Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Questa poesia è di Elisa Biagini ed è tratta da
UOVA
ZONA 1998 - pp.32
Io dormo un sonno di latte che non scade, un sonno da feto, senza rumori forti, un sonno di tutto qui, in cellule, un sonno di cibo già pensato e masticato, con sogni senza carie né colite, con unghie che fioriscono, un sonno di quelli di mezzo, che aspettano si aprano due porte, da astronauti che succhiano anticorpi da buste e da memorie. Lincoln tunnel Hand in hand through the rectum, tiles like a swimming pool, lights like a morgue, no corners in this place just metal bars like the ones for the handicapped flushed away in this coil.
E' tratto dalla raccolta LE PIACEREBBE ESSERE STATO MOZART? e si intitola I MIEI TRE BRAVI POLIZIOTTI. Bichsel, la trama dei cui racconti è spesso un ragionamento, qui si diffonde sul riconoscimento dei poliziotti, sul senso dello spionaggio e del segreto di Stato. Il pensiero è disarmante, limpido, efficace. C'è dentro l'evoluzione di tutto quello che una volta nella vita abbiamo pensato nel vedere persone fare con rigida meticolosità il gioco serio del nulla.
Essere proprietari - o meglio - sentirsi proprietari è spesso un pessimo passaggio per l'attenzione verso le cose pensate o presunte proprie. Succede anche ai sentimenti. Ma, in fondo, cos'è che non succede (anche) ai sentimenti? Bene, c'è di peggio. E il peggio, ad esempio, è che ad una mia amica affittuaria la proprietaria ha fatto divieto (rende meglio l'idea di "ha vietato") di gettare nella tazza (nel bagno, nel cesso....lo scrivo in plurilinguismo per essere certo della comprensione di vossia) la carta igienica. La spiegazione su acque chiare e acque scure (non c'entra nulla Battisti) è fallace: da che mondo è mondo lo scarico del cesso salvo perversioni va nelle acque scure (le acque chiare convogliano i restanti scarichi). L'idea che questa mia amica nel futuro sarà costretta ad usare carta e poi stiparla in un cestino non mi sembra profumata per lei e per gli altri né raffinata per chicchessia. Ma si sa che uno alle proprie cose ci tiene. Forse troppo.
Esistono tipi che... che so...a lavoro...esistono tipi che parlano belli belli in gruppo. Tu li saluti. Due o tre ti risalutano e quello/a altro/a ti guarda e riprende a parlare. E' un particolare tipo di elisione. Un saluto di uno sguardo. Semplicemente questo. Come se fosse sufficiente. Come se bastasse una risposta. Come se il saluto degli altri fosse abbastanza o il suo sguardo chiudesse il cerchio. Poi quelle stesse persone, alle volte, ti vengono a cercare per confermarsi in tutto il loro vuoto (o no), per cancellare l'inconsistenza del loro sopravvivere (o no). Delle volte, insomma, ti tocca pure ascoltare le loro manifestazioni di mamme dimenticate, di mogli deluse, di amanti frustrate, di donne sole, sempre sole, solo sole. O no.
Un bar dell'emiciclo di piazza esedra. Il cameriere rientra nel locale dai tavolini ripetendo quasi in uno slogan ossessivo IO CONTRO I TURISTI IO CONTRO I TURISTI A ROMA IO CONTRO... (non si sente, fuori inquadratura)
Di Carvelli (del 20/10/2005 @ 09:15:19, in diario, linkato 1012 volte)
Di questi tempi abbondano a Roma le cartoline dei papi. Nelle tabaccherie. Fuori dai bar, dalle edicole. L'ingordigia dei turisti è accontentata. C'è il papa vecchio e quello nuovo. Quello vecchio, vecchio e giovane. Quello nuovo, vecchio. I due insieme (uno seduto e l'altro - il nuovo,vecchio - inginocchiato). I due affacciati in due mezze foto che fanno una cartolina. In tutto ne ho contate otto o forse nove. L'indecisione delle cartoline, così si chiamava un racconto di Perdersi a Roma, chissà se soprende i fedeli in una difficile selezione iconografica.
C'è un momento nel cinema, quello in cui le luci si spengono e cala il buio di un attimo, che è uno dei momenti più belli in assoluto. Uno di quelli per cui di sicuro vale il prezzo del biglietto. Gli occhi impiegano qualche secondo per abituarsi e inizia il viaggio della pellicola. Dopo è tutto un confondersi, un lottare per trovare la posizione più comoda delle gambe (non esiste tormento peggiore nei cinema che la poca distanza dallo schienale), uno scansare le teste sovrastanti, trovare l'accordo dei braccioli con il vicino (alle volte è proprio una lotta), sentire il respiro e alle volte l'odore, la vita del vicino. Andare al cinema si dice. Del film si dice o non si dice. Si può o non si può dire. Andare al cinema. Ieri sono andato al cinema. Oggi vado al cinema. Spesso c'è gente che neanche chiede "a vedere cosa?" Ed è una incomprensibile elisione.
Mi è accaduto di pensarci questo finesettimana. A quei gesti di improvvisa confidenza. Gesti che non appoggiano su nessuna familiarità e per questo sorprendono. In certi casi è un fatto di naturalezza tipo quelli (io forse? io forse sì) che ti toccano mentre parlano. Che tu sia sconosciuto o no. O giocare con una cosa tua o prendere in mano una cosa tua. Inopinatamente. Mi è tornato alla mente un vecchio incontro-intervista con uno scrittore che pur non avendomi mai visto, non conoscendomi e avendomi dato appuntamento nella sua casa, nonostante tutto... Mi rendeva la testa tra le sue mani appoggiandomi le palme sulle orecchie per, scherzosamente, non farmi sentire l'indiscrezione politica che diceva ad una suo amico o conoscente o... Fui talmente sorpreso che non mi sorpresi (non feci in tempo a sorprendermi) né ci penso adesso a soprendermi e guardo ad ogni suo nuovo libro come a qualcosa di familiare, pur se da allora non l'ho più rivisto (no - un momento - due volte e una di esse casuale) e non direi mai che ci conosciamo se alla parola diamo tutto il significato che merita.
Una è mangiare. Lo scrivo dopo una fortunata cena da Felice. Fortunata e Felice. Tradendo i miei costumi ho prenotato. Ebbene sì. Ho chiamato e ho riservato un tavolo. E ci sono voluti quasi 38 anni e due o tre falliti tentativi. Il risultato parla da solo. Ma non lo scrivo. troppo complicato scrivere il piacere senza metterci la faccia, le espressioni, la mimica, l'aprire e chiudere delle palpebre.
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