Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La primavera ha la felicità della colazione in giardino. Un rito più lento, distratto e smarginato. Per un tempo che non conta e che non sembra un anno, una stagione, un'occasione.
Oggi vi parlo di un film che ho visto ieri: Les neiges du Kilimandjaro (Le nevi del Kilimangiaro) di Robert Guediguian. Un piccolo film di un regista marsigliese che fa in pratica sempre lo stesso film. Stessi attori, stessa città (Marsiglia appunto), spesso stesso tema. Il film che ho visto ieri (come anticipazione, ma coda di Cannes) è sul tema del conflitto generazionale. I nostri predecessori non ci hanno saputo trasmettere la fatica dell'aver combattuto per degli ideali che ora diamo per scontati o retro. E non sanno capire noi che non ne godiamo né ne godiamo i privilegi nel frattempo evaporati, l'inconciliabilità di quelle lotte con l'inaridimento del contesto sociale ed economico non preventivato. Ma il film è più di questo. C'è una scena assolutamente toccante ed è quando il protagonista in cima a una terrazza con un bicchiere di pastis chiede alla moglie "chissà che cosa avremmo pensato anni fa, ragazzi, se avessimo visto due come noi in cima a una terrazza che bevevano in tranquillità un pastis?". A me questa cosa mi ha un po' commosso anche se non ho capito perché. Né ho capito perché (ma chi mi segue da un po' se ne farà una ragione) tornando a casa ho bevuto un pastis e ho fatto un gesto che si farà ricordare.
Ha pensato a quelle inulili gelosie. Quelle di chi aveva pensato che avrebbe potuto insidiare una loro possibile preda, una specie di oggetto di desideri. Una cosa comunque sgradevole. Ha ripensato a quello strano imbarazzo di loro stesse (prede) che assistevano a tutte quelle schermaglie ma senza orgoglio. Eppure senza dissenso. Ha pensato a quelle faticose e necessarie manovre di tranquillizzazione. Tutto il tempo inutile speso per dissuadere il loro terrore. Gli torna in mente con dispetto e disappunto la parola "competizione".
“Nelle sue fantasie su altri uomini, via via che invecchiava, uomini diversi dal marito, non sognava più l’intimità sessuale, come faceva prima, forse per vendetta, quando era arrabbiata, forse per solitudine, quando era arrabbiato lui, ma sognava solo l’affetto e un profondo senso di comprensione, tenersi per mano e guardarsi negli occhi, spesso in un luogo pubblico come un caffè”. Questo è l’incipit del racconto Tradimento di Lydia Davis tratto da “Creature nel giardino” (brutto titolo) che ho acquistato andando sul sicuro (avevo letto Pezzo a pezzo) insieme a Mavis Gallant (Piccoli naufragi) andando sul sicuro anche qui (ho letto tutto quello che è stato pubblicato sinora). E siccome ho letto anche Doppio Sogno di Arthur Schnitzler (che si può in definitiva sussumere come una specie di exemplum sulla diversità del tradimento maschile e femminile) vi volevo parlare, in definitiva, di tradimenti. O del numero tre. Uno, lei, l’altro (e varianti). Che è anche il tema di uno dei racconti della raccolta della Gallant, intitolato “Sciarpe, sandali e collane” (un passaggio di matrimoni in verità abbastanza allegro). Vi volevo insomma parlare di quando cerchiamo altro da quello che abbiamo. Di quando troviamo (o speriamo di trovare) in qualcun altro quello che non troviamo in chi amiamo. Del fatto di amare qualcuno che non ci riami (e in questo magnificare la nostra libertà di dolerci). Di quando vorremmo essere amati da qualcun altro. Ma in realtà vi voglio solo parlare della felicità che cerchiamo. E di quella che non troviamo. Da cui definirei il tradimento: ricerca di un benessere impossibile. Ma anche questa definizione non mi soddisfa come non soddisfa un tradimento che poi in verità ristabilisce un equilibrio. Insomma. Forse non so bene di che parlare e così mi taccio. E consiglio questi due libri e il classico Doppio sogno.
Approfittando di due piccoli buchi in un viaggio di semilavoro e semifamiglia ho visto le belle mostre di Matisse a Brescia, Mimmo Paladino e Alberto Savinio (mi ha colpito un po' meno) a Milano. Alle volte mi trovo ad ammirare quegli scrittori e pittori (penso ora anche a Morandi) che scrivono sempre lo stesso libro o dipingono lo stesso quadro. Come fosse un'ossessione. Come fosse un accanimento esegetico. Così è Matisse con i suoi nudi femminili anche se il Matisse che amo di più è quello più arabescato tra oriente e occidente. Ma la frase che mi ha colpito e che qui vi riporto è di Savinio e la faccio mia: "Non si è artisti se non si è dilettanti. Se non si supera la parte faticosa dell'arte, se non si arriva al diletto".
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