Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
C'è un racconto di Italo Svevo dal titolo "Giacomo". Il personaggio da cui prende il titolo la short story dello scrittore triestino è il cosiddetto piantagrane. Qualcuno (non io) direbbe il classico sindacalista battitore libero bastian contrario. Ma è solo un modo di vederla. Dall'altra, infatti, Giacomo è un vero geniale seppur utopico organizzatore del lavoro. Uno di quelli che ha idee che funzionano e perciò costano. E così perde spesso il posto allontanato da imprenditori di manica stretta e colleghi "facci lavorare". Salvo poi ottenere la legittima riabilitazione a licenziamento avvenuto della serie "il profeta deve morire perché si avverino le sue profezie". Tutto questo mi ha fatto pensare a TAV-NOTAV, articolo18 e a una paccata di affari miei che non mi va di dire. Mi capirete.
Senza contare le periodiche misteriose scomparse del 29 febbraio Ogni anno in amore ci depredano di un giorno.
Qaund’ero giovane non ne tenevo conto, anche senza quello c’erano abbastanza sabati e mercoledí.
Oggi per me è importante ogni giorno in cui ti posso guardare.
Il nostro feudo che si estendeva per cinquant’anni di futuro si è ridotto a un piccolo podere contadino.
Izet Sarajlic - 30 febbraio 1976
Ci sono quelle che ti chiamano il giorno dopo averti incontrato con qualcuna per capire se c'è qualcosa da capire. Se non cedi alla curiosità ci sono due sottogeneri: chi insiste e scava e chi lascia cadere la cosa. Ma - come ci ha abituato la fisica - un corpo pesante cade più velocemente di un corpo leggero. E' una questione di genere dire o non dire, assecondare o no. Talvolta è pure una questione generica. Comunque una questione degenere parlarne - e me ne scuso - ma stamane l'ho fatto.
Piccola incursione nell'editing che faccio mia da Vibrisse di Giulio Mozzi ma di cui riporto l'originale che si deve a una riflessione dell'editor Anna Albano sul suo lavoro (su un testo specifico ma vale la riflessione generale). Il suo 7 di 10 è questo che posto.
7. Tagliare e sintetizzare per colpire più forte “In Martino quella autorità esercitata da un uomo che si indeboliva di anno in anno suscitava tenerezza. Pietas, la chiamavano i latini. Quello che provano gli uomini nella forza della loro maturità osservando i vecchi che si vanno spegnendo”: questa frase prima recitava: “A Martino quella autorità esercitata da un uomo che si indeboliva di anno in anno suscitava tenerezza. Pietas, la chiamavano i latini. Quello che provano gli uomini nella forza della loro maturità osservando la debolezza dei vecchi. Senza poter fare a meno di ricordare quanto forti erano stati quei vecchi un tempo e come, un giorno, anche la loro forza attuale di adulti sarebbe venuta meno.” Sacrificando l’ultima frase non togliamo niente: quell’“osservando i vecchi che si vanno spegnendo”, che esprime un’attitudine pensosa e riflessiva, contiene già anche il pensiero dell’osservatore più giovane su sé stesso e sulla propria altrettanto inevitabile decadenza. Però più sfumata, più allusa, richiedente la collaborazione del lettore.
http://vibrisse.wordpress.com/2012/03/19/i-dieci-interventi-piu-frequenti-nel-lavoro-di-editing/#more-14357 http://cosedalibri.blogspot.it/
www.paesesera.it/Societa/Qui-e-tutto-prato!-Non-e-la-via-Gluck-Gita-nella-borgata-di-Cinquina Che ci faccio qui Cinquina di Roberto Carvelli
Qua una volta era tutto prato. Non è la via Gluck ma la (borgata) Cinquina. Di prato, in verità, ce n’è ancora e tentiamo una piccola operazione restyling sostituendo la parola borgata con sobborgo. Un po’ perché inadeguata ai tempi e non più adatta a quelle marchiane partizioni classiste di una volta ora tutte risquadernate in peggiori classi e sottoclassi ma tutte contigue in un sogno pericoloso che ricorda il Teorema pasoliniano. Apparentemente felice. Il sogno degli amanti dell’induzione al consumo più sfrenato.
A Cinquina ci si arriva solcando la nuova viabilità di via della Bufalotta, tutto il complesso disegno del GRA altezza Porta di Roma. Arrivarci così, dopo la ridda di centri commerciali, dovrà pure farvi lo stesso effetto che ha fatto a me. E basta! Finalmente eccomi in Italia, anzi a Roma, meglio nella old Campagna Romana. Finché dura, perché da queste parti stanno costruendo con un’ansia abitativa – e nessuna cautela infrastrutturale, viaria etc. – da malati di mente. Ecco: i nostri specialisti della psiche dovrebbero analizzare questa compulsività architettonica. Trattarla alla stregua di un qualsiasi disturbo della personalità. Anche se le personalità che mettono insieme piani regolatori un po’ ridicoli forse sono mossi più che da ansia costruttiva dal vil attaccamento alla pecunia. Non facciamo nomi? Non facciamoli. Tanto si sanno.
Borgata e collina sono, poi, due parole che qualsiasi insiemistica dovrebbe separare. E infatti questo quartiere sta in cima a un belvedere che uno di questi costruttori se lo avesse trovato libero si sarebbe divertito a puntinare di villette a schiera. E invece Cinquina è presidiata da famiglie che si sono fatte le loro case mattone su mattone, blocchetto di tufo su blocchetto di tufo, come venivano. E, in qualche caso, ancora devono finirle e le vedi ancora lì in fieri come una grande opera di teatro d’avanguardia. L’attenzione di una scuola e di un giardino pubblico in rifacimento. La via delle vie, una specie di Panoramica, è via Feo Belcari. Chi era costui? Un poeta fiorentino quattrocentesco a carattere religioso. Ah wikipedia!
Un’altra via per accedere alla Cinquina è invece via Natalino Sapegno che molti di noi ricorderanno di aver portato sottobraccio in previsione di italiano alla prima ora. “Il (cosiddetto) Sapegno” (storia della letteratura italiana) come si diceva passandoselo di generazione in generazione, con copertine sempre diverse e quella prosa un po’ poetica e tutta tirata dritta tra storia e marxismo (ma lo storico letterario fu uno dei fuoriusciti PCI post 1956), prima che assurgessero alla moda i libri pieni di box, link e ipertesti. In parallelo via Arturo Onofri per dire che la letteratura dovrebbe essere di casa da queste parti. Ma torniamo a via Belcari che sale lasciandosi al fianco una fila di pini marittimi e tanta campagna. Speriamo che rimanga tale. Il giro completo ci porta sino al limitare di altra campagna annunciata da stalle. Ed ecco completato l’ideale giro di case di Cinquina: un agglomerato a prova di nuove costruzioni. O così spereranno gli abitanti. Alla fine venirci sembra sia stata davvero una gita. Anche se passarci in mezzo non mi ha offerto – forse per distrazione mia – il conforto di un bar.
Dopo l’invito a Cinquina un invito alla lettura. Consueto. Quello di una Roma in cui anche in quel caso era tutto prato. Da Cinquina fino all’inizio della città. Almeno da questa direzione. Porta Pia: lì iniziava tutto allora. Nel racconto di Edmondo De Amicis – l’indimenticato autore di Cuore (per qualcuno di Amore e ginnastica – espunto dalla sue memorie e intitolato Roma (ECRA, € 7,50 – corredato dalle tavole del bravissimo disegnatore cartoonista Simone Massi, uno da tenere d’occhio) la città arriva alla fine della Nomentana allora di muri e poderi. Siamo al 21 settembre 1870 e alle imprese dell’ingresso dell’esercito “italiano” nella città. Non è il caso di essere nostalgici ma concreti e di sognare che un po’ di prato rimanga attorno a Cinquina come una benedizione di cui nessuno dopo di noi possa dire, con il cuore infranto: anche qui una volta era tutto prato.
Faccio un gioco che si intitola "L'intruso". Nel gioco l'intruso sono io. Sempre io. Funziona così: mi metto in un numero x di insiemi in cui non sto bene per una serie di motivi. Diversi per ogni insieme. Gruppi in cui non sto giusto. Non calzo. Ah ecco, va detto, non è un gioco di socialità. Intanto perché lo faccio solo. E poi perché alla fine del gioco rimango fuori da ogni insieme. Però forse se poi concludo una serie xy o xyz di insiemi e non sono in nessuno mi si chiarirà il cerchio di un insieme in cui sto bene con qualcuno. Ma non ne sono sicuro.
Sotto la luna, un festino solitario
Seduto lì tra i fiori, con la brocca di vino -, festino solitario, privo di amici intimi -, elevo il mio boccale e invito il chiar di luna. Insieme all'ombra, poi, saremo in tre, giacché la luna non si negherà al bere. E mentre l'ombra seguirà il mio corpo, intanto, al fianco suo, io scorterò la luna. La via della gaiezza termina a primavera; mentre la luna ondeggia, al mio canto, qua e là. Ed ha un sussulto l'ombra, fremendo, alla mia danza. Da sobri, noi viviamo di una gioia comune; quando poi, nell'ebbrezza, ciascuno si disperde. Noi tre, per sempre uniti, vagando senza affetti, infine, in lontananza, saremo alla Via Lattea.
(trad. di Leonardo Arena, in: Poesia cinese dell'epoca T'ang, cit., p. 52).
http://it.wikipedia.org/wiki/Li_Po
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