Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mischiando, anche non in parti uguali, malva, papavero, avena, orzo e tarassaco e disponendoli così alla rinfusa su un campo e ponendosi poi ad una distanza x si ottiene l'effetto di un quadro impressionista. Se è un museo è all'aria aperta. Se è uno studio matematico si basa sul calcolo delle probabilità. Se forse si fosse un po' religiosi ci si dovrebbe interrogare sui nessi e sul gesto che crea. Ma forse ci piace e ci turba il solo effetto che fa il colore. A distanza. E per caso.
Sono il tuo capriccio, il bisogno di un attimo. La sete che fino ad un attimo prima non sentivi, la caramella alla menta da scartare e riavvolgere (non lo sapevi che non ti piacciono le caramelle alla menta?). Il mio bicchiere mezzo vuoto da svuotare, il boccone migliore che mi tengo per la fine. Una sensazione di leggera freschezza in questa notte infuocata, un sudore che non infastidisce, una pressione che non scoccia. Un saluto da lontano. Una promessa mantenuta a metà. Le scarpe consumate, la maglietta lavata che sa di fresco ma non profuma. Sono io e sono tutto.
Mi piace il suono delle parole che seguono. Anche solo vederle al bordo della strada mi fa felice come se ci fosse scritto LA VITA NON FINISCE o SAREMO PER SEMPRE FELICI o SIAMO DESTINATI ALLA STORIA E ALL'ALLEGRIA. E invece ci sono scritte queste due parole (una volta una e una volta l'altra, troppo spesso nessuna). le parole per la mia felicità (non solo automobilistica) sono:
COMPLANARE
CONTROVIALE
"Li mortacci tua": gli ha detto così dopo che l'ha riconosciuto al semaforo. Erano tutti e due in moto. Il primo ha dato una botta sul braccio dell'altro e questi "li mortacci tua" gli ha detto. E hanno iniziato un balletto di salti scomposti sulle selle e manate carnascialesche che - è corretto dirlo - sembravano inattesi per due quasi cinquantenni. A Roma è così: la stessa espressione è offesa e saluto. Un po' come succede per "figlio di puttana" che è complimento (arguzia, capacità di vita, saper fare) e offesa. Sarà che la parola puttana è in sé portatrice di valori sani e insani insieme. Ma tutto questo non suoni come offesa. Così, di primo mattino.
Madre Morte
di Roberto Carvelli
Ognuno se ne va quando deve o quando può. Talvolta quando vuole. Suona ovvio dire “quando è ora” specie nei casi in cui, ad esempio, uno scrittore ha una carriera lunga e proficua, importante già da presto. Sembra il caso di Kurt Vonnegut che ha lasciato questo mondo il 12 aprile a New York. Aveva 84 anni e non c’è male. Non c’è male neppure a pensare cosa ci lascia. Libri che hanno il gusto del classico, quel gusto naturale che è sostanza non modo di dire o marketing. Un gusto che in molti casi è dato da una vita civilmente appassionata, una storia che ha avuto pagine importanti in vita prima che in carta. E quando appunto è diventata carta era già letteratura. I libri di cui bisogna parlare con questa enfasi sono diversi ma su tutti ci mettiamo Mattatoio n.5. Poi Ghiaccio-Nove e l’ultimo pubblicato dalla Feltrinelli (che ora detiene gran parte dei diritti di pubblicazione per l’Italia) Madre Notte (€ 7,50). Per chi scrive già questo è un lascito importante. Per altri – Vonnegut ha una schiera nutrita di appassionati divisa in parti uguali tra amanti di genere (la fantascienza su tutti di cui è considerato un erede importante della tradizione) e amanti della letteratura con felicità per chi cerca anche nella finzione posizioni sociali e politiche, un disegno del mondo, un progetto, verrebbe da dire una poetica larga – i titoli di riferimento o quelli amati sono altri a dimostrazione che lo scrittore di Indianapolis è un grande mare. "Ho vissuto solo così a lungo che tutto quello che mi circonda è personale, privato. Non mi meraviglierei se non ci fosse più nessuno in grado di capire quel che dico". La grandezza di questo autore americano è stata spesso proprio questa: creare nuovi codici, aprire altre piste di comunicazione a volte vie buone solo per iniziati ed ecco la ragione di questa forte fidelizzazione. Ancora in Madre Notte: "Io ti capirò," disse con tenerezza. "Dammi solo un po' di tempo... e capirò tutto quello che dirai." Si strinse nelle spalle. "Ho anch'io un mio modo personale di scherzare..." "Da oggi in avanti..." dissi, "uniremo di nuovo i nostri codici privati e ricostruiremo un'intimità a due". Tutto concilia per far pensare a Vonnegut come ad un maestro, uno scrittore che ha avuto la capacità di aprire una forbice tra fiction e documento e uno che ha saputo nobilitare i generi coniugando l’importanza del gesto creativo con la sua naturalezza. In questa chiave pensiamo alla sua opera completa come ad un unicum complesso. Ma verrebbe da dire citandolo ancora nella pagine di Madre Notte che nella corsa è “la lepre della storia che raggiunge e sorpassa ancora una volta la tartaruga dell’arte”. Kurt Vonnegut aveva origini tedesche e in Germania aveva passato gli anni tristi della Seconda Guerra Mondiale, anni a cui ha dedicato pagine che rimarranno. Pensiamo a Dresda e al bombardamento che l’ha cancellata (lui c’era, come prigioniero). Pensiamo ai crimini nazisti di cui il libro ultimo uscito in casa Feltrinelli è intessuto. Mother Night questo il titolo nel suo originale del 1961 è un libro sorprendente dove la ragione dei buoni e quella dei cattivi fanno cortocircuito. Howard W. Campbell, protagonista del libro e voce della propaganda nazista di Goebbels per gli Stati Uniti, diventerà un idolo dei neonazisti a New York e una preda da safari per chi è a caccia di risarcimenti storici in una linea di unione tra razzismi a varie tonalità ed eroismi non voluti. Vonnegut era considerato un pacifista e il paradosso ricordato da Fernanda Pivano nel suo ricordo pubblicato sul Corriere della Sera il giorno dopo la morte dello scrittore americano è che fosse stato condannato a parlare di guerra e “non chiedermi di Dresda” suona come un saluto di default anticipato a mo’ di simpatico saluto alla critica genovese. Ma forse è l’attendibilità della presenza a dare a queste pagine una forza speciale. Forse è l’essere stato sotto, per fortuna ben più sotto, a dare al racconto di quelle 771 tonnellate di bombe l’impatto oltre che fortunato e torniamo alla premessa di questo saluto-ricordo. C’è una preghiera in Mattatoio n.5 ma forse citarla qui, adesso suona un piccolo risarcimento al dolore di questo addio e un consiglio per andare avanti da soli, come succede: “Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza di comprendere sempre la differenza”.
Da ieri mi sta in testa. Fisso. Principessa Mononoke. Mi sta in testa e non esce. Ogni tanto devo dirlo. Così, un po' a vuoto: principessamononoke. Neanche sapevo cosa significasse. Ora vedo qui di che si tratta ma non mi quieta. Devo dirlo ancora. Come uno scioglilingua o un mantra. Boh. Passerà. Se ha tutto un senso forse pure avere nella mente una manciata di lettere lo ha. Ma è anche che sono stanco. Un po'. Mi stanca dire sì e no. Ma mi stanca pure dire forse. Sto qui in silenzio mentre nella mia mente scorre questa manciatina di lettere: PrincipessaMononoke.
Ho aggiornato i taccuini. Avete presente quelle persone che vivono in una continua sfida pur manifestando ad uno sguardo più attento una involontaria comicità? Ecco, questo è il mio incontro della mattina.
Non peggio e non meglio di tanti altri. Non più e non meno. Eccello in qualcosa. In altre faccio difetto. Certe volte riesco un po' certe volte manco del tutto. Mi solleva la tranquillità che da 0 a 1 passa molto ma da 0 a 0.000001 un salto può essere compiuto e non è più stasi. Guardo a questo piccolo risultato come ad un traguardo fatto con un handicap. Che, quindi, vale doppio. Ci lasciamo così.
Come va? Meglio. E' una risposta che mi piace. Lo dico lontano dall'autobiografismo. Quando la sento mi arriva l'odore di una caramella appena scartata o quello dello zucchero filato o dell'olio a friggere. Odori non per forza felici ma evocativi. Penso: meglio rispetto a cosa, a quando. E non so. Forse voleva dire che prima c'è stata una malattia o c'è ancora. Una separazione, un dolore. Ma anche un'influenza, un trasloco. Meglio e non va spiegato. Perché talvolta è brutto se segue una domanda, un "rispetto a cosa".
Sto leggendo Mavis Gallant "Varietà di esilio". Penso a cosa mi piace e mi viene l'idea di questo sguardo un po' freddo e non compromesso che sta bene alla voce e agli occhi di una signora. Quella nitida osservazione senza concessioni alla dolcezza che fa di una donna del secolo passato una specie di maestra di cerimonia del vivere. Non del saper vivere. Del vivere. Perché vivere non si può saperlo.
|