Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 16/04/2009 @ 09:52:53, in diario, linkato 1165 volte)
Complice l'insonnia finisco di leggere Richard Yates (due notti fa, stanotte si è dormito).
A pagina 388 leggo: "L'unico vero errore, l'unica cosa falsa e disonesta, era stata semmai quella di aver scambiato Frank per qualcosa di molto più importante. Oh, per un mese o due, tanto per divertirsi un po', poteva anche andar benissimo un giochetto del genere con un ragazzo; ma tutti quegli anni! E tutto perché, in un momento di solitudine sentimentale, tanto tempo fa, aveva trovato facile e piacevole credere a tutto ciò che quel particolare ragazzo saltava in testa di dire, e ripagarlo di quel piacere dicendo a sua volta facili, piacevoli bugie, finché ciascuno aveva finito per dire soltanto ciò che l'altro desiderava sentire - finché lui aveva detto: "Ti amo"; lei: "Davvero, credimi, sei la persona più interessante che abbia mai conosciuto".
Spengo la luce e provo a dormire. Nulla. Forse sono queste parole agghiaccianti. Forse è il tormento delle bugie. Date e prese. Forse è che so come va a finire questa storia e come ne andranno a finire altre. Forse è solo l'idea un po' devastante di quella doppia commisurata bugia. La lusinga per lei, la lusinga per lui. A ognuno i suoi punti deboli.
Di Carvelli (del 16/04/2009 @ 14:50:26, in diario, linkato 1364 volte)
Un passo dell'intervento di ieri di Daniele Del Giudice che rinuncia a concorrere allo Strega.
E poi desidero che il mio libro "Orizzonte mobile" percorra la strada che deve percorrere con le proprie forze, nel lavoro di chi scrive questo è sempre prioritario. Il libro stampato non ci appartiene più, e il nostro accompagnarlo è un po' ridicolo, come se uno pretendesse di spingere avanti ciò che è stato prima. Un premio non riconosce l'autore, serve piuttosto a far conoscere un libro che va comunque per il mondo per suo conto. E nessuno scrittore dotato di un minimo di consapevolezza affiderebbe le proprie certezze, per poco importanti che siano, al risultato di un concorso letterario; il vero riconoscimento (e il riconoscersi) si vive da sé giorno dopo giorno mentre si scrive il libro: è lì che incontriamo gli altri attraverso le parole, lì stanno le nostre vittorie e le sconfitte, ed è abbastanza facile coglierle all'istante. Allo stesso tempo desidero che quanti hanno parlato di Orizzonte mobile a proposito dello Strega, attribuendo la certa vittoria a Tizio o a Caio, trovino il tempo di leggerlo nelle brevi pause dai loro impegni. Da parte mia, auguro al Premio Strega di scegliere bene, cosa non facile nella baraonda di chiacchiere da cui è circondato; e a me stesso auguro di lavorare tranquillamente alla stesura del nuovo libro, in compagnia dei miei lettori vecchi e nuovi.
L'intervento completo qui www.repubblica.it/2009/04/sezioni/spettacoli_e_cultura/strega-del-giudice/strega-del-giudice/strega-del-giudice.html
Di Carvelli (del 16/04/2009 @ 17:41:18, in diario, linkato 1105 volte)
April Wheeler scrive al marito Frank e poi... e poi
“…i tuoi vili tentativi di illuderti sull'amore quando sai perfettamente, al pari di me, che tra noi non c'è mai stato altro che disprezzo e sfiducia e una terribile, morbosa dipendenza della nostra reciproca debolezza – ecco perché. Ecco perché non riuscivo a frenare le risate oggi quando hai parlato di Incapacità di Amare, ed ecco perché non posso sopportare che tu mi tocchi, ed ecco perché non crederò mai più in nessuna delle cose che pensi, per non parlare di quelle che dici…”
Bilancio con modugno/negramaro due giorni di gravami propinativi
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Di Carvelli (del 17/04/2009 @ 14:29:04, in diario, linkato 3153 volte)
"Ma quelli che credono, siano essi ebrei, cristiani o sabei,
quelli che
credono cioè in Dio e nell’Ultimo Giorno e operano il bene,
avranno la loro mercede presso il Signore, e nulla avranno da
temere né li coglierà
tristezza" (surat al-baqarah, della vacca, II: 62).
da Il Corano nella versione del grande Alessandro Bausani.
Chi era Bausani?
http://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Bausani
Di Carvelli (del 20/04/2009 @ 08:47:11, in diario, linkato 1107 volte)
Il bellissimo concerto mingusiano dei quintorigo. Fastoso, colto, virtuoso.
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Completo la lettura di Coccioli, del suo bellissimo e stimolante Piccolo Karma, di cui ho già detto altresì. Sì. E' un libro carico di riflessioni e mi ricorda un tempo già vissuto (e che in parte ancora vivo) di speculazioni intense, leggere ma vorticose e profonde: Sul senso delle cose, sulla corsa lenta alla fine. Passo a passo. Idea a idea. Vita a vita.
Visto MILK col bravissimo, ormai quasi una ridondanza ribadirlo, Sean Penn (chi mai ha pensato che a parte per la nota soprendente del suo ritorno sugli schermi si potesse paragonare questa interpretazione a quella di Rourke nel film tra l'altro meno sfaccettato di Gus Van Sant che come al solito si distingue - a volte pecca - di perfezione formale e formalismi sinanco). Il film è riuscito, è incoraggiante (marca hollywoodiana dell'happy end triste ma con morale), importante. Sopra le righe senza mai squadernare e non era facile.
Mi era scappato questo bel film turco, un po' per pazienti e ilari...altrimenti... Paziente e sereno (no, non ilare) l'ho visto e mi è piaciuto per il rigore delle scelte registiche e di scrittura...in realtà è un film silenzioso, visivo, fotografato.
Di Carvelli (del 20/04/2009 @ 16:00:46, in diario, linkato 1397 volte)
It was in Owindoli
Mentre quelli sciavano io invece leggevo questo articolo (da la Repubblica delle Donne di quel giorno che ora ritrovo grazie a mano amica. Ecco
http://dweb.repubblica.it/dweb/2009/03/14/societa/societa/123rel637123.html
Calcolo dei minuti perfetti di Romano Madera*
Basta un attimo solo per rendere la vita degna di essere vissuta. Non un attimo di piacere isolato, ma un attimo capace di imprimere un senso, di regalare una prospettiva. Ci sono istanti che non passano, forti e pregnanti al punto da non essere eliminati: sono centri di luce. Nella vita ce ne sono, come i momenti di commozione, o di illuminazione intellettuale, o di riconoscimento del dolore. Ricordate il film La storia del cammello che piange, dove una cammella, per il troppo dolore provato durante il parto, non riconosce il suo piccolo? La musica, il suono di un violino, la fa commuovere e avvicinare al cucciolo, finalmente riconosciuto e accolto? Questo riconoscimento dell'altro ci è necessario anche soltanto a sopravvivere. E a vivere. Due persone che si commuovono, si "muovono con": e per accettare il dolore, a volte basta che un altro lo riconosca. Sono momenti fondamentali nella vita, anche se dolorosi, anche se le persone li fuggono. Questi momenti perfetti, attimi che ci cambiano, sono senza "ego", nel senso buddista: ovvero senza egoismo, ma non senza consapevolezza. Ricordo la prima volta che lessi il verso di Keats: "qualcosa di bello è una gioia per sempre". Avevo 16 anni e rimasi fulminato. Un verso che segna per sempre un amore adolescente o maturo, la gioia di un momento estatico dentro il tempo immobile di un pomeriggio estivo, l'accendersi di una intuizione improvvisa. Passarono molti anni prima che trovassi il mio orientamento ma questa frase, ancora oggi, è il centro della mia vita e del mio pensare. È una frase che, secondo me, racchiude anche il senso tragico dell'esistenza. Mi ha aiutato a riconoscere che in quella bellezza, in quell'attimo, c'è un'esperienza che non posso rinnegare; che resta, indelebile, anche nei momenti in cui sono a pezzi. Una di queste "gioie per sempre" risale ai miei 16 anni. Ero sdraiato su un prato con un amico, in campagna. Guardavamo il cielo, e passava un aereo. Niente di più. Assolutamente semplice. Ma stavamo bene, era un momento perfetto. Keats poi mi tornò in mente in uno dei primi amori, e da lì in poi quello è diventato il mio verso-guida. Ci sono tanti attimi presenti che ci cambiano, ma dobbiamo essere attenti. Spesso, invece, siamo ciechi o paralizzati o inerti, e non ci accorgiamo di nulla. Bisogna aprire la testa, gli occhi, il cuore. Solo in questi attimi presenti possiamo trovare un senso alla vita ed espanderci. Il piacere è un primo senso, ed è fisiologico, semplicemente. Il piacere, negli uomini e negli animali, è una direzione naturale, un semplice fatto etologico. Tutto si complica a causa del fatto, stupendo, che noi umani possiamo posporre il piacere, calcolare il piacere, scambiare il piacere. Ma il primo nucleo di senso universale è: noi cerchiamo il piacere. Ed è un fatto indiscutibile, come una legge della fisica. Bisogna costruire su questo, in modo intelligente, riflettendo. E qualche volta è necessario affrontare il dolore per avere piacere. Dobbiamo educare noi stessi, allenare le virtù, per riuscire a replicare e costruire il piacere nel mondo che inventiamo. Confesso di non essere d'accordo con l'enfasi del "qui e ora", che è diventato il comandamento universale della vita, della psicoterapia, del tempo. Un tempo e una cultura, i nostri, tutti spostati sull'immediatezza. L'attimo per sempre di Keats non è il "qui e ora" che ci viene costantemente propinato, poiché gli esseri umani hanno bisogno di un infinito, di un'eternità in cui trovare un significato per la propria vita. Oggi, purtroppo, questo attimo si sovraccarica di ripetizioni scisse l'una dall'altra. Una specie di schizofrenia seriale di massa. Life is now per comprare un telefonino oggi e un vestito domani. Al contrario, ogni canzonetta d'amore ripete continuamente il desiderio che l'attimo trovi la sua eternità: tu o nessuna mai più, noi per sempre, l'amore infinito eccetera. Cosa significa? Che cerchiamo un attimo che ci dia la luce, un attimo per sempre che meriti di farci vivere. Credo in una vita di attimi se questo attimo è costantemente costruito. Se stiamo cioè nel presente del presente, nel presente del passato e nel presente del futuro. Lo si vede anche nelle pratiche di meditazione, dove ci si sporge sempre sull'orlo di ciò che ci contiene. Bisogna sentirsi "qui e ora" ma dentro un orizzonte: io sono in questo momento. Ma questo momento è il tempo stesso. Fcciamo un esempio: se incontriamo una persona, per una riunione o per una cena, la incontriamo nell'oggi, nel momento, ma la viviamo, ne facciamo esperienza, attraverso e grazie a tutte le esperienze che abbiamo. Quella cena, quella riunione è anche l'incontro delle nostre esperienze, delle nostre biografie, e questo ci fa reagire, capire, accogliere, partecipare in maniera diversa. L'attimo ha senso perché ha una storia. Oggi, invece, nessuno ha più una storia, ed è terribile. Tutti vengono rapiti da una corsa insensata: accumulare esperienze, storie d'amore, storie di sesso, matrimoni, viaggi, case, oggetti, centinaia e migliaia di oggetti. I media e la società manipolano in maniera molto profonda questa esigenza degli esseri umani: in un mondo senza eterno, senza Paradiso, senza Dio, si spingono le persone a un accumulo caotico di esperienze, di cose, di incontri, di emozioni, di attimi. Oggi si dice che una cosa è vecchia per dire che fa schifo. Si dice: un'idea vecchia, un computer vecchio. Vecchio è diventato un giudizio. Ma chi lo ha detto? "Oggi è un buon giorno per morire" è un proverbio dei nativi americani. Un proverbio che spiega perfettamente cosa sia un attimo che ha senso e che contiene il tempo, ovvero che contiene tutti gli altri attimi della vita. Oggi è un buon giorno, dice il proverbio, perché oggi è stata una giornata densa, limpida, serena. Ma è un buon giorno per morire perché ho avuto tanti altri giorni come questo, e sono sazio della vita. È un proverbio opposto al nostro tempo, inquieto e ansioso. Ma come si trova la quiete, oggi che viviamo bombardati di cose e stimoli e immagini, quella quiete del capo indiano? Io credo che la si trovi solo con un lungo e faticoso esercizio. Prendiamo un pianista oppure un atleta. Cosa fanno, e come riescono a farlo in quel modo? Con l'esercizio. La psicoterapia non è altro che un lungo esercizio. E così anche trovare la quiete, dare un senso alla vita. Questo, la filosofia e tutte le religioni antiche lo hanno sempre saputo benissimo. Ma la sapienza un tempo era condivisa. Il capo indiano la esprime con tanta chiarezza perché fa parte della sua cultura, della sua tradizione. Oggi assistiamo invece a un pensiero e un modo di sentire controcorrente. Che cosa ostacola maggiormente la capacità di dare senso alla vita e prendere piacere? L'idolatria delle ose e del denaro. Il fatto che non c'è mai tregua se non abbiamo o viviamo cose diverse. La ricchezza, il potere, la fama: guarda caso, i tre vizi più tipici dell'umanità, e anche le tre tentazioni di Gesù. L'esercizio dell'espansione dell'Io nel cosmo non è una strada solitaria. Da coloro che fanno meditazione a quelli che praticano il tai-chi, tante persone cercano una strada verso la quiete e il senso della vita. In questo caso essere saggi ed essere utili è la stessa cosa. Bisogna intendersi, naturalmente, sulla parola utili: utili a che cosa? Si può essere utili anche a costruire le camere a gas. Ma un saggio che non sia utile a rendere percorribile la vita, a darle un senso che la renda sopportabile, non è saggio abbastanza. (Testo raccolto da Carlotta Mismetti Capua)
*Romano Madera è professore ordinario di Filosofia Morale e di Pratiche Filosofiche all'Università di Milano Bicocca. Fa parte delle associazioni di psicologia analitica Aipa e Iaap. Ha pubblicato: L'alchimia ribelle (Palomar di Alternative, 1997), C.G.Jung. Biografia e teoria (Bruno Mondadori, 1998); L'animale visionario, (Il Saggiatore, 1999); La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, (con Luigi Tarca, Bruno Mondadori, 2003) e Il nudo piacere di vivere. La filosofia come terapia dell'esistenza (Mondadori, 2006). Ha istituito a Milano una scuola di ascolto filosofico e cura (per info: www.scuolaphilo.it/ philo.html). Il corso di formazione superiore in Analisi biografica a orientamento filosofico si rivolge a coloro che desiderano impegnarsi in un modo di vivere filosofico, e ha come obiettivo la cura dell'altro. Romano Madera partecipa a Torino Spiritualità con seminari di cura filosofica.
Di Carvelli (del 22/04/2009 @ 09:08:50, in diario, linkato 1338 volte)
Un articoletto su AmiciPerLaCittà
COME DIFENDERSI DAI CRITICI CINEMATOGRAFICI Istruzioni e modalità d’uso (di Gran Torino e Two lovers e della funzione del critico) Roberto Carvelli (19/04/2009)
Da quando c’è Maccio Capatonda il comico dei vari Mai dire... che rivisita nell’assurdo il trailer cinematografico mi costa più operazioni di decodifica e più brividi di ilarità l’ascolto degli “appuntamento al cinema”, “coming soon” et similia. Se non conoscete questo geniale comico cercatevelo e ridetevela su YouTube! Leggere il giornale a caccia di consigli per andare al cinema presenta rischi analoghi e senza neppure il filtro ironico del comico di cui dicevo sopra. Avete presente? “Il film dell’anno”, “Il film che ha fatto gridare al capolavoro” (“gridare” sì!), “Il film che ha fatto ridere la Francia” e giù una gragnola di aggettivi in levare: a coppie, a grappoli affiancati da un audace estensore, critico ufficiale di un giornale o il giornale stesso (una selezione di parole che spesso misconosce il tono intero della recensione da cui è tratta). Non può servirvi la misurazione degli ingombri delle locandine nel quotidiano, indice di solito del maggior battage pubblicitario legato alla pellicola e di conseguenza (molto spesso) le cifre del botteghino. Da cui: dovrebbe ritornare in auge la figura del critico cinematografico. Ma forse bisogna adottarne uno più che fare media su tutti. E sempre esercitare il dubbio. Io ho scelto sovente Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore della Domenica) con cui mi trovo di frequente in sintonia (ma, esercitando il dubbio, con The Wrestler sarei stato meno indulgente). Mi consta che ci si deve fidare dell’età. Diversamente dal vino, invecchiando spesso il critico peggiora manifestando collusioni con registi che nel frattempo ha conosciuto, prefato, introdotto, presentato. Altro tema di riflessione dovrebbe essere il titolo. I titoli italiani, le traduzioni di quelli stranieri. Nella discrasia tra l’originale e il nuovo – almeno per le lingue di cui possiamo dire – si capisce l’atteggiamento della casa di distribuzione ma anche lì si possono fare belle scoperte dietro inefficaci adattamenti al gusto italiano (c’è chi conosce i nostri gusti!). Dunque come difendersi? Come offrire al consumatore (potrei, come molti altri d’altronde, iscrivermi in questo registro con la media di due-tre film a settimana) un pratico vademecum per fare luce sulle sofisticazioni – perché di sofisticazioni si tratta – che la pubblicità mette in opera? Sarebbe necessaria una specie di patente del critico, un codice a cui deve attenersi, delle semplici regole che vadano nella direzione di un’oggettività per quanto minima che, al di là del gusto, analizzi la corrispondenza del racconto alla storia che vuole narrare, una basilare analisi logica delle immagini, un puntuale esame della grammatica del film e una acuta osservazione dei toni. Nel presente, con spirito civico e senso della responsabilità partigiana invito tutte le persone con cui vengo a contatto a vedere due film che reggono entrambi (non essendo film a lente di ingrandimento o passaparola) la campagna pubblicitaria roboante. Lo faccio anche qui.
1. Gran Torino ennesima prova di equilibrio tra retorica ed emozione di Clint Eastwood che a forza di conferme ripetute si è conquistato un suo piccolo marchio Doc. La sua meditazione sulla violenza – attualissima o, meglio, urgente – continua a sfidare la nostra coscienza appena ora – parlo di quella nostrana – faccia a faccia con il tema immigrazione. Anche questa volta come fu per Mystic river (in un certo senso anche in quella specie di dramma degli equivoci un gesto ingiusto riconsegnava un quartiere alla luce della festa) al male con c’è soluzione ma il sacrificio qui ripara e salva una famiglia pur se il prezzo da pagare è alto. Questo nuovo film di Eastwood è un Gran Film: esuberante di sentimenti positivi ma non sdolcinati, la retorica è dietro la porta e lì rimane.
2. Two lovers un utile ed efficace riflessione sull’amore (saperne!). E due attori in stato di grazia Gwyneth Paltrow e Joaquin Phoenix. L’amore ci gioca dei brutti scherzi: i tragici greci ce lo hanno insegnato con i capricci degli dei e la hubris degli uomini, oggi ce lo dice la nostra imbarazzante volatilità davanti alle tentazioni con il continuo senso di sconfitta e inanità che ci pervade a seguire. Dopo averlo visto ho pensato a un racconto di Cechov La signora col cagnolino e a quello che scrive il grande critico americano Harold Bloom a proposito dello scrittore russo. Bisogna scrivere in modo che al lettore non serva alcuna spiegazione da parte dell’autore: era il credo di Checov e farlo proprio dovrebbe rientrare nell’etica di qualsiasi rappresentazione. In quel racconto un adulterio non è un comandamento infranto e lo scrittore non ci dà l’alleggerimento della morale. Nel film americano succede la stessa cosa: la sola figurazione spiega. Non è necessario fare del cattivo un orco e del buono un fesso (un genere minore in cui è difficile eccellere, il grottesco e il banale, ovvero una caduta di stile) basta raccontare. Ed è vero che uscendo da un racconto del medico russo come dal film Two lovers si finisce per sentirsi migliori (“più semplici, più sinceri, più noi stessi” Bloom cita Gor’kij). Al bello, in definitiva, continuo sempre a preferire l’utile ed è questo che mi aspetto dalla critica.
www.amiciperlacittà.it
Di Carvelli (del 24/04/2009 @ 08:43:22, in diario, linkato 1143 volte)
Ti lascio questa casa gelsomino per tutte le volte che sono partito e tornato e per questa che mi aspetti a vuoto contando i fiori e l'odore.
Ti lascio in buona compagnia di gemme nuove e di un cartello che inviti ad entrare, a non lasciare. Perché nessuno va nessuno torna su questa piana strada.
Ché non resti rimpianto, ché non resti dolore. Del tanto che abbiamo fatto e detto e di quello che rimandiamo.
Ho usato tutto ho preso tutto. Solo i fiori restano. E la casa resta. E un piccolo dolore che ora che ci pensi è già andato, insieme al profumo dei fiori.
Di Carvelli (del 30/04/2009 @ 09:09:21, in diario, linkato 1729 volte)
"Quando si è infelici il tempo passa in fretta, checché se ne dica. Nessun punto di riferimento segna il suo trascorrere, nessuna gioia distingue un giorno dall'altro. Niente all'infuori del dolore, sempre lo stesso". (da La moglie di Gilles di Madeleine Bourdouxhe).
Mi ripeto ma ogni tanto mi piace rileggere la perfetta sensibilità di questo piccolo capolavoro che è come un Casa d'altri belga. Il titolo francese è decisamente più ricco di implicazioni. Un breve classico del tradimento coniugale, una delle sue migliori rappresentazioni in letteratura. Un libro poco conosciuto a cui poi un film recente ha ridonato luminosità. I primi capitoli sono bellissime pagine di accudimento filiale. Come una piccola quiete che anticipa la tragedia in senso classico senza perdere però nel confronto sobrio freschezza e pathos. Né mai cede modernità.
http://it.wikipedia.org/wiki/Madeleine_Bourdouxhe
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