi sembra, come altre volte ho riscontrato, che questo libro sia una sorta di cifra di riferimento di tante cose che avessero a che fare con l'idea della e idee sulla nostra Italia. Come se fosse una sorta di denominatore minimo che serva a leggere altre verità. Verità trasferite nel tempo e nello spazio. E forse tanta simbologia universale (quasi una mitopoiesi) nasce dal pensiero che lo ha generato, dalla distanza (sociale e culturale) che ha partorito questa sorta di storia-riflessione sulle cose nostre. Scrivo tutto questo non pensando meramente al contesto politico. Dico questo perché non è male ritrovare anche a distanza di anni nelle riflessioni la stessa ombra, lo stesso bagliore. Una luce che semplifica, che cerca (almeno cerca) di chiarire il mistero di quello che alle volte risulta essere una specie di semplice ca va sans dire.
La mia collega parla a singhiozzo. Non sento quello che succede nel mezzo. Sento "calma", "non si agiti"...Ogni sei frasi. Non è che la telefonata fosse iniziata così ma ci è arrivata. Ora c'è la mia collega che dice queste due o tre frasi ed è poi interrotta... Ogni tanto pronuncia uno "scusi" un "mi fa parlare?" poi silenzio. La telefonata dura venti minuti poi devo uscire e non so come va a finire. Me lo farò raccontare.
Mi piace leggere i libri ma più che mi piace alla fine li leggo proprio così...come un setaccio. Me li faccio passare dentro e li faccio uscire. E vedo quello che esce. E se esce soprattutto. E cosa rimane alla setacciatura della griglia della mia attenzione, del mio gusto. Ascolto cosa resta e il libro resta. Passa al passino questo libro di Vincenzo Pardini. Non scivola. Rimane. Sono così i libri, i libri che restano, quelli che ti lasciano addosso una patina. Una patina anche ruvida. E' proprio vero - dico con Pardini - che col teschio in mano andrebbe pronunciato un dilemma sul nostro essere selvatici o... O? Quale è il termine dell'antitesi? Di certo leggo Tra uomini e lupi (pequod) - racconti di scuola in cui ritrovo il Pardini che lessi e apprezzai ai suoi esordi in Theoria - e mi risuona il campanello del mio lato selvatico. Che non è un momento tra tanti, un intervallo tra tanta urbanità un po' carina e rispettosa, un po' laccata (qualcuno direbbe friendly). C'è qualcosa a cui dare un suo spazio. C'è qualcosa che si prende il suo spazio. Nonostante noi.
|