Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Sarà perché alle volte ci sono parole che suonano bene anche se significano male (o malamente). Millantatore è una di queste. Sarà perché sembra che ci sia dentro mille. O forse è solo il suono delle due elle ma pare allegra. Forse succede il contrario, pure. E così per le persone succede. Sembrano male e invece... C'è una fisiognomica delle lettere?
La divertente vita di un ribelle
Chi è Bebo? Chi è questo strano rivoluzionario che si aggira a Torreverde, una delle tante periferie che galleggiano attorno ai nostri centri urbani? Un millantatore? Un agitatore? Un sognatore? E come pensa di mettere in moto la sua rivoluzione: seducendo commesse di improbabili mercerie, o trascorrendo oziose ore al Bar Libano? Forse Bebo ha un suo piano recondito, una sua trama gentile, un suo progetto sentimentale. Forse Bebo ci assomiglia, forse i suoi piani ci appartengono; forse il cielo al quale tenta l’assalto, è il nostro stesso cielo. Insomma, ecco la storia di un ribelle, o aspirante tale, raccontata con umorismo e ironia.
Stefano Clerici - Scaffale Romano - la Repubblica-Roma 3.09.07
Di Carvelli (del 03/09/2007 @ 09:21:08, in diario, linkato 1185 volte)
Su Queer, inserto culturale domenicale di Liberazione, recensione-intervista di Barbara Romagnoli su La rivoluzione spiegata alle commesse. La leggete qui in versione grafica e di seguito in versione testuale.
Bad boy Bebo, commesso in una merceria e aspirante rivoluzionario, è tornato a farci visita in libreria
B ad boy Bebo, commesso in una merceria e aspirante rivoluzionario, è tornato a farci visita in libreria. Dopo cinque anni dall'uscita di Bebo e altri ribelli (Nonluoghi, 2002), Roberto Carvelli, scrittore e giornalista romano, ha ripreso in mano il suo piccolo eroe di periferia per vedere come si finisce a voler spiegare la rivoluzione a tutti, commesse di via del Corso comprese. Il risultato è un altro bel libro che riprende il titolo dal sottotitolo del precedente ( La rivoluzione spiegata alle commesse ), non proprio romanzo e neanche solo racconti brevi, ma tante narrazioni che si incrociano tra realtà e desideri spesso non realizzati. Una scrittura godibile, lucida e ironica, dissacrante in poche battute e molto divertente nel raffigurare alcune manie mediatiche del nostro tempo. Qui a piangere sangue non sono Madonne ma i nani di Biancaneve che ancora non son stati liberati dal giardino di Zagalot. «Bebo mi è subito venuto in mente come un serial hero. Non un killer ma un personaggetto - uso il diminutivo-vezzeggiativo per prendere immediatamente le distanze dal superomismo che accompagna sovente le figure eroiche nei libri - fuori dal comune e per questo speciale. Il seguito quindi era atteso prima di tutto da me che volevo sapere dove e come andava a finire un eroe per quanto piccolo dei nostri giorni». Così Carvelli spiega il ritorno di questo giovane che vive in una delle tante periferie romane, una Torreverde che non esiste sulle mappe della città ma nei connotati e nelle caratteristiche dei personaggi che la abitano e che rispecchiano il "cuore" di possibili quartieri della capitale. «In anni lontani annunciai subito il seguito del libro attraverso un casting letterario che interpellava precari e "eroi" simili a lui - continua Carvelli -, ma il tempo mi ha sopravanzato e sono esplose le narrazioni sul precariato. Tuttavia le pagine "un po' più disilluse" del seguito del libro sono il frutto di quelle conversazioni, di quelle mail, di quella ricerca». Accanto ai noti compagni del nostro eroe (Zagalot, Stinchi Pirinchi, Doctor You), personaggi improbabili eppure così genuini nella loro quotidianità metropolitana, il mondo di Bebo si popola di altri corpi in cerca di lavoro, forse anche di un po' di amore e di pace se non è troppo "sovversivo" pensarlo. Babbi Natale che lavorano due giorni e diventano quasi ricchi con poco, precari flexotranquilli che come Giada preferiscono non avere la certezza di un contratto e se la godono nel ricominciare sempre da capo. C'è chi ce la fa e chi no, di certo la rivoluzione a cui pensavano Bebo e i suoi amici viaggiando verso la Liguria sembra fallita davvero; c'è chi è finito in carcere e chi come Bebo in esilio volontario. Il ritorno è in incognito, Bebo non è più ben voluto, approfitta della notte per andare nuovamente a Torreverde e fatica a ritrovarsi nel suo vecchio mondo. Che peccato, per chi come lui è sempre stato dell'idea «molto pratica, non teorica, badate bene, che senza la gioia di tutti nessuno può essere felice». Evidentemente non la pensano tutti così e in molti non hanno né voglia né passione da dedicare alla rivoluzione. Mentre per Bebo «la passione è un po' tutto», o almeno lo era. Un sentimento che lo spingeva a parlare con i simpatici avventori del Bar Libano, a ragionare con il suo amico avvocato intellettuale, a scribacchiare in giro per la città un'antologia del dissenso che poi diventa storia orale e resta impressa nelle teste più di tanti programmi politici. Uno slogan per tutti, di quelli riportati nel testo e nella fantasia attribuito al nostro Bebo, è «Lasciamo vivere gli abeti, coloriamo le suore», sicuramente più anticlericale del «manipolo di tipi umani dal nevrotico al maniaco depressivo al paranoico al narciso» che pilotano le rivolte universitarie. Bebo non ha dubbi, a loro preferisce le commesse, considerando che «il mondo dei contestatori è pieno di coglioni». Alla fine della storia - «non è facile uscire bene dalle storie, belle o brutte che siano» - Bebo ci appare un po' spaesato, perso nella contemporaneità "di televisioni satellitari", stufo del disfarsi della politica in "extutto". Di sicuro non andrebbe alle primarie del partito Democratico o di chissà quale altro. Carvelli si chiede «se voterebbe ancora» o «se scapperebbe, andando in un altrove più agreste o occidentale. Se intraprenderebbe un viaggio senza ritorno a caccia di origini e di italianità di primo esodo». Chissà, il futuro è aperto anche se c'è disillusione in giro. «Ci sono attese deluse e grandi questioni irrisolte. Ripeterle ci farebbe solo del male, mentre può fare del bene pensare che se anche qualcuno prima di noi o attorno a noi ha sbagliato forse noi possiamo evitare di ripetere quegli errori e chiedere a chi per noi di non ricaderci». Conclude Carvelli: «la domanda è se tutto questo possa e debba ancora passare per organizzazioni o organismi che quegli errori hanno contenuto. Nel dubbio penso che bisogna fare. Ogni giorno».
Roberto Carvelli "La rivoluzione spiegata alle commesse" Coniglio Editore pp. 212, euro 13
02/09/2007
Nell'intervista faccio riferimento al progetto del seguito di Bebo, il casting letterario dei precari di cui parlo in questa intervista a Francesca De Sanctis su l'Unità del 22 febbraio del 2003 e di cui scriveva criticamente Roberto Carnero su l'Avvenire negli stessi giorni.
AGITATORI E PRECARI, RACCONTATE LE VOSTRE STORIE… ENTRERETE IN UN ROMANZO Siete dei precari? Vi considerate degli agitatori? Avete voglia di raccontare la vostra storia? E di diventare protagonisti di un romanzo? Se avete risposto sì a tutte queste domande, allora esiste un progetto che circola in rete fatto apposta per voi: un “Casting letterario”. L’idea è di Roberto Carvelli, giovane scrittore alle prese con il seguito del suo primo romanzo: Bebo e altri ribelli. La rivoluzione spiegata alle commesse (Nonluoghi libere edizioni). Cosa c’entra con il casting? C’entra eccome, perché il progetto lanciato sul sito www.nonluoghi.org potrà considerarsi concluso quando sarà pubblicato il seguito delle avventure di Bad Boy Bebo, previsto per la fine del 2003. Ma andiamo con ordine. Il sito di Nonluoghi libere edizioni sta raccogliendo le storie, scritti di persone che poi diventeranno i personaggi di una sezione del libro: “Precari ed Agitatori”. Perché un casting letterario si può fare, soprattutto se l’intenzione è quella di “confrontarsi con il reale, creare un romanzo civile”, spiega Roberto Carvelli. Così saranno le storie di precariato, di sopraffazione nel mondo del lavoro e di mobbing a popolare il prossimo libro di Carvelli. Nel frattempo, ci spiega l’autore, il casting procede: “Le storie possono essere inviate all’indirizzo di posta elettronica Roberto@carvelli.it . Poi ci sarò io stesso ad informare il pubblico su come procede il lavoro raccontando le storie dalle trasmissioni di Radio K Centrale, a Bologna”. “La particolarità del progetto – continua Roberto – sta nel documentare tutto chiaramente. L’invito è quello di creare una sorta di girone infernale di persone che cercano di reagire. Ci sono tante storie da raccontare. Posso citare l’esempio di un gruppo di persone che alle porte di Roma ha iniziato a coltivare spontaneamente delle terre abbandonate, oppure il caso di una persona che ha cambiato otto lavori nel giro di poco tempo (da segretaria a commessa, dal supermercato all’azienda Ducati), o ancora l’esperienza della comunità di Monte Peglia (nella Marche) che vive alla stato naturale”. Chiaramente il casting letterario diventerà solo una sezione del libro. Ci sarà, infatti, una trama e un protagonista che rimane Bebo. Nel primo volume lo abbiamo lasciato mentre scriveva letere al Doctor, arrestato per banda armata dopo la manifestazione: Bebo è un giovane disilluso, offeso dalla politica e dalla storia, un ragazzo in fuga dal presente ma con un forte sentimento di ribellione, agitazione mal espressa che trova una guida, un Maestro, il Doctor, in una borgata alle porte di Roma. Nel seguito, che è ancora in formazione, Bebo dopo la marcia finale e dopo aver perso il Doctor, inizia a cercare persone precarie ed agitatori, altri esempi di identità rivoluzionaria”. Nel romanzo ci sarà anche la sezione “Storie di nomadismo sentimentale”, dove gli agitatori sono le coppie mascherate che si fanno riprendere dalle telecamere delle banche mentre fanno l’amore. Lo scopo di tutto questo? Ce lo dice Carvelli: “Voglio creare un romanzo civile: troppo spesso nella narrativa mancano personaggi veri, marchi autentici”. Francesca De Sanctis – l’Unità – 22 febbraio 2003
Di Carvelli (del 31/08/2007 @ 10:49:02, in diario, linkato 3832 volte)
Nella relativa quiete che caratterizza la politica nel mese di agosto, quando presidenti, ministri, parlamentari sono in vacanza, emergono per lo più, sui giornali, sia tematiche futili adatte a riempire le pagine senza provocare danni, sia le questioni di lunga durata, che non perdono la loro attualità e a cui quindi si può ritornare sicuri di suscitare qualche interesse. Di questo ultimo genere sembra essere, nei giornali europei, la ripresa della polemica su Chavez e i regimi «populisti» latino-americani. Si è fatto, dapprima, un gran parlare della «chiusura» di una televisione privata venezuelana, decisa dal governo in perfetta osservanza delle leggi vigenti; più di recente della intenzione di Chavez di cambiare il nome di Caracas, per riprendere quello più antico e di origine indigena; della sua decisione di cambiare l'ora legale venezuelana in modo da usufruire meglio della luce del giorno risparmiando energia; e infine, della progettata modifica della costituzione che dovrebbe permettere a Chavez di essere rieletto oltre i limiti attualmente fissati al numero di mandati. A proposito di quest'ultimo punto, c'è stato chi ha fatto osservare che gli Stati uniti sono stati governati in questi ultimi anni sempre dai membri di una stessa famiglia, quella dei Bush, a cui minaccia di sostituirsi un'altra «dinastia», quella di Bill Clinton e della sua signora, probabile nuovo presidente dopo le prossime elezioni, verosimilmente votata, come sempre, da meno di un quarto della popolazione statunitense, data la bassa percentuale di elettori che abitualmente partecipano alle votazioni presidenziali. Con la differenza, a favore di Chavez, che la costituzione venezuelana prevede la possibilità di revocare il presidente in corso di mandato con un referendum popolare; se negli Usa esistesse una possibilità del genere, George W. sarebbe già a casa da tempo. Ma il punto è che, secondo uno schema ben consolidato nella opinione pubblica «democratica» dell'Occidente, in vari modi orientata dai cospicui finanziamenti della Cia e di organismi analoghi, ogni mossa dei governi «canaglia» che mettono in discussione l'egemonia economica, ideologica, persino «morale» degli Usa, viene utilizzata per mettere in guardia la gente dal pericolo che nel mondo latino-americano si consolidi una qualche forma di socialismo capace di resistere alla espansione del modello «democratico» americano (in Italia lo scriviamo con la K, ameriKano: sarebbe bene adottare la grafia dovunque, in modo da sottolineare la sua specificità negativa...). In vista di questa espansione, gli Usa adottano sia la via delle armi, bombardando Iraq, Afghanistan e simili in nome del diritto naturale di quei popoli ad avere la democrazia; sia la via della persuasione mediatica, pretendendo che dovunque non ci siano campagne elettorali destinate a far vincere chi ha raccolto più soldi (è il caso di Mrs Clinton, come si sa) regni un populismo in cui le masse sarebbero manovrate da dittatori senza scrupoli. Ciò che nella mentalità «occidentalista» che domina largamente la stampa e i media nordamericani ed europei è l'assoluta incomprensione, non innocente, di ciò che paesi come il Venezuela di Chavez, la Bolivia di Morales, e prima la Cuba di Castro stanno cercando di fare per instaurare regimi democratici liberi dal ricatto dei poteri economici, interni e internazionali. Non credo che sia possibile far credere a un elettore italiano, o francese, o anche nordamericano, che il sistema elettorale dei loro rispettivi paesi - con liste decise dalle burocrazie dei partiti, e assoggettate fin dall'inizio e fino all'esito elettorale ultimo, al potere del denaro che partiti e candidati riescono a gettare nella campagna - dia maggiori garanzie liberali e democratiche del modo in cui, a Cuba come in Venezuela, le liste dei candidati vengono costruite in base alle scelte di comitati di base che discutono e decidono spesso pubblicamente, dunque con qualche rischio di pressioni personali e di gruppo, ma sempre secondo una logica piuttosto politica che economica e, in definitiva, aperta a ogni corruzione. Si può non desiderare di importare nei nostri paesi costituzioni di tipo venezuelano o cubano; ma è molto irragionevole, anche da parte dei difensori della democrazia di tipo occidentale, non rendersi conto che proprio i nostri regimi pretesamente democratici stanno soffocando nel crescente disinteresse degli elettori per la partecipazione politica, e nella generale rassegnazione a vivere dentro i confini di una «compatibilità» (con le esigenze dell'impero americano, con le regole del libero mercato...) che minacciano di condurci in breve all'autoritarismo dei controlli generalizzati (anche qui, Bush insegna), all'esaurimento delle risorse planetarie, e alla guerra infinita contro un terrorismo che si nutre proprio dei suoi disastrosi «danni collaterali». Se si legge un teorico politico come Roberto Mangabeira Unger, certo non sospetto di antiamericanismo visto che è stato a lungo professore a Harvard, ci si rende conto che anche per il funzionamento di una democrazia formale come la nostra, occorre una presenza efficace di organismi di base molto più simili ai comitati di quartiere e alle misiones di Chavez che non alle nostre sempre più inesistenti sezioni di partito. Nel linguaggio del socialismo delle origini, questi organismi si chiamavano soviet. Un termine che non si può più adoperare, e certo per buone ragioni. Ma non sarebbe il caso di ripensare in modo meno settario, e con altre parole, al suo significato?
Di Carvelli (del 30/08/2007 @ 11:58:17, in diario, linkato 1332 volte)
E' un po' che l'ascolto per radio. Questo è un gruppo palermitano davvero interessante: The Second Grace. La metto così l'ascoltate con me.
Che giorno è oggi? Mi chiedi. Ti dico un numero, parole che so che mi richiederai. Eccomi ridotto ad essere il tuo calendario. Il calendario dei tuoi giorni tutti uguali.
Ecco. Sto scrivendo. Per la prima volta scrivo qualcosa che non so cosa sia. E' la mia vita dico con un po' di presunzione ma poi penso "è la mia morte". Forse bisogna scrivere così: della fine e fino alla fine. Riassumo in breve quello che ci siamo detti con una collega (si è colleghi con gli scrittori e soprattutto si è scrittori? esiste l'insieme "scrittori" o c'è l'insieme "libri" e basta?) in un particolare stato di grazia. Succede alle volte che tutto ti parla dentro, tutto ti scrive dentro. Io faccio crostate (chi mi conosce sa che non è una metafora) io faccio crostate, dicevo, a volte sono troppo burrose (ne faccio una parte sempre per una persona che ha pochi denti e non riuscirebbe altrimenti a masticarle), a volte troppo dure (finisce che le mangiano altri), a volte asciutte, a volte...Io faccio crostate che la gente le mangia e dice "anche se io ci avrei messo un po' più...un po' meno...". Io faccio crostate e la gente se le mangia. Ecco: faccio crostate per me e per gli altri.
Di Carvelli (del 29/08/2007 @ 10:35:07, in diario, linkato 1328 volte)
Intanto ho aggiornato i taccuini. A volte lo faccio. Altre volte continuo a vedere i cataloghi dei vestiti e noto che la modella è sempre la stessa. Non sempre è così facile da stabilire ma il gioco è: guardate quanto un diverso vestito e un'acconciatura e un cappello e una sciarpa vi possono rendere diversa. Essere diversa è il sogno di chiunque. Anche di un uomo. Anche di un bambino. I nomi sono belli, forse c'è un pensiero e il pensiero è un pensiero un po' combinatorio. Per questo mi piacciono questi nomi anche se i nomi dei capi sembrano a volte di macchine...avete presente? Ulite, Martora, Marzia, Orma, Limatura, Altero, Stasi, Ligure...
Di Carvelli (del 28/08/2007 @ 17:15:07, in diario, linkato 1395 volte)
Sono famoso per questa cosa che mi piace accompagnare amiche a vedere i vestiti da donna, accompagnare loro a comprare vestiti. Mi piace le commesse che siavvicinano loro facendo domande personali (molto personali che da noi maschietti non si userebbero). Mi piace come piacerebbe ad un giovane bambino truffauttiano così avvinto dall'edulcorato mondo femminile. Mi sento rapito da quello che succede tra i camerini e le stampelle, vorrei sbucare sotto il camerino e shhhhh ci sono anch'io mi fai stare qui, mi nascondi e me ne sto lì buono a dire ti sta bene, prova quello bianco. Brodo di giuggiole è l'espressione che usano altri. Brodo di giuggiole. Oggi ho rubato il catalogo di maxmara e ho guardatol e modelle e il nome dei capi del prossimo anno. Si chiameranno così i vestiti: occupare, utenza, fiordo, odoroso, asti, ugola, osteria, livio, stizza, safena, ostento, martora, origine, siepe, serio, aronne, liocorno, binario...Mi piace il vocabolario della prossima donnatargatamaxmara...si dice così no?
Di Carvelli (del 28/08/2007 @ 14:55:00, in diario, linkato 1454 volte)
"Sei una favola". Non so se si dice anche altrove. A Roma sì: sei una favola. In pratica credo che...beh si capisce cosa vuole dire il detto. Ma mi è accaduto davvero di aver conosciuto una ragazza e aver pensato "è una favola" (mai avrei avuto il coraggio di dirglielo "sei una favola")...e così le ho detto "credo di averti letto già da qualche parte" e mi sono fermato. Cioè mi è scappato: volevo dire che era un elfo, un troll. Volevo dire che era colorata e si poteva nascondere ovunque perché era ovunque. Così mi sono stato zitto e ho aspettato che uscisse una magia. Che è uscita. A volte le persone sono così: sulle nostre piste le ha messe la mano insondabile di un artefice di racconti senza tempo e senza luogo. Peccato che qui tutto ha un tempo e un luogo. E finisce che...non ci s'incontra per più di un tot di volte come non ci si bagna nella stessa acqua. Ed è triste? Boh forse no.
Di Carvelli (del 28/08/2007 @ 10:54:04, in diario, linkato 1288 volte)
Non è disfattismo dire che il sonno è la migliore cura e che nel dormire si compie una felice trasformazione. Piuttosto è grave pensare che le tante ore che passiamo incoscienti siano ore inutili. Disfattista sì, quella idea. Che mezza vita sia da pensare una zona morta, un angolo per quanto rigenerativo di niente in mezzo al tanto (o al tutto) della veglia. Eppure succede, di pensare così: al sonno come ad una perdita di tempo. Ed è piuttosto una sconfitta. Delle cose belle che ricordo stamane una sta nel sonno e che non succeda, che non sia successa e mai succederà poco m'importa. Spesso le cose che succedono non sono così autenticamente belle come quelle che succedono in sogno (o nell'immaginazione). E con questo non voglio eternare l'immobilismo, il non reale, l'immaginario. E' solo che c'è un tempo da spendere bene ed è quello che sembra obbligatorio o necessario (a volte bisognoso) del dormire. Che duri 15 minuti o 10 ore. E vale la pena viverselo a pieno.
Di Carvelli (del 27/08/2007 @ 10:49:59, in diario, linkato 4396 volte)
Ne ho già parlato ma finalmente trovo il link a questa intervista pubblicata su La Stampa questa estate. Rileggo: rinorridisco. Spero di non essere il solo. Leggetela completa qui.
Io segnalo solo il suo brillante inizio: prima domanda di Giacomo Galeazzi e prima risposta di Vittorio Messori.
Vittorio Messori, lei è coautore di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger: qual è, da ascoltato frequentatore dei Sacri Palazzi, la sua idea sugli scandali sessuali nella Chiesa dopo gli ultimi casi giudiziari di don Gelmini e dei sacerdoti ricattati a Torino? «Un uomo di Chiesa fa del bene e talvolta cade in tentazione? E allora? Se fosse così per don Pierino Gelmini, se ogni tanto avesse toccato qualche ragazzo ma di questi ragazzi ne avesse salvati migliaia, e allora? La Chiesa ha beatificato un prete denunciato a ripetizione perché ai giardini pubblici si mostrava nudo alle mamme. Queste storie sono il riconoscimento della debolezza umana che fa parte della grandezza del Vangelo. Gesù dice di non essere venuto per i sani, ma per i peccatori. E’ il realismo della Chiesa: c’è chi non si sa fermare davanti agli spaghetti all’amatriciana, chi non sa esimersi dal fare il puttaniere e chi, senza averlo cercato, ha pulsioni omosessuali. E poi su quali basi la giustizia umana santifica l’omosessualità e demonizza la pedofilia? Chi stabilisce la norma e la soglia d’età?»
...Padre, ho molto peccato...
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