Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Grande numero di MUSICA di Repubblica oggi con confronto di Filippo la Porta tra Kureishi (aridanghe!) e Yoshimoto. Vi levo la suspance, vince Hanif sia pur di poco. Vince. Altrove articolo su Giallo Wave e opinioni di cantautori sulla narrativa di genere. Approvo Pacifico che invita lla lettura di Solea di Izzo anche se gli preferisco Casino totale. Il Mio amato Roy Paci (Rrrroy) pende per un più large public Lucarelli. E sia!
Mi fa molto pensare la rivalutazione in toto degli anni Ottanta. Radio insospettabilmente dedite a migliaia di neghittosità al presente esercitarsi al passato in un esercizio di rivalutazioni o ri-cultualizzazioni di brani pop già castrati anni prima. E allora eccoli i “bellissimi” (dicono questi dj trasformisti) duran duran, gli spandau ballet ecc. E’ fin troppo naturale chiedersi che destino subiscono brani musicali di stesso tenore pop ma sfortunata contemporaneità.
“Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o di gioia.
Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, e di esprimere il loro disprezzo per chi pensa che congegni del genere siano necessari.”
Kurt Vonnegut – Mattatoio n.5 (1966)
Sob non andrò (lavoro!) sarebbe stato un bel regalo di compleanno...se qualcuno sa ulteriori appuntamenti lo dica! Mercoledì 14 gennaio alle 15 presso l'Aula 18 della Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre (via Ostiense 234) incontro con Hanif Kureishi, l'autore di Budda nelle periferie e di Love in a Blue Time. Info: veraldi@uniroma3.it
Capisci quanto chi vive in un altro paese abbia bisogno di integrarsi anche se fa parte di una comunità autosufficiente e integrata. Di quanto parlare il dialetto slang possa diventare da un bisogno di appartenenza un'estremizzazione della paura di essere escluso da una comunità. Che in genere chi rimane in un posto è perché lo ama e che ama chi ci vive. Che fare amicizia è la cosa più naturale del mondo. Che le tante differenze non riusciranno mai del tutto a farci sentire separati dal resto dell’umanità e che se ci sentiamo marziani forse abbiamo dimenticato le nostre origini e rischiamo di riscoprirle nel modo più doloroso possibile.
Giovani E’ un film che descrive una ellisse tra due dolori. Due, di due persone. Avvicinandoli a capo e a fine del film. Giovani è un’opera prima girata in uno stile personale e dando preferenza alla macchina a spalla, al pedinamento da Luca e Marco Mazzieri. Preferendo primi piani ai campi lunghi come si compete ad un film di psicologia. Film introflesso a cui non si può però rimproverare la non adesione al reale né l’incapacità di raccontare le storie. Al di là della Sastri, di Wertmuller, della Pozzi si devono ammirare i due attori giovani, naturali, intensi (ma ben diretti prima di tutto).
Ancora cinema e ancora neve. Ancora con D. Una specie di coazione a ripetere. Una filmografia, un minifestival trasversale. Forse è una ricerca o forse un bisogno. Di certo entro nervoso ed esco pacificato, sereno, Il film Nòi Albinòi è un film islandese, cinematografia risaputa di neve. Un filone e noi lo seguiamo. Bello o non bello ripeto un film di pace. Un po’ opportunisticamente mi accontento. Di entrare scosso ed uscire quieto. Nòi è un ragazzo che aspetta con indolenza la fine. Nel mentre cerca di fare il meno possibile. A scuola, a casa, al lavoro (nelle rare occasioni). E' la scelta di una assenza.
Comprato Gottfried Benn “Aprèslude” (Einaudi). Nella IV di copertina leggo che è libro di fine carriera per Benn che scrive ad un critico “Conoscerà il coraggio dei vecchi pugili che si costringe ancora una volta a calcare il centro del ring in vece di vivere dei propri interessi o di aprire un bar.” L’ultima poesia, quella che chiude la raccolta e che le dà il titolo dice così:
"durare, aspettare, concedersi,
oscurarsi, invecchiare, apréslude."
Mi scappano le lettere, quelle al direttore, o altra eminenza grigia gravitante attorno ad una testata. Chi ha frequentato o frequenta i giornali sa perché. Non si può generalizzare ma spesso si tratta di lavoro subappaltato a giovani giornalisti tutto sommato pure un po’ ammaliati un po’ rosikelli delle manie di grandezza dei tenutari della legittima. Indi, le salto a piedi pari. Salvo, time ago, avevo pensato di scrivere con una certa continuità a questi suddetti, ponendo questioni. Sarebbe stata un’intimazione di marca letteraria o qualcosa del genere. Intanto le salto. Salvo ieri. Aprendo lo Specchio de La Stampa sono rimasto colpito dal titolo
Il messaggio di Dogville. Risponde la Lietta Tornabuoni, uno dei critici cinematografici più prestigiosi e stimati delle pagine spettacoli dei nostri quotidiani. Il titolo della lettera è la lettera. La risposta: “Mi sembra che Dogville comunichi due specie di messaggi. Il primo è quello del suo stile, di un cinema senza ostentazioni né sprechi, quasi povero ma ricco di emozioni forti.” E fin qui… Poi: “Il secondo non è esattamente un messaggio, piuttosto la constatazione di quanto possa essere violenta la sopraffazione esercitata sui più deboli e disarmati, di come la convenienza del più forte possa trasformare le vittime in colpevoli. Spesso purtroppo, non sempre fortunatamente, questa è la realtà.” Appunto. La realtà. Che dire. Io sapevo poco a vederlo ma non ho avuto dubbi uscendo che fosse un film anti-americano. E ho visto almeno due anti-americhe. Quella piccola, della piccola America (c’è!) che si difende dall’esterno/interno aggredendolo, vittimizzandolo (sì). Insomma razzismo e propaggini, moralismo e dintorni. E quella grande che l’esterno lo aggredisce e tutto è sotto gli occhi di tutti. Così, senza saperne nulla. Solo per aver capito che in quel Dog(ville) c’era già una matrice etimologica. –Ville. E –dog. Ma poi io ho amici informati e mi dicono Lars avercela a piene mani con gli USA (la stessa scelta della Kidman, reduce dall’americanissima visione di Kubrick e qui bravissima (come sempre e come non mai), ahilei incazzata con Lars!), di aver fatto dichiarazioni in questo senso, addirittura preannunciando Tri o tetra(non ricordo)logia. E allora? Che succede? Ho amici di deriva sinistra? Che poi sì, è vero. O peggio i critici (alcuni) tendono a censurare messaggi scomodi? Non va più di moda il giornalismo militante? Cioè a parole sì: uno si dice militante e alla fine ha una specie di passaporto/lasciapassare per gli errori. Insomma, militanti a ritroso, militanti retroattivi. Il punto non è che la critica sia sbagliata, non lo è. Il punto è l’informazione: perché non far sapere il progetto, il pensiero dell’artista? Addolcire o annacquare tutto? Credo sia fortemente in contrasto con al poetica di Lars Von Trier e mi dispiace per chi legge.
Vi ricordate? FESSO CHI LEGGE.
Ho rivisto da poco CANICOLA, un film che avevo già visto al cinema e che con LA VILLE EST TRANQUILLE mi sembra meglio aver interpretato la contemporaneità in versione calorosa...scappo...aggiungerò ...
Ecco... Che dire Canicola è un film che potrebbe essere stato girato a Latina o in qualche provincia del Nord Est. Insomma è un film universale. Pieno di bellezza. Supermercati. Piccola e grande follia. Sentimenti e casualità. Fissazioni. Allarmi. Tradimenti. Amore. Credo che debba formare una piccola filmografia sul presente di cui sarà bene non dire solo… mi piace/non mi piace… è arte/non lo è… è morale/amorale. Sono termini di questione che secondo me svincolano anche scrittori come Houellebecq.
Di Carvelli (del 10/01/2004 @ 11:26:05, in diario, linkato 1859 volte)
Ieri rapporto Worldwatch Institute su USA e Europa (letto sul Corriere della Sera). Le spese: 18 miliardi in cosmetici, 17 miliardi in cibo per animali domestici, 15 miliardi in profumi, 14 miliardi crociere, 11 miliardi gelati. Le necessità: 12 miliardi per cure mediche su donne incinte, 19 miliardi per eliminare fame e malnutrizione, 5 per alfabetizzare tutto il mondo. Non credo ci sia molto da aggiungere. A me risuomano nella mente le parole di Etain Addey, mia amica, bioregionalista, autrice di un libro splendido che sarebbe da imporre più che da consigliare. I suoi diari di Pratale, al piccola comunità umbra in cui vive e ospita per poco: Una gioia silenziosa (editore Ellin Selae). Lei è chiara: si tratta di fare sacrifici, di consumare meno, di rinunciare. Nessuno ve lo potrà dire, nessuno ve lo dirà ma il punto è quello: spendere meno per mantenere quello che è poco (e che sarà sempre meno). Abituarsi a non avere tutto quello che vogliamo nel momento esatto in cui lo desideriamo, invece di andare e comprarlo. Ma tutto questo corrode un sistema che si basa sull’esatto contrario: creare un bisogno immediato affinché. Credo che l’educazione ai consumi, più che boicottaggi che pure condivido (vedi l’Ostile), ci salverà.
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