Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Si mettono nella buca delle lettere per traverso o per dritto. Forse si bagnano se le cose vanno male, se sono ingombranti, se il tempo è brutto e tu sei distante da casa. La busta si apre e c'è da decidere se leggere subito o dopo un po'. E' bello se c'è una frase per te: non è un errore quel libro ma anzi ti stava cercando per raccontarti di dove sono ora le parole di chi hai letto e amato. Così è arrivato il nuovo libro di poesie di Claudio Damiani, prima del mio nuovo indirizzo, prima dell'abbandono. Ed ecco le prime parole che mi dicono:
"Forse non ti dovevo toccare/ non dovevo venire/ a infastidirti./ Dovevo lasciarti come eri/ dieci anni fa, con i capelli corti/ con la tua cinquecentina/ o come sei adesso, donna matura, saggia/ o come sarai fra dieci anni,/ dovevo lasciarti come eri/ come sei, con il tuo mondo nitido/ serio e vero, col tuo coraggio chiaro/ e la tua fede."
Pensa che tu dovresti essere un po' santo e un po' malfattore, che dovresti avere due bei mustacchi e il mantello di zorro. Saltare da un balcone a terra e viceversa. Per lei dovresti essere un amante infaticabile ma anche un sostegno su cui contare. Ogni tanto si dovrebbe capire un disinteresse per le cose materiali. Ogni tanto no. E la sicurezza del semplice fatto reale dovrebbe illuminare ogni cosa. Semplicemente, appunto. Dovresti essere in fila e poi muoverti senza ordine. Concreto ed evanescente. Sollecito e calmo. Attento ma anche un po' distratto. Pronto e paziente. Smanioso e quieto. Come un ossimoro dovresti essere questo e quello. Magari non nella stessa successione temporale che hai pensato tu.
Che tu lo faccia o che non lo faccia guardi il prato come una testa da tosare. Tutto dipende dal tempo che hai. Dalla passione e dalla resistenza. Ma anche l'amore per l'incolto, per il trasandato. Per il lasciare che le cose vadano come sempre sono andate. Tagli o guardi crescere l'erba? Raccogli o non raccogli l'erba? La lasci seccare tra i fili non tagliati? Ti adagi su un tappeto fresco o a un granaio?
Non sono sempre facili i bilanci. Tirare un riga e mettere insieme quello che c'è non dà mai risposte solo confortanti. E' più facile scegliere e tenere fuori dalla conta quello che non dà profitto, i dubbi, le cose non risolte. Altrove la terra del riporto, il non conteggiato, fa colline, poi slavine. Ma non subito. Dopo. Per ora poco con poco sommo.
Di Carvelli (del 18/05/2006 @ 14:27:27, in diario, linkato 1174 volte)
Ieri su un cancello di una villetta (continuo la saga della residenzialità) ho letto un cartello dove alla consueta attenzione al cane si aggiungeva il rischio del padrone. Il cartello era giallo con disegni e scritte nere. Il cartello diceva ATTENTI AL CANE (con disegno della testa di un doberman-n) E AL SUO PADRONE (con disegno di una pistola). Non riesco a fare altre considerazioni a parte riportare un brano di Erri De Luca che lessi su il manifesto. Questo:
Nell'imitazione dello stile di vita americano siamo i primi al mondo. Abbiamo importato qualunque prodotto, dalle basi nucleari alla festa di Halloween. Era maturo il tempo di adottare anche il suggestivo diritto di sparare a vista. Con la nuova legge pero' abbiamo superato il maestro. Come e' accaduto ieri a Castelnuovo del Garda. Sono un consumatore di svariate merci made in Usa, una per tutte i telefilm del tenente Colombo. Ho amato il cinema e la letteratura americana. Rinuncio a comprendere la loro idolatria della proprieta' privata che arriva a concedere il diritto di ammazzare chi viola un domicilio. Riconosco il diritto di difendersi in casi di aggressione, in strada o in casa. Lo riconosco all'Iraq e lo riconosco a qualunque cittadino. Esiste il diritto alla legittima difesa. Ammetto la detenzione di un'arma da fuoco in casa, se questo serve a sentirsi piu' sicuro. Ma sparare e' l'ultima cosa da fare, l'ultimo uso di quell'arnese. L'arma atomica e' servita a mantenere a lungo un equilibrio tra minacce contrapposte, il suo uso era esattamente quello, puntare senza premere il grilletto. Cosi' un'arma in casa serve da minaccia, puo' arrivare aun colpo in aria, ma per sparare addosso ci vogliono ragioni da guerra. Era sana e giusta la legge che richiedeva schiaccianti circostanze di pericolo per esercitare diritto di difesa. Bisognava dimostrarle perche' uccidere non e' atto di ritorsione proporzionato al furto. Oggi basta la violazione di domicilio per garantire la licenza di abbattere l'intruso. Questo assegno in bianco fornito al privato cittadino incoraggia l'istinto della foresta. Siamo soli nella notte buia, ognuno provvede per se'. Questa legge e' la dichiarazione d'impotenza da parte di uno stato dimissionario. Aumenta la soglia di pericolo della vita di ognuno, perche' ne abbassa il valore: puo' essere uccisa con piu' leggerezza, con larga impunita', e con i complimenti dello stato. Quello che non viene concesso neanche alla forza pubblica, di sparare senza causa di forza maggiore, e' invece autorizzato al singolo. E' la piu' pericolosa supplenza. Ognuno puo' nominarsi sceriffo di casa e appuntarsi una stele di latta sulla giacca. Per adeguare l'abbigliamento, a chi acquista due pistole (non si sa mai) viene dato in omaggio un cappello texano a larghe falde.
Come se si fossero dati un segnale hanno tosato il prato. Tutti nello stesso giorno. Come con un passaparola. Come per un'ordinanza comunale. Il piccolo paesino friulano sembra una presa di fieno. Se fosse possibile portarla al naso come tabacco sembrerebbe un vizio di tutti. Un quadrato dietro l'altro, un recinto e poi un altro. Tutte le case basse affiancate e affacciate sulla leccata di verde ordinato che le separa da una strada dove passano regolari le auto. Auto che vedono un paesino dietro l'altro senza saperli distinguere se non per un particolare della loro attenzione. Forse oggi il particolare è "il giorno in cui tutti hanno tosato il prato".
Sandra Petrignani oggi. Alla Biblioteca Giordano Bruno in via Giordano Bruno a Roma. Alle ore 18. Ancora parole sulla città continuando dall'intervista inclusa in PERDERSI A ROMA.
C'è un modo di chiamare fatto con un fischio, a Roma. Un fischio palatale non labiale. La lingua si accartoccia nella bocca semiaperta che lascia sfuggire un fascio di aria sibilante. A quel punto il "richiamato" si dovrebbe girare. Come se avesse sentito il suo nome, pronunciato nitidamente. C'è un modo di chiamare a fischio a Roma che nasconde un bel po' di supponenza mascherata da tanta pretesa familiarità. C'è anche un po' di sfida tutto sommato e tante altre cose illegibili o leggibili in un richiamo di pecore. Pur tuttavia qualcuno si gira e dà all'amico il suo sguardo, la sua attenzione come se fosse normalità aver tradotto il proprio battesimo in un soffio che stride.
Caro r.
sai qual e' la mia maggiore difficolta' nello scrivere? non essere in contatto con nessun altro che scriva. che bello dev'essere parlare di trame, time-line, finali... e anche essere letti e ricevere qualche consiglio.
oppure poter parlare del perche' nessun editore italiano pubblica raccolte di racconti (di italiani) che non siano 'coerenti'.
che poi che diamine vuolo dire coerente?
Hanno meso in giro quest'idea terribile, che i racconti debbano avere un filo conduttore... ma il filo c'e' sempre: sono scritti dalla stessa persona!
ho letto da poco la raccolta di racconti di murakami edita da einaudi; la quarta di copertina dice qualcosa tipo: 'sullo sfondo di ogni storia il terribile terremoto di kobe'. ebbene (mi piace 'ebbene') il terremoto e' un evento ingombrante, quasi invadente, appiccicaticcio. va bene nel primo dei racconti ma e' inserito con la motosega negli altri, mi da' l'impressione che murakami sia stato costretto a farlo (che abbia un editor italiano?). e un paio di racconti sono - lo stesso - SPLENDIDI: in uno un uomo che teme i frigoriferi sceglie di vivere nel luogo in cui puo' accendere falo' e fa un patto silenzioso con la sua giovane nuova amica, la morte; in un altro un ranocchio gigante salva Tokyo. Io posso solo dire che scrivere e' come vomitare e che se l'hai fatto nel water puoi anche tirare lo scarico e cercare di pulire il tutto, ma spesso non ce la fai ad arrivare al cesso e sbocchi dove capita e creare un filo conduttore tra una macchia di vino rosso e succhi gastrici e l'altra puo' anche non avere molto senso, tranne forse se il filo lo disegni pisciando birra (mammmmamia come sono volgare...). :)
be' chiudo qui :))
ciaoooo
e.
Caro e.
è una delle cose più importanti e dove si sente di più lo zoppicare (intendo quella di avere chi ti legge e ti dà consigli) per quel che mi riguarda io ho un editor quasi in casa direi anche se acquisito nella figura di un'amica che mi legge con professionalità ed è prezioso...mi sembra a tratti che la figura più decisiva sia in realtà quella di chi può garantire per te...proprio come quando prendi un mutuo e non hai uno stipendio fisso per comprare una casa o un frullatore (esagero?). Sì, esagero, il frullatore te lo compri e lo pubblichi un racconto anche senza garanzie ma in contanti...Su quello che mi scrivi sul pubblicare i racconti (insieme) c'è una specie di vizio ex ante - in Italia si legge poco (odio sentire l'espressione "non si legge"). Non c'è educazione alla lettura (non c'è a scuola né in televisione che è il nostro "doposcuola" e poi "perfezionamento") e il pubblico dei lettori forti (risparmio in sociologia facendone l'identikit che di certo avrai già visto in giro appeso) amano perdersi (è l'escape) in storie lunghe, avvincenti, avventurose, rocambolesche. Non sempre sono ingredienti della lettura più... Ecco, i racconti richiedono più aggiunte del lettore e non parlo di fantasia, di saper immaginare. I racconti spesso sono preghiere. Serve un atto di fede per leggerli. Chi legge i racconti ha la religione della letteratura ed è chi ha più fede che la pratica. Gli editori non è che non l'hanno ma sono sottomessi alla laicità del mercato e piuttosto che predicare nel deserto preferiscono rivolgersi a uomini e donne perduti nel bisogno della fantasia ipnotica di quattrocento o cinquecento pagine. Il resto è...
PS Non avendo letto Murakami ultimo mi sono astenuto dal commentare lo specifico ma - hai ragione - i racconti hanno sempre un filo. Interno. Non solo quello del bisturi di chi li ha operati.
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