Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Sto leggendo un Murakami (Haruki), forse non un suo migliore ma uno che mi mancava: After dark. Al di là del giudizio personale su questo scrittore giapponese che è un piccolo culto trasversale con un fronte pop sicuramente inviso a molti. Al di là dicevo la sua forza, la forza della sua scrittura risiede nella capacità dialogica. Una spinta tutta interna che muove domande, semplici e universali. Alcune di queste domande ci piacerebbe formularle o sentirle lanciate verso di noi. E non si sa se è che non crediamo che nessuno ce le possa rivolgere o se pensiamo di non essere in grado (non dico "capaci") di rispondere o di credere che possano essere formulate. C'è una ingenuità dietro tutto questo ma è un'ingenuità che fa bene. MI puoi aiutare? Posso fare qualcosa per te? Ti senti triste? Vuoi che ti faccia compagnia? Vuoi rimanere qui?
Due
Lascio la camera com'era quando era nei tuoi occhi, incontrarti è il sapore che trattengo nel sorso di caffé.
Tra il piacere e quel che resta del piacere il mio corpo sta come un posto dove si piange perché non c'è nessuno.
Un giorno settembre era limpido e ventoso il silenzio ammutoliva, la terra tornava al cielo.
Pierluigi Cappello da Mandate a dire all'imperatore
1 L'altroieri ho visto Poetry e mi è piaciuto. Mi piacciono quei film dove l'attesa del finale, quasi per distrazione, è procrastinata, rallentata e delusa. Mi piace anche nei libri. Quel mancare alle attese (di chi attende) per dire altro, per costringere chi vede o legge a pensare ad altro. Spesso nel fare questa scelta c'è talento. O coraggio, almeno.
2 Ieri ho ascoltato i due racconti di Michele Mari a Massenzio. Più bello il primo. In Mari non c'è intellettualismo, erudizione fini a loro stessi. C'è la capacità mitopoietica di lavorare su figure un passo distanti dal nostro mondo (anche questo senza artificio ma con una congruità - se riesce - che è efficace). In questo scarto verso l'opera c'è l'effetto felice di un viaggio fuori di noi (che spesso poi mostra la trama del dentro di noi - questo intendo per mitopoietica).
Amo il bianco tra le parole, il loro margine ardente, amo quando taci e quando riprendi a parlare, amo la parola che galleggia solitaria sullo specchio buio del vocabolario, e quando sborda, va alla deriva con deciso smarrimento, quando si oscura e quando si spezza, si fa ombra. Quando veste il mondo, quando lo rivela, quando fa mappa, quando fa destino. Amo quando è imminente e quando si schianta. quando è straniera, quando straniera sono io nella sua ipotetica terra, amo quello che resta, dopo la parola detta, non detta. E quando è proibita e pronunciata lo stesso, quando si cerca e si vela, quando si sposa e quando è realtà dei muri e quando sfracellarsi al suolo, quando scorre candida e corre per prima a bere, e quando preme alla gola, spinge all'aperto, quando è presa a prestito, quando mi impresta al discorso dell'altro, quando mi abbandona. Non voglio una parola di troppo, voglio un silenzio a dirotto, non un commercio tra mutezza e voce, ma una breccia, una ferita che allarga luce, un sottosuolo della musica. Dammi un amore che precipita - parola.
Anni fa era più facile uscire con me. Uno chiamava e io c'ero. Tutto era più semplice anni fa, anche per me. Si trattava di mettre insieme ore e giornate. Un'operazione tutto sommato semplice. Che sapevo fare con un colcolo a mente che raramente sbagliavo. Ora è tutto diverso. Ora, anche per me, si tratta di organizzare tanti pieni. E anche tanti vuoti. Tutto richiede oggi un'aritmetica più complessa, funzioni, proporzioni. Deve essere così per tutto. Anche per uscire. Come per la scienza. Come per gli scacchi. E anche un po' per l'alimentazione.
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