Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 27/08/2010 @ 08:23:11, in diario, linkato 1332 volte)
In una pausa di lettura di quello che ho letto e di cui presto dirò mi sono imbattuto in questo piccolo ma sorprendente resoconto di vita fuori città. Bello il tono di fondo. Consolante adattamento di un ozio oraziano con filosofia leggera, soffice mai dichiarata. Luisa Pulcher - Il tempo è un albero che cresce (Instar libri).Ci sono alberi - e va da sé - e ci sono fiori, giardini, colture. Due idee mi solleticano. Una - forse deriva mia - che gli uccelli abbiano finito per manifestare tanta difformità di specie in grazia del vantaggio del volo. Volando ci si preserva nella differenza e ci si salva. Volare potrebbe essere la soluzione a tante guerre di terra ma qui non stiamo parlando di guerre, né di ali. Stiamo parlando di uniformità della specie. Volere la difformità vuol dire lasciare il campo della contesa, sollevarsi dal bruto scontro di specie più rapaci di altre. Solo così è possibilie salvare l'individualità, la difformità. Creare nuovi habitat, ricavarli. In un altro passo del libro la Pulcher notando una fioritura anticipata fa una riflessione su come in Natura (e di nuovo viene da pensare a Noi, esseri umani) c'è chi fiorisce prima anticipando di un po' la fioritura altrui. Mi porto via queste due cose. Il libro rimane nella casa in cui era.
Il caffè può essere un caffè qualsiasi, l'ordinazione anche ma quando attendo stretto dall'ansia di chi attende faccio delle mie dita tempesta agitando gli spiccioli che ho in tasca; di sicuro laggiù nel buio di cotone dei calzoni puoi ascoltare teste e croci sovvertirsi e rincorrersi; nell'affollato tintinnio di metallo avvertire l'attrito di ciò che prima era verso ricomporsi in recto e mentre ansia, burrasca diradano in bonaccia al passo della cameriera che appare sospettare tu - il miliardesimo eletto - di avere ritenuto in tasca la direzione e il senso dell'universo intero.
(Pierluigi Cappello, da La misura dell'erba)
E' un po' che non parlo di film e così recupero. Parlando di due film italiani e di altri visti in questo lungo frattempo che non esaurisco qui ma provo. Basilicata coast to coast (clone perfetto in quanto a schema narrativo di Little Miss Sunshine) mi è piaciuto per la freschezza e la piccola non saccente grazia che lo conduce dall'inizio alla fine. Mi commuove e mi sorprende ancor più Dieci inverni che avevo macato a suo tempo e ho visto ieri. Anche per questo film è necessario lodare la leggerezza pensosa di un piccolo dramma che tutti conosciamo (anche se per voi spero non sia così) in confezione durata. E' proprio vero che alle volte l'amore se scende a terra fa la fine dell'albatros di baudelairiana memoria. E' goffo, ingombrante e difficile al volo (alla ripresa del) e non si sarebbe detto certo quando lo si ammirava da sotto in su. Questo fa sì che spesso le grandi storie d'amore non si compongano nella concretezza e finiscano per aleggiare in una sfera ideale da cui nessuno avrà l'ardire di farle scendere - per convenienza, è chiaro. Ma ciò è un male, sia detto a latere. E per non peccare di cinismo o disfattismo. Detto solo per laicità. Nel film di Mieli ci sono due momenti topici da questo punto di vista: un'alba e un tramonto (anche se il vero tramonto è alla fine quando il gabbiano scende e, anche se a fatica, si distingue per qualche passetto magari sgraziato ma vero, reale e ci consegna quella "quadra" - per dirla alla Bossi - che spesso manca per ideologia ai grandi amori). Dicevo due scene: lui (mi preme qui dire che Riondino e la Ragonese sono per me le due più recenti e massime espressioni della recitazione insieme alla Rohrwacher e pochi altri ma ne parleremo), Riondino, guarda lei e dice "se vuole viene lei" attendendo la mossa della ragazza che lo ha rifiutato anche se non forse totalmente convinta. L'altro punto è quando per la prima volta lui si dichiara e non è il giorno adatto se si pensa che è il matrimonio di lei con un altro di cui è incinta e che è pure amico di lui. In queste due scene si gioca l'imperfetta gravità dei grandi sentimenti (rimarcata da lei che gli fa rotolare addosso la frase "adesso è facile" che è a dire perché è impossibile, e perché è detto per rottura più che per composizione. Fortuna vuole che un po' di leggerezza perfetta (anche se percepita come imperfetta ci riappacifica con il fantastico mondo della realtà reale, viva il soviet supremo) dona al film il finale che salva e che riporta all'inizio la storia nella casa in cui doveva succedere già da subito la cosa che succede alla fine. A saperlo (si dice alla vita).
Segnalo anche il bellisimo The box (non fatevi trarre in inganno dal trailer). Un film che nasce dalla fervida immaginazione scritta di Matheson e ben trasposta sullo schermo. E Il piccolo Nicolas e i suoi genitori, un film davvero perfetto, furbo o scaltro che dir si voglia. Un piccolo classico già girato come tale e per questo forse un po' saccentino ma onore al merito di chi ha saputo cimentarsi con un classico (che non ho letto) rendendo il film classico di par suo.
Bicicletta, bambini (tanti bambini, tutti nello stesso posto e ad età diverse: -7, -5, 1 mese, 2 anni...e non era una clinica né un asilo), parlare di cose mie con parole di altri, parlare di altri con parole mie, l'insieme "cose ingestibili", il sottogruppo "cose indigeribili", il sottosottogruppo "cose idealizzate" nel gruppo "cose ideali" (lo scambio pernicioso tra i due gruppi), salire e scendere da un tram che non si ferma del tutto, zucchine (sapore reale e sapore immaginario), un pomeriggio caldo di agosto in una Roma vuota e assolata, più ciliege l'anno prossimo, V.Hugo, Adele H., ricordo di te e del tuo appassionato cinismo, l'ideale e il reale quando non viaggiano insieme, quando viaggiano insieme, quando non viaggiano, essere cauti o incauti, essere freschi, essere, la limonata, la marmellata, la rivoluzione francese, la mia rivoluzione, tu, il canotto, la spiaggia, idealtipo (una parola che vorrei usare non so per dire cosa), il modo in cui certe volte mi ha guardato, uno sguardo vuoto, uno pieno, soffice, sapone, vellutata di verdure, vellutata di qualsiasi cosa, anche di te, la parola "emergenza", la parola "stitichezza" (usata a proposito, come dal farmacista o all'interno di una conversazione), cose a cui ho accennato, altre cose che non ho detto.
Stamattina mi è ritornato in mente Intimacy di Chereau. Non ricordo se il film fosse bello. Certe volte non so neanche che pensare di Chereau. Mi piacciono i suoi film (purtroppo non l'ho mai visto in teatro o in allestimenti) senza che riesca a dirlo non fermezza, nettezza. Ma mi arriva, mi coinvolge, mi dice qualcosa di personale. Come in questo film (e nell'ultimo credo ancora non uscito in italiano). Mi succede spesso con libri o film che stenterei a definire capolavori e che pure vedo e rivedrei molte volte: deve essere questa la versione "oggettiva" dell'aggettivo "personale". Questa che linko è la sequenza finale sulle note di Bowie, The motel. Con il bellissimo verso finale Me exploding you.
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