Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 09/06/2010 @ 08:32:57, in diario, linkato 1211 volte)
Concerto molto suggestivo ieri al Circolo degli artisti di Bobo Rondelli. Sudore e risate. Sudore soprattutto. Malinconia, struggimento avanti a tutto. Rimango sempre colpito quando nelle versone trovo parti più o meno (più o meno) equilibrate di ironia e malinconia. Di ironia e autoironia, pure, come una specie di attitudine al tiro, un tiro a segno non doloroso o mortale che è capace di più bersagli.
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Giorni fa sul New Yorker ho trovato una vignetta. C'era Superman o giù di lì (su di lì). C'era un Supereroe, comunque, seduto sulla chaise longue di un anziano psicanalista dall'aria austera. La frase sotto diceva più o meno (cito a memoria e traduco come posso) "Io sono reale ma non posso dire la stessa cosa di lei". Mi risulta molto difficile di questi tempi sia in esterna che in interna capire cosa è reale e cosa no. Cosa è straordinario. Ci provo ora. E' reale sentire i cattivi odori, mangiare, sudare, lavarsi i denti, sanguinare, sentire l'acqua troppo fredda o troppo calda sulla pelle sotto la doccia, bruciarsi al sole E' irreale il dolore, il vento, il caldo, parlare, ascoltare, pensare che è tutto finito, che non puoi fare più nulla E' straordinario piangere, ridere a crepapelle, pensare che stai pensando (ma non saperlo dire né saper dire a cosa), scoprire che stai sentendo qualcosa che non sai dire, provare a dirlo, rinunciare, essere guardati in un certo modo (già...quale modo?), asciugarsi al sole
Di Carvelli (del 11/06/2010 @ 16:41:53, in diario, linkato 1155 volte)
Pensavo oggi a delle parole che non si usano più o meno. Una di queste è "sgualdrina". Una parola che mi piace molto. Per il suono che ha. Così vi propongo (alla faccia dell'etimo) di farla nostra e riciclarla. Si potrebbe ad esempio dire: ho studiato una sgualdrina (per dire "molto"). Ho mangiato una sgualdrina (per dire assai). Mi sento una sgualdrina (per dire... che so... "stanca"). Oggi piove una sgualdrina (una pioggerellina leggera?). Facciamo una sgualdrina? (per dire una gita veloce). Uffa che sgualdrina (al posto di "carneficina" ma senza sangue). E' una bella sgualdrina (per indicare "un guaio", "una situazione di difficile soluzione"). Se vi va potremmo decidere di intitolarle una via - qualora non sia stato fatto - ... "abito in VIA SGUALDRINA N.8"... Un ristorante, se già non c'è..."Cha mangiata ieri a La Sguadrina!" Potremmo anche decidere che è un momento del giorno o della notte: "ieri sono tornata quasi alla sgualdrina" (le 3? Le 4?). Financo si potrebbe decidere che è una bimba in età della crescita (ma dobbiamo essere sicuri che non sia rimasto il vecchio significato) ché in fondo il suffisso in -ina può tornare utile. Posiamo fare anche che è una malattia, una di quelle leggere tipo un raffreddore: mi sento una sgualdrina oggi...quasi quasi mi prendo l'aspirina". Ma la mia è solo una proposta. Un po' sgualdrina.
Bibliografia http://it.wiktionary.org/wiki/sgualdrina www.etimo.it/?term=sgualdrina www.youtube.com/watch?v=F4AyI5dwDNI
Approfittando di sconti ho comprato un altro bellissimo libro di Inoue Yasushi che qui cito.
Alla scomparsa di mio padre incominciai a pensare alla mia morte come a un evento non più remoto. Ma la distesa dell’oceano della morte era per metà nascosto dalla presenza di mio padre, che godeva ancora di buona salute: quando avessi perso anche lei, tutti gli schermi frapposti tra me e la morte sarebbero crollati, e la morte mi si sarebbe presentata con una lievità e una compiacenza a me prima ignote.
Inoue Yasushi - Ricordi di mia madre - Adelphi
Prima di una suggestiva, indimenticabile notte di Caravaggio e magica narcolessia, questo concerto che mi è (abbastanza*) piaciuto. C'erano dei solisti interessanti come il batterista Mark Mondesir e, ovvio, la Marcotulli. E' un periodo che si parla molto dei Pink Floyd persino per uno come me che di musica sa poco riesce difficile dire o pensare a che cosa sarebbe o sarebbe stata la musica senza di loro. Deve essere qualcosa tipo la classica senza Bach ma è detto da uno che ne sa poco, appunto. Del tanto che ci sarebbe da dire per fortuna rimane il tanto che c'è da sentire. Cose vecchie che risenti come se fosse la prima volta tanto sono state innovative e concluse e credo che in questo si annidi il genio, nella capacità appunto di innovare tracciando un percorso completo, esaustivo. E insieme forse di segnare vie che altri seguiranno. In testa batte la parola compiacenza** che poi ritrovo nella pagina di Inoue Yasushi che oggi linkavo.
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* abbastanza abbastanza (ant. a bastanza) avv. – A sufficienza, quanto basta: ho mangiato a.; sono a. bene informato; è un golosone che non ne ha mai a.; averne a., di una persona o di una cosa, esserne stufo: ne ho a. di lui e dei suoi capricci; cominciavo ad averne a. di quella vita. In correlazione con una prop. consecutiva introdotta da per o da: ho lavorato a. per meritarmi un po’ di riposo; sei a. grande per capire certe cose; non sono a. preparato da presentarmi all’esame. Meno proprio, davanti a un agg., col sign. di alquanto, piuttosto: sei stato a. sciocco a credergli; il prezzo mi pare a. elevato.
** compiacenza compiacènza s. f. [der. di compiacere, compiacente]. – 1. Il compiacersi, piacere intimo, soddisfazione: provare c. nel fare il bene; c. di sé stesso, dei risultati raggiunti; a proposta così inaspettata, colui sentì, insieme con la maraviglia, un ribollimento di sdegno, non però senza qualche c. (Manzoni). 2. L’essere o mostrarsi compiacente, desiderio di far cosa gradita a qualcuno: esser pieno di c.; lo ricevette per pura c.; fare un sorriso di c.; spesso sinon. di cortesia: avere la c. di dire, di fare; abbiate la c. di ritornare più tardi.
Proseguo il mio diario di lettura di Inoue Yasushi (Ricordi di mia madre). http://it.wikipedia.org/wiki/Inoue_Yasushi Stiamo parlando sempre della mamma del titolo. Alla donna in questione. ottuagenaria, si è rotto il meccanismo del ricordo e inizia a nominare sempre la stessa persona e solo lui, Shunma. Ecco perché.
Quella che mia madre raccontava di Shunma era una storia molto semplice. Diceva che era gentile, intelligente, e che un giorno, mentre studiava e lei dal giardino si era avvicinata alla veranda, le aveva detto: “Puoi salire”. Tutto qui. All’epoca mia madre doveva avere sette o otto anni. Forse per una bambina come lei l’invito a salire era stato un avvenimento tanto importante da rimanerle in mente per l’intera vita. (…)
Non ricorda il marito. No, mai. I figli ne soffrono ma c'è qualcosa di profondo considerando che la persona che lei ricorda, di quasi dieci anni più grande, è morto giovane tra l'altro. E d'accordo che c'è qualcosa che si è rotto nel meccanismo del ricordo ma perché nel nulla galleggia questo episodio piccolo e isolato?
Che abbia un significato la vita o sia insulsa, dipende dal punto di vista; si può anche presumere che l’unione carnale di marito e moglie per l’intera vita non abbia molto significato, mentre ne avrebbe un piccolo frammento d’amore spirituale, capace di durare senza dissolversi fino al termine di una lunga vita. Da questo punto di vista l’esistenza umana non è certo un episodio trascurabile.
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