Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mi diverte la parola “titolo di viaggio”. La penso oggi mentre scelgo forzosamente la metro al posto della moto. Ho titoli di viaggio? Sì due. Ma ho anche un diverso titolo di viaggio: sempre la Munro, sempre un racconto da Il percorso dell’amore, intitolato Mucchio bianco. Il racconto si presta al viaggio breve di 8-9 fermate e la scrittrice canadese ti catapulta in un mondo famigliare fatto di cose piccole, esplose. Come quando racconta con sobrietà una scena di amore coniugale mentre i bambini scalpicciano downstairs. Come quando racconta il corpo di un’anziana nuda. C’è in questo racconto un talento per l’impudicizia – in una sua forma molto munroiana (quindi cesellata e arguta, ma senza ricerca d’effetto) – che lo rende trasgressivo in modo molto naturale. E da sé. Senza fuochi di artificio. Leggo per voi: “Negli anni a venire avrebbe imparato a riconoscere i segni premonitori dell’inizio come della fine di una relazione amorosa. Non l’avrebbe più stupita tanto constatare come possa squarciarsi la pellicola protettiva che ricopre ogni situazione. (…) – Secondo me, il momento migliore è sempre l’inizio. L’inizio e basta. È l’unica parte autentica. Anzi, forse persino l’attimo prima dell’inizio. Forse quando ti balena in testa l’idea che possa succedere. Forse è quella la parte migliore”.
Con questo articolo ho iniziato per e con Paese Sera dei viaggi che non mi porteranno lontano ma...come va va o meglio...dove va vo...
Anagnina ore 22 di Roberto Carvelli Vi siete mai chiesti: che ci faccio qui? La domanda, che riecheggia il titolo della nota collazione di fughe nel mondo di Bruce Chatwin, non è peregrina – è il caso di dire – neppure per un “viaggiatore” romano. Che ci faccio qui? Me lo chiedo, per esempio, davanti allo spettacolo vuoto di Anagnina ore 22. Come ci sono finito? E, soprattutto, come ne esco? Mi concentro sulla seconda domanda perché, come sapete, la metro linea A, a quest’ora e di questi tempi, è bella che chiusa, il luogo è buio e vasto come un deserto d’asfalto e in tutto questo vuoto anche la tua ombra sembra suggerire un pericolo. Persino uno come me, timorato poco di dio e quasi per nulla degli uomini, se la vive male tutta la mitteleuropeità di questa Roma Sud-Est. Dove Est sta anche a ricordare la frequentazione nazionale. Dalle 19, infatti, come in un gioco di prestigio, Anagnina diventa una stazione di posta da cui una torma di romeni e russi si raggruppa per l’ultima birra prima di... Tornare nelle case direzione Castelli? Trovare il modo per sfangare una serata?
LE CRONACHE DI ROMA - Chi legge le cronache di Roma conosce le pagine nere degli stupri e altre violenze, la morte della romena colpita da un cazzotto italiano ancora celebrata da una colonna di preghiere votive, il tappeto vitreo delle birre bevute. Le lettere indignate degli abitanti a “il direttore risponde”, giù fino al presidio delle forze armate. Insomma, un laboratorio debole di convivenza internazionale tra kebab, mercatini improvvisati e un alimentari come ne sono rimasti pochi. In definitiva, qualche giustificazione al voler lasciare l’inospitalità del luogo è possibile trovarla. Provo a chiedere a qualcuno notizie dei bus sostitutivi senza intercettare nessun idioma italiano. A furia di girare nel tondo delle sommarie indicazioni trovo il posto giusto ma il bus non parte e allora, per impazienza, mi avvio a piedi verso il mondo abitato camminando sul lato destro. Sopra mi scorre la pista della sopraelevata e passo l’edificio rosso casa cantoniera che ospita una scuola e la biblioteca comunale. Un autolavaggio che promette la doppia soluzione di un LAVAGGIO ACCURATO e di uno più rapido ed economico, solo esterno. A sinistra, coperto dalla strada, non posso vedere, purtroppo, a che punto sono i lavori del restauro dell’Osteria del Curato. Un complesso secentesco in cui, per spiegarne l’etimologia, un prete preparava da mangiare per i contadini della zona e una stazione di sosta per chi portava il vino dai Castelli a Roma. Insomma un luogo con un destino che si ripete. Non è chiaro se la trattoria-osteria (senza più curato ormai) riaprirà e quando, se la chiesetta – anticamente di pertinenza della Basilica di San Giovanni in Laterano – sarà visitabile ancora. Da qui agli studios di Cinecittà pare facile ma un po’ l’ansia di vita che un chilometro dura un attimo fatto di smog e macchine che sfrecciano e sono all’angolo del muro che recinta tutto il nostro Grande Cinema. Che ci faccio qui? E’ una domanda a cui mi piacerebbe rispondere pensando di doverlo varcare per ritrovarmi in una fantasmagoria felliniana. E invece, locco locco, me ne torno a casa.
www.paesesera.it/Societa/Che-ci-faccio-qui-Anagnina-ore-22
gira una battuta sul nuovo governo vs il vecchio: è stato come passare dal carnevale alla quaresima. facendone tesoro oseremmo dire che per il corsera transitare da alberoni a grasso in rubrica di prima pagina fa pensare a un passaggio da liala a joyce. si veda il ritratto odierno di bocchino del massmediologo.
Tra le 4 e le 6 del pomeriggio del 1° novembre 1975 Pier Paolo Pasolini rilascia la sua ultima intervista a Furio Colombo (che possiamo rileggere nel libriccino a firma del giornalista e del professor Gian Carlo Ferretti che la introduce in L’ultima intervista di Pasolini, Avagliano). Il giorno dopo, Pasolini sarà all’obitorio. E’ una lettura importante, da consigliare. Dice Pasolini a Colombo (a cui chiede di intitolarla Perché siamo tutti in pericolo): “A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire”. E’ un bel messaggio di speranza che stempera o rafforza il pericolo che aleggia come una premonizione che purtroppo si avvera e la definizione del potere. “Il potere – dice Pasolini – è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo”. Il potere ci divide e ci comanda. Rimanere uniti a noi stessi o impermeabili ci mette a rischio. Tutti.
La giornata che ieri si era aperta con il rosso del sangue in terra si è chiusa con il rosso del vino novello sul pavimento della mia casa. Come la chiusura di un'epifania, come un interruttore acceso e spento. Come una cosa che non sai cosa significa finché non ne succede un'altra. Due rossi diversi. Uno stesso giorno.
Per terra, stamattina, proprio di fronte allo shopping center tuscolano, c'erano dei fazzoletti di un rosso che definire "vivo" sembrerebbe irrituale. E un SUV che definire "mastodontico" sembrerebbe troppo usuale. Non so cosa c'è stato prima e se c'è stato un dopo. Per me c'è stato solo quel rosso. Un rosso perfetto. Ma anche dirlo "perfetto" è irrituale sì, e stonato.
D'accordo, dovrei dormire. Vista l'ora, visto che già lo stavo facendo da un'oretta. Visto che come sempre mi sveglio presto. ma devo avere di sicuro quel cinghiale sul torace della pubblicità e assecondo la sete. Poi ritorno a letto e leggo la Munro (sempre da Il percorso dell'amore; il racconto è La preghiera dell'amore). Ecco come ci si lascia: "L'addio fu appena un'increspatura sull'acqua. Uscì di casa insieme a lui. Saranno state le quattro e mezza o le cinque, il cielo cominciava a rischiararsi e gli uccelli si svegliavano; era tutto coperto di rugiada. Di fronte a loro, incagliata nei solchi sulla strada, la grande macchina innocua". Non è di buon auspicio e spengo libro e luce. Ad maiora. PS Su Internazionale di questa settimana il maestro Fofi recensisce la Munro. La loda ma dice (parla di Canada) di preferirle Margaret Lawrence. Cita anche la Atwood e la Michaels. Dimentica la Mavis Gallant e me ne dispiaccio ma io so che non è un caso. E' invisa a molti intellettuali (lessi a suo tempo una tirata di Cordelli a proposito) ma non condivido. Sento che sta molto più vicina a noi, pur senza confondersi, e questo so che in genere non piace ai critici spaventati dalle mazzette sottobanco della verità.
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