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 Il letto orange a Odawara... di Carvelli
 
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Piegati soltanto per amore se muori, continuerai ad amare.. Ne te courbe que pour aimer Si tu meurs, tu aimes encore..

René Char
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 

Ne ho già parlato ma finalmente trovo il link a questa intervista pubblicata su La Stampa questa estate. Rileggo: rinorridisco. Spero di non essere il solo. Leggetela completa qui.

Io segnalo solo il suo brillante inizio: prima domanda di Giacomo Galeazzi e prima risposta di Vittorio Messori.

Vittorio Messori, lei è coautore di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger: qual è, da ascoltato frequentatore dei Sacri Palazzi, la sua idea sugli scandali sessuali nella Chiesa dopo gli ultimi casi giudiziari di don Gelmini e dei sacerdoti ricattati a Torino? «Un uomo di Chiesa fa del bene e talvolta cade in tentazione? E allora? Se fosse così per don Pierino Gelmini, se ogni tanto avesse toccato qualche ragazzo ma di questi ragazzi ne avesse salvati migliaia, e allora? La Chiesa ha beatificato un prete denunciato a ripetizione perché ai giardini pubblici si mostrava nudo alle mamme. Queste storie sono il riconoscimento della debolezza umana che fa parte della grandezza del Vangelo. Gesù dice di non essere venuto per i sani, ma per i peccatori. E’ il realismo della Chiesa: c’è chi non si sa fermare davanti agli spaghetti all’amatriciana, chi non sa esimersi dal fare il puttaniere e chi, senza averlo cercato, ha pulsioni omosessuali. E poi su quali basi la giustizia umana santifica l’omosessualità e demonizza la pedofilia? Chi stabilisce la norma e la soglia d’età?»

...Padre, ho molto peccato...

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Di Carvelli (del 28/08/2007 @ 10:54:04, in diario, linkato 1288 volte)
Non è disfattismo dire che il sonno è la migliore cura e che nel dormire si compie una felice trasformazione. Piuttosto è grave pensare che le tante ore che passiamo incoscienti siano ore inutili. Disfattista sì, quella idea. Che mezza vita sia da pensare una zona morta, un angolo per quanto rigenerativo di niente in mezzo al tanto (o al tutto) della veglia. Eppure succede, di pensare così: al sonno come ad una perdita di tempo. Ed è piuttosto una sconfitta. Delle cose belle che ricordo stamane una sta nel sonno e che non succeda, che non sia successa e mai succederà poco m'importa. Spesso le cose che succedono non sono così autenticamente belle come quelle che succedono in sogno (o nell'immaginazione). E con questo non voglio eternare l'immobilismo, il non reale, l'immaginario. E' solo che c'è un tempo da spendere bene ed è quello che sembra obbligatorio o necessario (a volte bisognoso) del dormire. Che duri 15 minuti o 10 ore. E vale la pena viverselo a pieno.
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Di Carvelli (del 28/08/2007 @ 14:55:00, in diario, linkato 1455 volte)
"Sei una favola". Non so se si dice anche altrove. A Roma sì: sei una favola. In pratica credo che...beh si capisce cosa vuole dire il detto. Ma mi è accaduto davvero di aver conosciuto una ragazza e aver pensato "è una favola" (mai avrei avuto il coraggio di dirglielo "sei una favola")...e così le ho detto "credo di averti letto già da qualche parte" e mi sono fermato. Cioè mi è scappato: volevo dire che era un elfo, un troll. Volevo dire che era colorata e si poteva nascondere ovunque perché era ovunque. Così mi sono stato zitto e ho aspettato che uscisse una magia. Che è uscita. A volte le persone sono così: sulle nostre piste le ha messe la mano insondabile di un artefice di racconti senza tempo e senza luogo. Peccato che qui tutto ha un tempo e un luogo. E finisce che...non ci s'incontra per più di un tot di volte come non ci si bagna nella stessa acqua. Ed è triste? Boh forse no.
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Di Carvelli (del 28/08/2007 @ 17:15:07, in diario, linkato 1395 volte)
Sono famoso per questa cosa che mi piace accompagnare amiche a vedere i vestiti da donna, accompagnare loro a comprare vestiti. Mi piace le commesse che siavvicinano loro facendo domande personali (molto personali che da noi maschietti non si userebbero). Mi piace come piacerebbe ad un giovane bambino truffauttiano così avvinto dall'edulcorato mondo femminile. Mi sento rapito da quello che succede tra i camerini e le stampelle, vorrei sbucare sotto il camerino e shhhhh ci sono anch'io mi fai stare qui, mi nascondi e me ne sto lì buono a dire ti sta bene, prova quello bianco. Brodo di giuggiole è l'espressione che usano altri. Brodo di giuggiole. Oggi ho rubato il catalogo di maxmara e ho guardatol e modelle e il nome dei capi del prossimo anno. Si chiameranno così i vestiti: occupare, utenza, fiordo, odoroso, asti, ugola, osteria, livio, stizza, safena, ostento, martora, origine, siepe, serio, aronne, liocorno, binario...Mi piace il vocabolario della prossima donnatargatamaxmara...si dice così no?
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Di Carvelli (del 29/08/2007 @ 10:35:07, in diario, linkato 1328 volte)
Intanto ho aggiornato i taccuini. A volte lo faccio. Altre volte continuo a vedere i cataloghi dei vestiti e noto che la modella è sempre la stessa. Non sempre è così facile da stabilire ma il gioco è: guardate quanto un diverso vestito e un'acconciatura e un cappello e una sciarpa vi possono rendere diversa. Essere diversa è il sogno di chiunque. Anche di un uomo. Anche di un bambino. I nomi sono belli, forse c'è un pensiero e il pensiero è un pensiero un po' combinatorio. Per questo mi piacciono questi nomi anche se i nomi dei capi sembrano a volte di macchine...avete presente? Ulite, Martora, Marzia, Orma, Limatura, Altero, Stasi, Ligure...
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Di Carvelli (del 30/08/2007 @ 11:58:17, in diario, linkato 1332 volte)

E' un po' che l'ascolto per radio. Questo è un gruppo palermitano davvero interessante: The Second Grace. La metto così l'ascoltate con me. 

Che giorno è oggi? Mi chiedi. Ti dico un numero, parole che so che mi richiederai. Eccomi ridotto ad essere il tuo calendario. Il calendario dei tuoi giorni tutti uguali.

Ecco. Sto scrivendo. Per la prima volta scrivo qualcosa che non so cosa sia. E' la mia vita dico con un po' di presunzione ma poi penso "è la mia morte". Forse bisogna scrivere così: della fine e fino alla fine. Riassumo in breve quello che ci siamo detti con una collega (si è colleghi con gli scrittori e soprattutto si è scrittori? esiste l'insieme "scrittori" o c'è l'insieme "libri" e basta?) in un particolare stato di grazia. Succede alle volte che tutto ti parla dentro, tutto ti scrive dentro. Io faccio crostate (chi mi conosce sa che non è una metafora) io faccio crostate, dicevo, a volte sono troppo burrose (ne faccio una parte sempre per una persona che ha pochi denti e non riuscirebbe altrimenti a masticarle), a volte troppo dure (finisce che le mangiano altri), a  volte asciutte, a volte...Io faccio crostate che la gente le mangia e dice "anche se io ci avrei messo un po' più...un po' meno...". Io faccio crostate e la gente se le mangia. Ecco: faccio crostate per me e per gli altri.

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Di Carvelli (del 31/08/2007 @ 10:49:02, in diario, linkato 3832 volte)

Nella relativa quiete che caratterizza la politica nel mese di agosto, quando presidenti, ministri, parlamentari sono in vacanza, emergono per lo più, sui giornali, sia tematiche futili adatte a riempire le pagine senza provocare danni, sia le questioni di lunga durata, che non perdono la loro attualità e a cui quindi si può ritornare sicuri di suscitare qualche interesse. Di questo ultimo genere sembra essere, nei giornali europei, la ripresa della polemica su Chavez e i regimi «populisti» latino-americani.
Si è fatto, dapprima, un gran parlare della «chiusura» di una televisione privata venezuelana, decisa dal governo in perfetta osservanza delle leggi vigenti; più di recente della intenzione di Chavez di cambiare il nome di Caracas, per riprendere quello più antico e di origine indigena; della sua decisione di cambiare l'ora legale venezuelana in modo da usufruire meglio della luce del giorno risparmiando energia; e infine, della progettata modifica della costituzione che dovrebbe permettere a Chavez di essere rieletto oltre i limiti attualmente fissati al numero di mandati. A proposito di quest'ultimo punto, c'è stato chi ha fatto osservare che gli Stati uniti sono stati governati in questi ultimi anni sempre dai membri di una stessa famiglia, quella dei Bush, a cui minaccia di sostituirsi un'altra «dinastia», quella di Bill Clinton e della sua signora, probabile nuovo presidente dopo le prossime elezioni, verosimilmente votata, come sempre, da meno di un quarto della popolazione statunitense, data la bassa percentuale di elettori che abitualmente partecipano alle votazioni presidenziali. Con la differenza, a favore di Chavez, che la costituzione venezuelana prevede la possibilità di revocare il presidente in corso di mandato con un referendum popolare; se negli Usa esistesse una possibilità del genere, George W. sarebbe già a casa da tempo.
Ma il punto è che, secondo uno schema ben consolidato nella opinione pubblica «democratica» dell'Occidente, in vari modi orientata dai cospicui finanziamenti della Cia e di organismi analoghi, ogni mossa dei governi «canaglia» che mettono in discussione l'egemonia economica, ideologica, persino «morale» degli Usa, viene utilizzata per mettere in guardia la gente dal pericolo che nel mondo latino-americano si consolidi una qualche forma di socialismo capace di resistere alla espansione del modello «democratico» americano (in Italia lo scriviamo con la K, ameriKano: sarebbe bene adottare la grafia dovunque, in modo da sottolineare la sua specificità negativa...). In vista di questa espansione, gli Usa adottano sia la via delle armi, bombardando Iraq, Afghanistan e simili in nome del diritto naturale di quei popoli ad avere la democrazia; sia la via della persuasione mediatica, pretendendo che dovunque non ci siano campagne elettorali destinate a far vincere chi ha raccolto più soldi (è il caso di Mrs Clinton, come si sa) regni un populismo in cui le masse sarebbero manovrate da dittatori senza scrupoli. Ciò che nella mentalità «occidentalista» che domina largamente la stampa e i media nordamericani ed europei è l'assoluta incomprensione, non innocente, di ciò che paesi come il Venezuela di Chavez, la Bolivia di Morales, e prima la Cuba di Castro stanno cercando di fare per instaurare regimi democratici liberi dal ricatto dei poteri economici, interni e internazionali. Non credo che sia possibile far credere a un elettore italiano, o francese, o anche nordamericano, che il sistema elettorale dei loro rispettivi paesi - con liste decise dalle burocrazie dei partiti, e assoggettate fin dall'inizio e fino all'esito elettorale ultimo, al potere del denaro che partiti e candidati riescono a gettare nella campagna - dia maggiori garanzie liberali e democratiche del modo in cui, a Cuba come in Venezuela, le liste dei candidati vengono costruite in base alle scelte di comitati di base che discutono e decidono spesso pubblicamente, dunque con qualche rischio di pressioni personali e di gruppo, ma sempre secondo una logica piuttosto politica che economica e, in definitiva, aperta a ogni corruzione.
Si può non desiderare di importare nei nostri paesi costituzioni di tipo venezuelano o cubano; ma è molto irragionevole, anche da parte dei difensori della democrazia di tipo occidentale, non rendersi conto che proprio i nostri regimi pretesamente democratici stanno soffocando nel crescente disinteresse degli elettori per la partecipazione politica, e nella generale rassegnazione a vivere dentro i confini di una «compatibilità» (con le esigenze dell'impero americano, con le regole del libero mercato...) che minacciano di condurci in breve all'autoritarismo dei controlli generalizzati (anche qui, Bush insegna), all'esaurimento delle risorse planetarie, e alla guerra infinita contro un terrorismo che si nutre proprio dei suoi disastrosi «danni collaterali». Se si legge un teorico politico come Roberto Mangabeira Unger, certo non sospetto di antiamericanismo visto che è stato a lungo professore a Harvard, ci si rende conto che anche per il funzionamento di una democrazia formale come la nostra, occorre una presenza efficace di organismi di base molto più simili ai comitati di quartiere e alle misiones di Chavez che non alle nostre sempre più inesistenti sezioni di partito. Nel linguaggio del socialismo delle origini, questi organismi si chiamavano soviet. Un termine che non si può più adoperare, e certo per buone ragioni. Ma non sarebbe il caso di ripensare in modo meno settario, e con altre parole, al suo significato?
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