Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 25/10/2010 @ 09:30:52, in diario, linkato 2896 volte)
Ieri sul Corsera ho trovato questa poesia di Mariangela Gualtieri che vi posto.
Sii dolce con me. Sii gentile. E’ breve il tempo che resta. Poi saremo scie luminosissime. E quanta nostalgia avremo dell’umano. Come ora ne abbiamo dell’infinità. Ma non avremo le mani. Non potremo fare carezze con le mani. E nemmeno guance da sfiorare leggere.
Da Bestia di gioia (Einaudi)
Cosa ci faccio con me oggi? Come incrocerò le braccia e dove poserò le mani? Fin dove posso farmi camminare? Inizio la giornata con un sacco di cose che non so. E una che so. Solo una: che non voglio ingombrare. Penso che mi metterò là, in un angolo un po’ stretto, magari buio e cercherò di stare buono. Cercherò di non farmi vedere né sentire. E so che starò lì tutto il tempo che serve. Dopo, sono sicuro, qualcuno verrà a prendermi. Mi darà un piccolo colpo sulla spalla e mi prenderà per mano. La mia sarà una mano piccola, l’altra sarà più grande e non so quante volte ci starà la mia e se quella non la stringe potrebbe rischiare di perdersela la mia. Dove voglio andare diventerà dove vogliamo andare. Ma già so che non farò domande e mi lascerò portare. Penso che, a un certo punto, non riconoscerò la strada. Un punto in cui mi confonderò. Un punto in cui mi fiderò. Del resto non so nulla.
Vestiario
Ti togli, ci togliamo, vi togliete cappotti, giacche, gilè, camicette di lana, di cotone, di terital, gonne, calzoni, calze, biamcheria, posando, appendendo, gettando su schienali di sedie, ante di paraventi; per adesso, dice il medico, nulla di serio si rivesta, riposi, faccia un viaggio, prenda nel caso, dopo pranzo, la sera, torni fra tre mesi, sei, un anno, vedi, e tu pensavi, e noi temevamo, e voi supponevate, e lui sospettava; è già ora di allacciare con mani ancora tremanti stringhe, automatici, cerniere, fibbie, cinture, bottoni, cravatte, colletti e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori -sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa riutilizzabile per protratta scadenza.
(da "Gente sul ponte" di Wislawa Szymborska)
Uscendo dal lavoro, ieri, sono andato ad un parchetto vicino casa dove un mio amico porta il suo cane per chiacchierare e stare un po' con lui. In realtà mi sarei fatto volentieri una birra ma non ho trovato nulla di vicino così sono andato lì a fumare un po' di sigaro e ad assistere al loro rispettosissimo e famigliare parlare di cani. Tutti pronti a solidarizzare in questa area circondata in cui facco giocare i loro compagni di vita. Ci si sente un bel po' fuoriposto ma va pure bene ogni tanto. Ti senti alla fine che i tuoi problemi non sono nulla davanti alla vita di quattro zampe coperte di pelo che riescono a strappare amicizia e amore senza cambiare nulla della loro natura. mentre a noi alle volte sembra di dover fare chissà cosa per un po' di considerazione.
Dopo ho deciso di farmi un barbecue anche se ero solo a casa. Alle volte mi piace questo piccolo spreco di carbonella (solo ad accenderlo avrò speso un'ora ieri) e carne. L'idea che stai facendo una cosa solo per te anche se è di molto più bello farlo per altri. Facevo avanti indietro dal fuoco alla cosa bevendo vicno rosso e mi sembrava che in casa ci fosse tanta gente (non credo dipendesse dal vino, no). Fuori faceva un po' freddo e tutt'intorno era silenzio. Un amico mi ha suonato ma non ho sentito. Mi ha chiamato, gli ho aperto mi ha aiutato ad accendere il fuoco e se ne è riandato. Ho rivisto Full Metal Jacket. Vi ricordate la scena finale. Con loro che cantano topolin dopo morte e in mezzo ai disatri che bruciano ancora. Ecco, spesso un inno alla vita può anche essere un po' ridicolo, uno stano miscuglio di dolore, pena e un po' di tenerezza infantile.
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Sono ferme, le migliaia, e cantano. Intorno a loro, nel mondo la gente sale su scale mobili e lancia occhiate segrete alle facce che scendono. La gente fa dondolare bustine di tè sopra l’acqua bollente dentro tazze bianche. Le macchine sfrecciano silenziose sulle autostrade, strisce di luce colorata. La gente siede dietro le scrivanie e guarda i muri dell’ufficio. Annusa le proprie camicie e le getta nel cesto della biancheria sporca. La gente si accomoda su poltrone numerate e vola attraverso fusi orari e alti cirri e notti fonde, sapendo che c’è qualcosa che ha dimenticato di fare. Il futuro appartiene alle masse.
Sto leggendo Mao II di Don DeLillo (Einaudi). Con gusto.
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