Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 23/02/2010 @ 09:51:21, in diario, linkato 1071 volte)
Che cos’è un “curriculum sentimentale”?
A sentire Carlo le persone si presentano bene o male dal punto di vista dei sentimenti. Bene o male, solo così. Delle due, per sé, lui sceglie un’autovalutazione negativa.
Una volta, presentandosi a una ragazza, già tutto sommato ben disposta nei suoi confronti, aveva detto “NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE: ecco cosa scriverei fuori di me come se fossi un pacchetto di sigarette”. La frase a effetto aveva colpito lei e i rischi paventati sarebbero state malattie purtroppo reali. Non si sbaglia mai a presentarsi male. Lo sapeva Carlo e non sapeva di saperlo quella ragazza che si chiamava Giulia. Ma questa è un’altra storia. Carlo e Giulia. Una storia che dal momento in cui raccontiamo fa parte di una specie di piccola archeologia amorosa.
Il momento da cui racconto è quello in cui Carlo ha conosciuto Anna e siamo qualche anno dopo. Neanche molti ma abbastanza per credere che si tratti di due persone diverse: Carlo dopo Anna, Carlo prima di Anna. Uno spartiacque che ha tagliato il corso placido del fiume che era, che era sempre stato prima di conoscerla. Una diga, un salto, una cascata che non lascia l’acqua ferma mai.
Anna – e siamo a uno dei loro primi incontri – di sé aveva detto molto semplicemente a Carlo: “Anna è questa e anche quella”. Parlava di sé in terza persona e si chiamava per nome in una prova di vigore egotico e impersonalità insieme. Carlo era troppo preso dall’incanto della voce e dal sottile e semplice tribale del braccio – un particolare nascosto agli sguardi meno intimi delle persone che l’hanno incontrata fuori – per capire quale era Anna delle due, quali erano le due Anne a cui lei stessa richiamava la libertà di quella ubiquità. Anche giorni o mesi dopo non avrebbe saputo dire la doppia Anna. Anna in breve sarebbe stata una – una per lui, unica per lui – e la disattenzione sarebbe stata premiata con un dolore nuovo per lui abituato più a far soffrire che a soffrire. La novità, naturalmente, sarebbe stata in certo qual modo apprezzata pur nel male. Da lì sarebbero scaturite riflessioni in forma di lamentazione, vittimismo ed espiazione. Espiazione necessaria.
Qualcuno a quel punto avrebbe dovuto richiedere a Carlo: “Carlo, che cos’è un curriculum sentimentale?” E mettersi lì ad attendere una nuova risposta.
Alla domanda Quanti anni hai?, invece, Carlo risponde 29, per una consuetudine che si è prolungata ben al di là di un anno.
La Carta d’identità dice infatti quasi 31. Ma lo sconto praticato dal portatore non è, in definitiva, mal riposto. Tutto in Carlo – dall’abbigliamento alla perfetta forma fisica, a un certo modo di scherzare e prendere la vita con una leggerezza senza confini – conferma l’età giovanile e la diminuzione non stona. Ma non ci sono vezzi dietro questa piccola decurtazione. Solo consuetudine, come detto. Spesso un anno dura due. O forse un anno particolare come quello del trentesimo di vita finisce per essere annunciato e festeggiato, atteso e quindi prolungato da celebrazioni che lo posticipano. Gli anniversari fanno spesso questo di buono.
Degli uomini Anna, in estrema sintesi, pensa che siano vittime inconsapevoli – sulla consapevolezza è disposta a mettere mani in altoforno, inteso la vera consapevolezza, che poche volte ha incontrato e per un tempo così ridotto da pensare che sia praticamente casuale come indovinare un paio di numeri al superenalotto – di loro stessi. Li vede schiavi antropologici. Tutti aggravati dalla necessità di dimostrarsi maschi al cospetto della società e di loro stessi. E’ come – pensa Anna – se dovessero continuamente dimostrare alla loro parte femminile che non esiste o conta poco. I primi a soffrirne sono loro stessi.
Anna è stata sposata ha cinquant’anni e nessun figlio. Anna si sarebbe detto anni fa è vedova. Una parola in disuso, oggi. Una parola che si usa, al limite, solo per chi ha figli. Una parola che si usa con un compatimento che rischia di ingessare chi la riceve. Meglio ricevere la perentoria classificazione di una definizione spaziale come Anna è sola? Forse neppure. Ma è come si sente Anna, a dispetto dell’amichevolezza di tanti colleghi, dell’amicizia sincera di tanti parenti della sua e della famiglia dell’ex-marito Augusto. Di Laura.
Ecco in sintesi le due schede sentimentali dei nostri protagonisti che abbiamo lasciato in una birreria e che fra un po’ ritroveremo in un ristorante che segue qualche aperitivo insieme a Laura e ad altri. Sempre insieme ad altri. Ma sempre con la domanda sottesa Usciranno mai da soli? E soprattutto: Come si troveranno? E ancora: E’ già il tempo di smettere i panni neri della vedovanza per Anna? Domande generali. Domande dei due. Domande soprattutto di Anna. E soprattutto perché le risposte sono di Anna. E’ lei l’ago della bilancia di questo piccolo pezzo di futuro in attesa.
Di Carvelli (del 23/02/2010 @ 12:22:57, in diario, linkato 1204 volte)
L'uomo che verrà, quello nuovo Girarsi indietro, anche a rischio di diventare una statua di sale Roberto Carvelli (www.amiciperlacitta.it 14/02/2010)
Il mondo è pieno di metafore per dire questo. La letteratura – specie quella religiosa – trasuda metafore per questo. E “questo” è “la capacità di riconoscere le persone e le cose per quello che sono nella loro funzione più profonda”. Questo è: saper dire cosa è importante e cosa no. E chi. Questo è riconoscere per quello che è un film che esce nelle sale come qualsiasi altro (forse in un numero di copie minore rispetto ad Avatar o Baciami ancora) ma che non è come qualsiasi altro. Scrivo tutto questo a proposito del film di Giorgio Diritti sulla strage di Marzabotto. Lo scrivo tornando a casa e riprendendo in mano uno dei libri che hanno segnato la mia formazione letteraria, Mattatoio n. 5. Lo ha scritto Kurt Vonnegut e la IV di copertina mi ricorda ogni volta che mi ricade nella mani che è “Uno dei più grandi romanzi contro la guerra”. Vonnegut racconta a ritroso la Dresda a cui aveva partecipato da soldato. In una specie di profonda espiazione rievoca uno dei bombardamenti più terribili della storia. A un certo punto scrive: “Così va la vita. Era gente spregevole, quella di Sodoma e Gomorra, come tutti sanno. Il mondo stava meglio senza di loro. E alla moglie di Lot, naturalmente, fu detto di non voltarsi indietro a guardare il luogo dove prima c’era tutta quella gente con le sue case. Lei invece si voltò, e per questo io le voglio bene: perché fu un gesto profondamente umano. Così fu trasformata in un pilastro di sale. “Così va la vita”. Già: la vita va così. Costa molto voltarsi indietro, fare gesti profondamente umani. Deve averlo scoperto Vonnegut e forse l’avrà avvertito Diritti. Uscendo dalla sala dopo aver visto L’uomo che verrà mi sono chiesto da quanto nella cinematografia italiana non comparisse un capolavoro del genere e viene facile pensare a Olmi e al suo Albero degli zoccoli ma non è questione di confronti. Di Diritti ho visto in tempi quasi non sospetti il primo piccolo film di culto al suo esordio Il vento fa il suo giro ma non avrei immaginato che si potesse raggiungere al secondo film tanta perfezione di visione e di racconto, tanta capacità di guidare gli attori a partire dalla bravissima bambina che interpreta Martina. Si narra di Marzabotto e il voltarsi indietro colmo di pietas e di dolore (senza rancore e senza retorica) del regista rende il gesto della rievocazione una dolorosa trasformazione del dolore in qualcosa che ti immobilizza nel dolore e ti fa uscire irrigidito nel sale della sofferenza. Uscendo dalla sala dopo aver visto L’uomo che verrà mi sono chiesto se questo film verrà riconosciuto per quello che è e non confuso con film belli (altrettanto belli), cose divertenti, pensieri interessanti, cose inutili pensate come necessarie. Sodoma e Gomorra erano piene di persone sgradevoli. Sì. Forse per andare di metafora potremmo mettere al posto di quei toponimi altri. Di certo ci potremmo convincere che sia giusto bombardarli posti così sgradevolmente minacciosi. Quello che ho avuto la fortuna diciannove anni fa di riconoscere come maestro di vita, il pensatore giapponese Daisaku Ikeda, si è fatto recentemente promotore di una proposta per la stesura di una “dichiarazione per l’abolizione del nucleare da parte della popolazione mondiale” da sottoporre all’Assemblea Generale dell’ONU entro il 2015. In essa si parla di disarmo interiore e si invita a costruire una solidarietà globale al fine di rendere possibile la denuclearizzazione. Ikeda domanda “L’umanità non ha davvero altra scelta che vivere sotto la minaccia delle armi nucleari?” e invita i giovani a farsi promotori e testimoni di un futuro senza il pericolo della guerra nucleare. Anche io come Vonnegut voglio bene a chi si gira indietro anche a rischio di diventare una statua di sale. E’ un gesto profondamente umano anche se Sodoma e Gomorra sono piene di persone sgradevoli, come forse lo era Dresda e la Marzabotto partigiana su cui i tedeschi hanno fatto piovere piombo. Per tutto questo – il questo di cui dicevo – vi invito a voltarvi a rivedere la Marzabotto del dolore del film perfetto di Diritti e ripensare a cosa è davvero profondamente necessario per la nostra felicità non solo presente. Per tutto questo e per lasciarvi con un pensiero pratico vi invito a pensare se quell’infinito potenziale umano di cui disponiamo secondo il filosofo giapponese debba coincidere con l’infinito potere distruttivo della guerra o l’infinito potere deterrente delle nostre piccole azioni quotidiane per evitarla ogni giorno, fatto di voltarsi pietosi a rianalizzare quello che ci ha spaventato o ci spaventa, quello che temiamo possa corromperci e da cui fuggiamo lanciando la bomba che cancella, una parola, un luogo comune. Forse questo è (o lo speriamo) L’uomo che verrà, dopo di noi.
www.amiciperlacitta.it/articolo.cfm?id=1205
Di Carvelli (del 24/02/2010 @ 09:08:21, in diario, linkato 1461 volte)
Risposte. Risposte vostre. La mia np, non perviene. Non ricordo questo san valentino mentre ricordo bene quello dell'anno scorso. Che era sabato - quest'anno cadeva di domenica - come di sabato ma nel 1900 era quello di questo bel film dei quasi inizi di Weir, Picnic ad Hanging Rock. Su quella trepidazione adolescenziale (con lievi tracce di quelle che forse è corretto chiamare infatuazioni amicali) che fa compiere cose strane e spesso definitive ma con una levità che tutto attenua o addolcisce. Bisognerebbe essere così per passare un bel san valentino. Come va va. Bisognerebbe avere quell'età interiore per queste e per altre cose che richiedono incanto e anche un po' d'inganno.
Di Carvelli (del 25/02/2010 @ 09:51:24, in diario, linkato 1000 volte)
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Finalmente l'ho rivisto. Un cuore in inverno. Quello che il film dice è qui http://it.wikipedia.org/wiki/Un_cuore_in_inverno quello che il film non dice è che Stéphane ama Camille più di quanto la possa amare Maxime. La ama punto. Infatti è lui che la fa innamorare - dice per gioco e per competizione con Maxime ma non è così. Stéphane la ama veramente e accende il circuito dell'amore che non ha acceso Maxime. Ma quando il circuito è stato attivato non regge la tensione della corrente che passa nel circuito e si ritrae. La frase che citavo giorni fa - quella sulla totale impossibilità, quasi ontologica, dell'amore - non è vera per lui. E' vera - o gli sembra - in assoluto. E la deve ricordare a se stesso, per non naufragare in un mare che non conosce. La riva che ha sempre avuto a vista è quella che ripete a lei. E serve a lui dirla a lei. S. ama C. ma il sentimento è talmente nuovo per il suo sistema di energia sentimentale che appena si sviluppa deve fare inevitabilmente segno di non riconoscerlo. Di riverificarlo e cassarlo alla luce del solo modo di amare che conosce: non amare. Ma la relazione inversa non è altro che una conferma della relazione positiva (in negativo, come in fotografia). Camille impazzisce di dolore perché - per le donne è spesso così - lei ha sentito, lei sa e soffre per sé ma soprattutto per lui. Camille sa di essere riamata da Stéphane ma purtroppo non riesce in quel momento in cui lo sa a farne rendere consapevole lui. Perché - ecco l'ontologia - se non è lui (e succederà purtroppo dopo e tardi, irreparabilmente tardi) - Lui in generale - ad accorgersene lei non potrà fare nulla per rivelarlo o sarà molto difficile. Questa è la stagione dell'amore che non riesce a scaldarsi al sole. L'amore ai tempi del disgelo.
Di Carvelli (del 25/02/2010 @ 14:39:20, in diario, linkato 1052 volte)
Ieri ho visto Amabili resti. Ha una colonna sonora splendida, una buona idea regalo davvero (anche per me, a me). Chi si risente? La bellissima voce di Elizabeth Fraser. E la musica dei Cocteau Twins. E non solo: in capo a tutto c'è Brian Eno. Per vedere sono rimasto ad aspettare i titoli di coda (tipo 15minuti di titoli) da solo in piedi che mi avranno preso per matto. Specie se il cinema è sulla Tuscolana e già dopo un minuto o due spariti tutti. Anzi dal 5° minuto arrivano i nuovi, quelli dello spettacolo seguente. Tutti con la faccia più che sorpresa, quasi irritata. Non so se vi capita: alle volte la differenza irrita. gente che ti guarda come se ti rimproverasse di avere una visione diversa dalla propria. Ecco, questo volevo dire. Del film non ho cose esaltanti da dire. Né brutte. ma mi divertono le ricostruzioni postmortem e l'idea di un mondo di mezzo in cui ancora si comunica tra vivi e morti. Ecco.
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Di Carvelli (del 26/02/2010 @ 08:29:44, in diario, linkato 1126 volte)
Tempo fa ho letto un racconto che si intitola Solitudine ed è di Maupassant. A un certo punto campeggiano questi versi di Sully Prudhomme:
"Le carezze non sono che inquieti rapimenti,/ infruttuosi tentativi del povero amore che tenta/ l'impossibile unione delle anime attraverso i corpi..."
L'inno di oggi è un inno antisolitudine. Potete cantarlo ad libitum e vi incollo il testo.
">. Well the eggs chase the bacon Round the fryin' pan And the whinin' dog pidgeons By the steeple bell rope And the dogs tipped the garbage pails Over last night And there's always construction work Bothering you In the neighborhood In the neighborhood In the neighborhood
Friday's a funeral And Saturday's a bride Sey's got a pistol on the register side And the goddamn delivery trucks They make too much noise And we don't get our butter Delivered no more In the neighborhood In the neighborhood In the neighborhood
Well Big Mambo's kicking His old grey hound And the kids can't get ice cream 'cause the market burned down And the newspaper sleeping bags Blow down the lane And that goddamn flatbed's Got me pinned in again In the neighborhood In the neighborhood In the neighborhood
There's a couple Filipino girls Gigglin' by the church And the windoe is busted And the landlord ain't home And Butch joined the army Yea that's where he's been And the jackhammer's diggin' Up the sidewalks again In the neighborhood In the neighborhood In the neighborhood
Devo alla preziosa attenta lettura dei frequentatori alcuni regali. Da lontano. Scritti. Questa volta in versi. Devo a C. questa poesia bellissima di Izet Sarajilic dal titolo 30 Febbraio. Qui potete leggere qualcosa su di lui http://it.wikipedia.org/wiki/Izet_Sarajli%C4%87 Di questo poeta bosniaco conservo un libro di un piccolo editore a cui sono molto affezionato anche per il fatto di averlo ricevuto in dono dai Rua Port'Alba anni fa a seguito di un concerto lettura a Napoli del mio primo libro Bebo e altri ribelli. Ecco la poesia con cui estemporaneamente segna il tempo di oggi e di ieri C.
Nonostante le periodiche misteriose scomparse del 29 febbraio ogni anno in amore veniamo derubati di un giorno. Da giovane non ne tenevo conto, anche senza quel giorno c'erano abbastanza sabati e mercoledì. Oggi però per me è importante ogni giorno in cui ti posso guardare. Il nostro feudo che si estendeva su cinquantanni di futuro si è ridotto a un misero podere contadino.
Preparato l'orto per la semina (dal verde emerge il rosso di un radicchio ancora vivo e bello). Tagliato l'albicocco dei vicini. Letto Amalia, un racconto di Tecchi di cui parlerò. Rivisto in francese il film di Sautet di cui già vi scrissi.
Visto INVICTUS, il nuovo film di Eastwood - senza farlo respirare che uno spettacolo appena. Non batterà la bellezza sentimentale di Million dollar baby, l'essenzialità di Mystic River, la significatività (per me) di Gran Torino. Ma resta una nuova grande prova di regia. Non è facile fare film agiografici, camminare sul dritto sentiero della retorica, scrivere il già scritto, far piangere il già pianto e non irritare. La poesia (è di un poeta inglese, Henley) che recita Nelson Mandela nel film è questa e la posto per mandarla o farla mandare a memoria. Un buon punto di partenza per affrontare l'ingiustizia dove sia. Siamo noi i capitani delle nostre anime.
Dal profondo della notte che mi avvolge buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro, ringrazio gli dei chiunque essi siano per l'indomabile anima mia.
Nella feroce morsa delle circostanze non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia. Sotto i colpi d’ascia della sorte il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime incombe solo l’orrore delle ombre eppure la minaccia degli anni mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Son Io il signore del mio destino. Son Io il capitano dell'anima mia.
Visto il film La bocca del lupo. Chi l'ha visto con me l'ha trovato pretenzioso. Io scollato (o incollato, meglio). Una impropria unione di cose belle. Questa sì pretestuosa e intellettualistica. Insincera. E mi è dispiaciuto perché era somma di cose belle. Giustapposte per far felice la nostra classe intellettuale, farle gridare al miracolo, all'arte (ed è vero che il film d'autore è alle volte un genere - citazione - come un horror o uno spy). Peccato. Posto la bella canzone di Gainsbourg (Serge) che a un certo punto campeggia in un balletto scamuffo, una strizzata d'occhio alla Roberta Torre, Almodovar, Corsicato (ennesima e insincera pur se bella commistione di generi citati).
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Dea (altra attenta lettrice) si commuove leggendo la poesia di Izet Sarajlic e le viene l'aquolina in bocca così manda questa poesia dello stesso cantore bosniaco. Spero venga anche a voi l'acquolina ma di abbracci e balli lenti come nel video di Gainsbourg oltre che di versi senza disgrazie di Sarajlic. le due cose vi auguro.
Cerco una strada per il mio nome Passeggio per la strada della nostra giovinezza e cerco una strada per il mio nome.
Le strade ampie, rumorose le lascio ai grandi della storia. Cosa stavo facendo mentre si faceva la storia? Semplicemente ti amavo.
Cerco una strada piccola, semplice, quotidiana, lungo la quale, inosservati dalla gente, possiamo passeggiare anche dopo la morte.
Non importa se non ha molto verde, e neanche propri uccelli.
È importante che in essa possano trovare rifugio Sia l’uomo che il cane in fuga dalla battuta di caccia.
Sarebbe bello che fosse lastricata di pietra, ma tutto sommato questa non è la cosa più importante.
La cosa più importante è che nella strada con il mio nome a nessuno capiti mai una disgrazia.
Mi piace la domenica il Corriere Della Sera. Spesso articoli interessanti come in questa scorsa edizione quello di Paolo Di Stefano sulla NarraVita (la Narrativa che incorocia con la scrittura personale, dell'Io presunto, diciamo così), un tema che ho a cuore. Un articolo molto documentato. Mi fermo, poi, su un'intervista a un artista che so a molti non piace e che a me interessa molto. Alla domanda cosa vorrebbe dunque ancora dalla vita? Maurizio Cattelan – che deve aver rinunciato alla controfigura da intervista – risponde testuale: “Trovare la serenità dentro di me. L’unica cosa con la quale te ne vai da questo mondo. Più invecchi più ti rendi conto che le cose non ti proteggono: possono indurti a credere che ti aiutino, ma non ti salvano”. Leggo e rileggo l’ultima frase allo sfinimento. Leggo e rileggo. Senza saziarmi né sfinirmi.
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