Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Che si è sentita speciale. Tre mesi appena (dice lei, ma non erano sei?) e per una volta era preziosa agli occhi di qualcuno. Ed è una cosa che è durata anche dopo, una cosa che forse ha funzionato per altri, per me, per dopo. Questa è la cosa bella. La cosa brutta è che non sei generoso. Non eri generoso almeno allora. Ma proprio per nulla. Chiedo se c'è una cosa media. E non c'è. Non c'è mai una cosa media. Domandarsi perché. Mi riviene in mente una frase dal film L'uomo che amava le donne di Truffaut: "è che sembra che ne va della tua vita". Sembra che non esiste null'altro, che tutto quello che c'è, tutto quello che esiste è questa cosa qui. Volermi (è bello Mi vuoi? dovremmo dire tutti così come se fossimo una bibita fresca. Mi vuoi? Sì ti voglio). Un desiderio vitale (o forse è mortale?) a cui non si riesce a dire di no.
Lascio lo zainetto sulla moto dalle 21 all'1. Lo lascio in mezzo a una strada e vado via in macchina. Me ne accorgo solo quando ritorno. E lo zainetto è ancora lì. E' stato lì per tutte quelle ore e nemmeno un curioso. Deve essere come si dice "mettere davanti agli occhi per nascondere". (Mi sorprendo) Ritorno a casa e mi ripeto: lascio lo zainetto tutta la notte sulla moto (d'accordo sì nel giardino ma tutta la notte e e...mi soprendo ancora...me ne accorgo solo stamattina).
Il sogno è brevissimo mentre lo sogno penso che sembra un film degli WHO. Il film è girato benissimo (di chi è il merito?). Sono su una specie di calesse non trainato da nulla, mosso solo dal vento. Tempesta di sabbia, cammelli che danzano nella polvere cavalcati da viandanti arabi in turbante. E' una specie di danza bellissima che purtroppo finisce alle 8e30 senza sveglia (è suonata due ore prima) . Oggi R e T dicono che sembro un arabo. Che mi sono vestito da arabo (mi dicono di stare attento ai controlli anti-terrorismo). Sogno o son desto?
Mi domando se ho fatto tutto. Se devo lasciare qualche indicazione per dopo. Se già sto preparando il dopo. Dico "ci penserò dopo" ma penso che dopo è presto. tenerne conto.
Le parole devono essere rimaste nell'aria un po'. Le parole erano "matrimonio" e "contatti". Poi più nulla. Persone che piangevano. Facce costernate. Dopo è stato solo dolore. Immobilità, dilazione di tutto. Le parole sono tornate dopo, nel tardo pomeriggio, altrove. In un centro commerciale iperpopolare dove cercavo di partecipare a una lista di nozze come a una riffa a cui erano rimasti premi troppo piccoli. Come se avessero bucato la bolla eccole di nuovo lì, molte ore dopo. Matrimonio e contatti. Tanto più forte è la morte.
Ho contatto tre volte la parola matrimonio e una la parola funerale. Mi è tornato alla mente un film. Ma lì c'era il numero 4. Mi è ritronata alla mente questa canzone (anche se c'è un videomontaggio allucinante didascalico).
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Prima di essere stato. Prima di essere (stato) cattolico, buddista. Prima di tutto i simboli. Ma ne riparlerò. Del mio animismo. Del mio panteismo. (Un'altra volta)
Tu devi essere matto, e non hai detto altro. Che altro dire. Parlo per me, ora. Che altro dire. Ed è finita lì.
Dopo - quanto dopo, non so dire - non hai altro da dire. Niente. Non nient'altro. Niente. Hai finito di fare quello che facevi. Forse c'è stata una vacanza. Forse due. Forse. Tante altre cose, dunque, da dire. E invece: niente. E' domani che aspetti. E' domani che aspetto.
Questo sono, ho detto. Questo sono ma non ho detto cosa è "questo". Ma emergerà chiaro dopo. Dopo sarà chiaro. E dunque lasciamo fare al tempo. Il tempo fa meglio di noi. Che terribili imitatori del tempo che siamo. Ora dimmi. Dimmi se sono matto. Dimmi qualcosa.
Mai più, mai più voglio sentire dire che un piccione non muore. Che se si va, che si deve andare, che quelli vanno, che tutto va come deve andare. Che non bisogna rallentare. Invece i piccioni muoiono. Distrattamente, sbadatamente i piccioni muoiono. E non è di morte naturale. Non dire accelera. Non dire tutto va. Nessuno muore se non di vecchiaia, di malattie. Perché invece i piccioni muoiono in incidenti stradali. E ora lo so.
Ho mancato di menzionare un bel racconto scoperto settimane fa su un numero interessante di Specchio de La Stampa...è un po' che è tornato interessante. Con ampi spazi letterari curati da Cortellessa. Ma torniamo al racconto. E' di Antonio Franchini che già anni fa recensii per i suoi bei libri "sportivo-iniziatici". Il racconto aveva un bel ritmo e una bella corrispondenza fra tempi (quelli del ricordo, quelli interni, quelli de racconto - nel racconto). Al centro c'è il mangiare. Al centro c'è la morte. Al centro c'è la notizia di una morte. La freccia viene scoccata per analogia della vita (e la freccia è la notizia della morte) mentre il protagonista mangia prelibatezze in un villone. Il cellulare è il mezzo di questa dissonanza. Costruito con grande sapienza il racconto alternava piani diversi di presente-passato. Con gusto, sarebbe fa dire se non ci fosse in mezzo tutto quel ben di dio gastronomico.
Mi è capitato tra le mani e ho letto anche il romanzo La persecuzione del rigorista di Luca Ricci
di cui anni fa credo proprio di aver letto delle storie uscite per addictions (esiste ancora?). Giorni fa citavo Casa d'altri la cui ineguagliabile bellezza rimane tra le pagine-maestro di tanta letteratura che fa esplodere tanto con poco. Ci ripenso.
Murakami quasi agli sgoccioli. Ho mancato di ridire di Sillitoe. Migliori sono i racconti successivi al primo che titola il tutto. Cito a memoria e quindi con beneficio d'inesattezze mnemoniche...d'altronde sono sempre io quello che ha perso un buono regalo di ben 50euri...Zio Ernst, Il quadro del peeschereccio, L'insegnante. Mi ha impressionato di meno la title track.
Vorrei dire altre due cose che non sono però letture ma visioni e quindi le rimando al capitolo di competenza. Visti Muriel (Resnais) e Melinda e Melinda (Allen). A presto o meglio a fra un po'.
Che succederà nei Caraibi? Vado a rivedere il diario di Viviana di cui già in parte ho parlato. Ed eccola al ritorno dal viaggio brasiliano. Una pagina lontana. O siamo noi lontani alla pagina. A voi (la sentenza e la lettura).
Appena arrivata. Avevo voglia di un roti. E' tanto che non lo mangio, un mese e mezzo o piu'. Era il primo desiderio alimentare arrivando a Trinidad. K ha riso. "Un roti? Di domenica? Ma sei pazza!" Come sono pazza? Che male c'e'? Da quando il cibo e' legato ai giorni della settimana? Lui ha sorriso e ha detto va bene. Proviamoci. E infatti ci abbiamo provato, ma effettivamente tutti i roti shops sono chiusi di domenica. Chissa' come mai, a nessuno verrebbe mai in mente di mangiare un roti di domenica. Sarebbe una follia.
Io ero delusa, e incredula. Uno dei cibi piu' consumati delpaese, inaccessibile. Ma poi ripensandoci ho realizzato che qui e' cosi'. Nessuno mangia curry la domenica. Come a nessuno verrebbe in mente di mangiare un bake and shark se non in spiaggia. O le doubles se non di notte. O la corn soup se non la sera, dalle 6 in poi. Impossibile.
La regola magica del capitalismo secondo cui parte integrante della vendibilita' e del successo di un prodotto sta nella sua capillare distribuzione, qui non funziona. E' un po' la regola della cocacola. Parte del suo successo e' dovuto al fatto che la si puo' trovare ovunque. Hai voglia di una coca, dopo meno di cinque minuti ne hai una in mano. Ovunque tu sia.
Qui gli unici che hanno capito questo trucco sono gli agenti del marketing di KFC. Sempre aperto, sempre pronto. E infatti, miracolosamente, ha un enorme successo. Ma chissa' come,mai , ho la netta sensazione che se aprissi un negozietto di roti, bake and shark, corn soup e doubles "sempre aperto e sempre pronto" a Porto of Spain, i Trinidini storcerebbero il naso. "E perche' mai dovrei aver voglia di mangiarmi un roti di domenica?"
My Shoes by Charles Simic
Shoes, secret face of my inner life: Two gaping toothless mouths, Two partly decomposed animal skins Smelling of mice-nests.
My brother and sister who died at birth Continuing their existence in you, Guiding my life Toward their incomprehensible innocence.
What use are books to me When in you it is possible to read The Gospel of my life on earth And still beyond, of things to come?
I want to proclaim the religion I have devised for your perfect humility And the strange church I am building With you as the altar.
Ascetic and maternal, you endure: Kin to oxen, to Saints, to condemned men, With your mute patience, forming The only true likeness of myself.
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