Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Che non si accorga dopo anni e colleghi che viene scansata, evitata. Anni e colleghi e a ripetizione una specie di sfinimento. Lei casca dalle nuvole. Anzi. Mentre quelli inventano archibugi che li proiettino altrove, lei, come un masso, sta. Inamovibile e liscia a farsi scivolare il fastidio altrui. E' una cosa misteriosa come possa riuscire questa strana alchimia che annulla i difetti propri. Terribile cecità che non si fa scalfire. Io, ogni giorno, come una goccia verso acido muriatico su una incrostazione della tazza del bagno e la guardo corrodersi di un poco ogni giorno nella speranza che la continuità del poco scalfisca e alla fine corroda definitivamente. Mi sembra, alle volte, che questa disposizione scientifica all'esperimento sia l'unica accessione alla possibilità che le cose possano cambiare. Seppure lentamente.
Sì proprio così c'è scritto in copertina. Giapponese senza sforzo. Sembra un ossimoro. E invece è un pacchetto fai da te per districarsi tra segnacci, sgorbi e astruserie (così per i più) che sono in definitiva uno dei sistemi più calligrafici e complessi di tutti i segni di scrittura mondiali. Senza sforzo suona presa in giro. Ma magari è uno degli innumeri miracoli editoriali come le ricette di 5 minuti, le posizioni dell'amore, riparare la motocicletta, riconoscere i funghi.
Ma la differenza non sta nelle labbra quanto negli occhi. Un po' le mani, un po' le braccia ma soprattutto gli occhi. Esistono baci-ciao e baci-addio. Esistono saluti del mattino che ritornano come un boomerang lanciato in queste prime ore del dopo-risveglio e ritorneranno la sera stessa con un'esattezza aborigena. E baci che lo sperano ma non lo dicono o né lo sperano né lo dicono. Semplicemente ci sono baci che sigillano tanti "per ora" e poi magari basta. E poi ritornano. Ma a sopresa. Senza nessun lancio australiano. Dati come in un "per sempre" che magari accetta ripetizioni. Ma oggi. In questo mattino di motorino. In questo addio dopo la notte dell'amore. Senza sapere cosa altro dire. Esistono baci così, persone così, amori così. Ma anche no.
Di Carvelli (del 04/07/2005 @ 10:26:08, in diario, linkato 1050 volte)
SIAMO LEGATI
Siamo legati dalla miseria della vita. Ci parliamo piegandoci controvento.
Titolo |
Essere magri in Italia. Antologia di racconti bulimici |
Prezzo
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€ 5,00 |
Dati |
63 p., brossura (cur. Morgante D., Armati C.) |
Anno |
2005 |
Editore |
Coniglio Editore |
Collana |
I lemming | Oltre al mio (“Il culo più grande che ho visto”) racconti anoressici di matteo b. bianchi antonella lattanzi rosella postorino michele governatori giò selva daniela gambino francesca genti andrea malabaila genea e fabrizio venerandi.
Scrivevo una mail e dicevo
Cara** sono contento del tuo orgoglio meno di questa precarietà e difficoltà che mi racconti. Come sai io sono un inguaribile ottimista ma della volontà non della realtà...anche se uno sforzo di vederla più bella la realtà non fa male. In tutti i casi vedere bello (migliore di come appare così da lontano) quello che vogliamo è imprescindibile per una sua (felice) realizzazione.
E altre cose. Insomma: ottimismo. Non è una parola di moda e non a torto. Suona male l'ottimismo. Forse perché è (o viene assunto come) indicibile. Dirlo è venir meno a questo principio sotteso. Ottimismo non è parola da dire, da suscitare. Nominarlo è una specie di harakiri. Più o meno deve suonare come un augurio fatto ad un teatrante prima della scena. Non è questione di scaramanzia ma di definizione. Ottimismo non si dice, si pratica. Come una religione. Si deve vedere non si deve dire.
Non ci sarà più lo scalpicciare festoso di comitive improvvisate, le domande frustrate alle ragazze. Gli amori a termine. Le stanze a ore per le fidanzate in trasferta. Il ritorno in caserma col cuore in gola, le furbate, i capanni, le ingiustizie, i nonni, i vecchi. Le case e i fratellini più piccoli. I cinema porno, le lettere scritte ai tuoi. Le telefonate dalle cabine, quelle da un cellulare prestato. I lacci e il grasso per ammorbidire gli anfibi. I baci e i giuramenti. Cose inutili e cose che non capisci per la prima volta nella vita. Il sacco al letto, il cuculo. Le camerate tuttiletti. Chi firma senza lettere, chi estrae un libro dalla mimetica e legge. Chi ha gli occhiali e l'armadietto tuttotette. Chi è più grosso di te e chi è un fuscello. Non ci sarà più una città sconosciuta, da cui non trovare nemmeno una cartolina per dire dove si è. Una regione che non conosci, una paese mai sentito, vicino ad una città di cui non sai nemmeno la sigla. Nemici mascherati da superiori e amici che durano una vita. Non sapere di chi fidarsi. Avere paura, contare i giorni al contrario come se dovessi morire o scappare. La differenza tra serietà e scherzo: incomprensibile e nuova. Tante altre cose non ci saranno e sarà un bene e una male, come sempre. Per dire: non ci sarà più il servizio di leva obbligatorio.
Mi sembra fosse nell’intervista a Valerio Magrelli (in Perdersi a Roma). Si diceva di quanto viga a Roma una sorta di imbarazzo a negare ai pullman l’ingresso nel cuore della città. Aggravo: a Santa Maria Maggiore (se non è Centro poco ci manca, ma poco poco davvero) stazionano fissi ogni mattina i pullman dell’Appian line. Una ditta privata la cui fermata coincide con la nevralgica svolta di macchine dirette verso via Cavour (e quindi la stazione, i fori), via Nazionale. La cosa è ormai data per acquisita e prevede la doppia fila (non esiste una vera fermata dedicata!) o la tripla. Il tutto con gran detrimento del traffico e di bestemmie (che – non per dire – in una città vaticana come la nostra dovrebbero essere imbargate). Spiegami tu Stato italiano… arringava Verdone…
Stamane mi sono svegliato tardi, tramortito e con le unghie sporche di un sapore ferroso di sangue. Per quanto ne so io ieri sera non è successo nulla. Ma potrei anche aver ucciso qualcuno senza essermene accorto. Un cadavere stamattina non c'era. A parte il mio, intendo.
Continuo a portare avanti una indomita e missionaria attività recensoria su BLUE. Le pagine nel frattempo aumentate si chiamano L'INSANO TESTO. E proprio ora mi trovo a ragionare su cose che riguardano il recensire, il silenzio sui libri eccetera. Mentre in edicola c'è una recensione dei nuovi di DANIELA GAMBINO, SANDRO CAMPANI, AMELIE NOTHOMB e ALBERTO RAGNI, presto uscirà una recensione di PERCEBER (LEONARDO COLOMBATI) e una breve sul libro di MILENA BELLIARDO. Ma a prescindere bisognerebbe ragionare sul leggere e recensire. Sul saper formare uno zoccolo duro di commentatori e selezionatori nel poco e spesso gratuito spazio che il latitante interesse dei giornali ci regala. Far conoscere un libro, anche promuovere il libro di un amico ha un suo senso e ancor più lo ha se si ha molto da fare e se questa funzione di talent scout o alla peggio di fratellanza avviene nella penuria degli spazi e dei compensi. Dovrebbe essere un punto d'onore (per come la vedo io) battersi in questo sahara per strappare al silenzio le pagine dei buoni libri. E' una sorta di Fahrenheit 451 molto camuffato questo che ci costringe a gettare una ciambella ai libri (specie a quelli piccoli). Non bisognerebbe accorgersene quando si pubblica e si scopre il silenzio di chi non ti recensisce.
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