Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Qualche tempo fa usciva La melancolia del corpo (titolo originale The Melancholy of Anatomy) di Shelley Jackson (minimum fax). Un testo quasi iniziatico che viaggiava attorno al corpo. L'organizzazione dei capitoli, il sistema di riferimento era quello, seppur in forme complesse (un capitolo dedicato al cancro, uno al dildo raccontato in forma storica e personificata, catarro e spermatozoi) e forse alle volte contrarianti. Latte è un altro dei capitoli e sembra una grande metafora. Di cosa? "C'è ampio spazio per le variazioni, nell'atto amoroso. Certo, è proprio questa ampiezza che terrorizza i principianti" leggo, a un certo punto. Finora si è parlato di cielo, di nuvole. Di amore per il cielo e per le nuvole. Come se si consigliasse una tecnica per amare il cielo e per esserne ricambiati. Dopo, leggo: "In breve, non c'è fine alle tecniche che procurano piacere al cielo, se adoperate con sentimento; perciò partiamo dalle basi, e lasciamo il resto al gusto individuale". Lascio al vostro gusto individuale l'amore per il cielo nero di oggi (il mio almeno).
Scrive e. che si definisce lettrice recente ma retroattiva. Ebbene sì, lo siamo tutti lettori retroattivi. La letteratura è retroattiva. Ogni lettura è retroattiva. Forse lo è pure ogni scrittura (anche quella di anticipazione). Una frase che mi è stata regalata per questo Natale da un collega era questa (forse arcinota) di Jules Renard (che amo soprattutto per le sue Storie naturali): "Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti". In definitiva anche questo fa riferimento al tempo e alla retroattività. Scrivere è finire un discorso (finché non è finito). Completare un tempo che è già stato. Raccontare (anche) un'immaginazione e così renderla passata. Definirla. Attivarla (e retroattivarla). Nell'ambito della mia retroattività continuo a perlustare il pianeta Bennett. La signora nel furgone, me lo ha prestato una collega. Lo leggo. Scrive bennett parlando di uan serie che scriveva: "Quello che li rendeva divertenti dal punto di vista sociale era il contrasto fra il tenore di vita che i nuovi arrivati scoprivano di potersi permettere e le loro idee progressiste: in poche parole avevano dei sensi di colpa, notoriamente sconosciuti agli yuppie di oggi (che "non vedono il problema"). Noi il problema lo vedevamo eccome, anche se non potrei dire con sicurezzache questo cui rendesse migliori di loro". Si sposa bene con il film visto ieri con f. La bellezza del somaro. Nel frattempo la miccia che ci regala e. (per far saltare il post di ieri).
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SMS di notte è una mia amica vicina di casa che sta male. Sono le 3e30 ma non si può far finta di nulla. La chiamo. Ci parlo, piange. Oggi penso: è tutta questione di miccia. Ognuno di noi dilata lo scoppio come può. Srotola una miccia e spera che più lunga è più si dilata il rischio. Eppure - se pure si è visto un solo film western - si sa che la miccia (dopo che uno si è stancato di srotolarla) brucerà comunque in un attimo. E allora? Tanto vale fare esplodere quello che deve esplodere. Che poi, non è detto che sia male. In chiave entropica, dico. In senso risolutivo, definitivo, mi capite?
Cena di capodanno: pesce spada affumicato, fregola con vongole veraci, orata sotto sale. Film: Heimat2. Il tutto in buona compagnia. Ovvero, solo. Ma lo sarebbe stato comunque con una buona compagnia. Ma così mi andava. Spendo due parole su Heimat. La considero una delle opere in senso universale più importanti del secolo passato. La prima volta che l'ho visto - tutto - è accaduto in un momento per me speciale. Un tempo in cui sui stavano giocando attorno a me carte decisive. Separazioni, volute o meno, che mi avrebbero lasciato un po' diverso. Più grande? Più solo? Ci sono cose che non ti lasciano uguale. Anche con Heimat è stato lo stesso.
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