Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Senza contare le periodiche misteriose scomparse del 29 febbraio Ogni anno in amore ci depredano di un giorno.
Qaund’ero giovane non ne tenevo conto, anche senza quello c’erano abbastanza sabati e mercoledí.
Oggi per me è importante ogni giorno in cui ti posso guardare.
Il nostro feudo che si estendeva per cinquant’anni di futuro si è ridotto a un piccolo podere contadino.
Izet Sarajlic - 30 febbraio 1976
C'è un racconto di Italo Svevo dal titolo "Giacomo". Il personaggio da cui prende il titolo la short story dello scrittore triestino è il cosiddetto piantagrane. Qualcuno (non io) direbbe il classico sindacalista battitore libero bastian contrario. Ma è solo un modo di vederla. Dall'altra, infatti, Giacomo è un vero geniale seppur utopico organizzatore del lavoro. Uno di quelli che ha idee che funzionano e perciò costano. E così perde spesso il posto allontanato da imprenditori di manica stretta e colleghi "facci lavorare". Salvo poi ottenere la legittima riabilitazione a licenziamento avvenuto della serie "il profeta deve morire perché si avverino le sue profezie". Tutto questo mi ha fatto pensare a TAV-NOTAV, articolo18 e a una paccata di affari miei che non mi va di dire. Mi capirete.
Sono andato di meno al cinema in questi mesi. Per un maggiore carico di lavoro e impegni vari. Forse anche per una resistenza a un "nuovo" spesso deludente. Non è il caso di Cesare deve morire dei Taviani. A cui pure mi sono avvicinato con sospetto sembrandomi uno di quei film in cui il clamore dell'uscita e una pretesa "giustezza" civile ne rendevano imprescindibile la visione. Una sorta di tabù contrario. E anche, più prosaicamente, un argomento da conversazione salottiera. Non è così. E' un film potente, ben costruito. Molto ben costruito e sceneggiato. Ben fotografato. E - come saprete dal tam tam che io ho temuto - magnificamente interpretato. Lungo quella linea tra verità e finzione che è propria del registro scelto (il docudrama, appunto) e del metatesto che in questo caso rimanda: la vendetta ben interpretata è quella della realtà o della finzione? E chi ringrazia chi in questa messa in scena? Shakespeare i detenuti o viceversa? Qual è la scuola della vita che forma tanto odio e tanta insidia? Quale pratica la rende efficace? Se Cesare doveva morire perché Shakespeare ne scrivesse i detenuti dovevano recitarlo perché se ne capisse più profondamente la ragione. Nel bene e nel male. Nel giusto e nello sbagliato.
Di Carvelli (del 12/03/2012 @ 18:11:55, in diario, linkato 1076 volte)
Lungo la linea di minor resistenza siamo in marcia da gran tempo, stanchi ormai, ingobbiti e tuttavia grati, nell'insieme. Di noi nessuno, credo, più ricorda quando cominciò, né di dove, esattamente; un piccolo scarto forse, una prima deviazione a evitare vampe lontane, un tronco di abete o faggio a riparo, un muricciolo di pietre, la breve spada per tre quarti nel fodero, l'occhio attento, l'orecchio ben spalancato al fragore della battaglia laggiù.
Credi che non ti perdono ma è me che non perdono. La mia non è una vendetta diretta e nemmeno trasversale. In me tutto nasce e finisce. Per questo dovrei essere pagato doppio o premiato due volte. E invece perdo ancora ma con la faccia di chi trionfa e soffre come dopo una gara allo sfinimento.
Che cos'è lo sguardo?"
Una freccia più aguzza della lingua la corsa da un estremo all'altro dal più profondo al più lontano dal più scuro al più chiaro
un rapace
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