Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 31/08/2006 @ 14:11:08, in diario, linkato 1431 volte)
Da questo rettile a questo rettile è estate. Poi non più. Dal muro percorso a palmi, in verticale, in orizzontale, a testa sopra o sotto è estate. Dopo no. Dopo ci sarà un buco in cui si rintana e un anno di altro. Un'estate ed ecco di nuovo un capolino da qualche anfratto, senza la luce, a fuggire, a nascondersi. Una gioventù curiosa (universalismi) e una vecchiaia indurita fatta di più circospezione. E' inutile fare la guerra del dentro/fuori. Questa è casa quello è terrazzo. Lì puoi stare tu qui no. Non serve. La strada si trova da soli (anche qui universalismi). Ma oggi che pure è un po' più fresco è sempre estate. Ed ecco un geco.
Di Carvelli (del 31/08/2006 @ 11:17:12, in diario, linkato 1523 volte)
Segnalo un articolo dal Corriere di ieri. Cosa e come tutelare cosa. Questo il tema dell'eccesso da diffusa virtualità. Ma il tema più morbido e di ricavo (meno truculento) è anche quello della protezione del diritto d'autore. Cosa fa di un autore un autore? Di un'opera d'ingegno un diritto da proteggere?
Paradossi della Rete. Internet, Delitti Senza Castigo
La proprietà privata nel cyberspazio non è protetta
di Veronesi Sandro Corriere della Sera (30 agosto, 2006)
Dunque è successo. Uno dei tanti problemi specifici del Web, che vengono discussi sul Web nella speranza di trovare una soluzione sul Web, è tracimato fuori dal Web, nella vita tradizionale, quella non virtuale, quella non connessa - quella reale, viene da dire, ma chissà se si può ancora. È successo a Shanghai. Protagonisti: due amici (Qiu Chengwei, 41 anni, e Zhu Caoyuan, 26), una spada chiamata Sciabola del Dragone, la polizia, la legge, il tribunale penale. È successo questo: Qiu ha prestato la sua Sciabola del Dragone a Zhu, ma Zhu non gliel' ha restituita: l' ha venduta e si è messo in tasca il ricavato, 7.200 yuan, equivalente a circa 700 euro. Qiu è andato alla polizia a denunciare il fatto, ma la polizia gli ha detto che non poteva far nulla. Allora Qiu si è arrabbiato e una mattina è entrato nella casa di Zhu e l' ha ammazzato a coltellate. La polizia l' ha arrestato, e il Tribunale lo ha condannato all' ergastolo. Fin qui, tutto normale. Il giudice, però, ha voluto sapere dalla polizia perché, quando Qiu è andato a denunciare il furto della spada, gli è stato risposto che non si poteva fare nulla: in fondo, il ladro non era ignoto, l' accusa era dettagliata. Perché? E la risposta della polizia è stata: perché la spada non era reale, era virtuale. Era un' arma conquistata nei combattimenti on-line, non esisteva, e per loro Zhu, cedendola in cambio di denaro, non aveva infranto nessuna legge. Ecco fatto. Ecco che la magagna esce dalla Grande Palude e comincia a riguardare tutti noi. Perché è vero che questi giochi on-line contano circa 30 milioni di utenti alla settimana, ma rimarrebbero ancora un mondo a parte, esteso, magari, e tuttavia circoscritto e isolato dal nostro, costituito da persone che preferiscono emozionarsi per esperienze simulate anziché reali; ma il concetto di proprietà, be' , quello è universale, e la sanguinosa reazione di Qiu ha reso appariscente un problema che fin qui conoscevano solo i fissati del Web: nel cosiddetto cyberspazio, così pieno di giochi, di simulazioni, di guerre, di territori e di oggetti virtuali cui viene riconosciuto un valore reale, la proprietà privata non è protetta dalla legge. La legge si è affrettata a difendere il diritto d' autore anche lì, ma non si è ancora preoccupata di difendere il più antico e intuitivo fondamento civile, su cui si sono basate praticamente tutte le violenze della storia. E questo non solo in Cina ma in ogni altro Paese del mondo: al momento portare via un oggetto virtuale a chi lo possiede non è un reato. Be' , se avessi 22 anni e fossi iscritto a giurisprudenza, ora saprei esattamente su cosa fare la mia tesi. Ma anche se fossi uno studente di sociologia, dopotutto, o di antropologia. Perché, come ho detto, questo della proprietà dei beni virtuali è un vecchio problema di Internet, e a questo problema la tribù del Web ha cominciato a dare soluzioni autarchiche, e arcaiche, tipo l' espulsione degli utenti scorretti dalle comunità di riferimento (ma a Zhu, evidentemente, questo non faceva né caldo né freddo), o l' istituzione di mafie (si chiamano proprio così, «mafie») che in cambio di denaro vero si preoccupano di difendere con disparati metodi le proprietà virtuali dei propri clienti (ma evidentemente Qiu non lo sapeva), e ciò è già interessantissimo: come si organizzi, cioè, una comunità abbastanza estesa, nella quale vengano effettuati scambi tra beni e corrispettivi in denaro (circa 880 milioni di dollari l' anno, secondo uno studio di un istituto di ricerca di Boca Raton, Florida, il giro d' affari di riferimento), e nella quale la legge non difenda la proprietà privata. Ma ancor più interessante, forse, è studiare come si può fare a difenderla. Fino a oggi la proprietà è sempre stata concepita nei confronti di oggetti reali (spade, terre, case, automobili vere, con una forma, un ingombro fisico, un peso e un volume); ora bisognerà sforzarsi di estendere questo concetto agli algoritmi e alle combinazioni di impulsi binari che generano gli stessi oggetti sugli schermi dei computer. E non si tratta solo di spade o di armi per i giochi di combattimento: esistono isole virtuali, sul Web, piene di animali virtuali, dove un giocatore può andare a caccia virtuale, dietro pagamento di una tassa reale. Come può fare la legge a difendere il loro proprietario dal pericolo che qualcuno, con il pirataggio informatico o carpendo la sua fiducia, se ne impossessi e goda impunemente del loro sfruttamento? È affascinante, perché bisogna rinominare tutto da capo. Ridefinire radicalmente il concetto stesso di «spada» o di «isola». Ogni cosa dovrà essere riconcepita in modo da poterla riconoscere tutta intera anche soltanto nella sua essenza, o nella sua effigie. La famosa pipa di Magritte, sotto la quale c' è scritto «questa non è una pipa» perché in effetti è il dipinto di una pipa, diventerà una pipa, almeno agli effetti legali, nel momento in cui, anche soltanto virtualmente, sarà possibile fumarla. È affascinante, sì. E difficilissimo. A meno che non si voglia continuare a fare come ha fatto la polizia di Shanghai, e sostenere che la pipa che A presta a B, e che B vende a C senza il permesso di A e senza dargli i soldi reali ricavati dalla vendita, ragion per cui A si arrabbia, e decide di uccidere B, e lo fa, realmente, quella pipa che C si ritrova adesso a possedere, e che può fumare nel suo gioco online ma anche vendere a D, ammesso che E non gliela rubi e non la venda a F, quella pipa lì continua a non esistere. Ma anche questo, sarete d' accordo con me, comporterebbe un bello sforzo.
Di Carvelli (del 30/08/2006 @ 15:02:20, in diario, linkato 1462 volte)
Questa invece è Gianna Maria Canale indimenticata diva di tanti film anni 50 ante e oltre. Qui in un profilo severo, peplum, il suo genere (non il mio genere). Ma che conosciamo anche in versioni più morbide ma comunque austere ed affascinanti. Dentro ci vedi gesti che non saranno più (non sono più e forse non sono mai stati se non nella cellulosa, nei fotoromanzi e nei romanzi che ci siamo immaginati): tipo fumare col bocchino, guardare un uomo come per mangiarlo con le labbra (i denti si sarebbero usati in anni a seguire), inghiottirlo in un vortice di passione. Già: vortici di passione. Come se l'attrazione (l'amore era il nome per iol tutto) potesse avvolgere in un turbine d'aria più che in una cavità. Luci che si spegnevano su questo vortice. Dissolvenze e in mezzo cosa? Le doppiatrici. Le stesse. Le voci leggermente stridule. Le parole volutamente severe di chi sa che si deve vincere subito per non perdere dopo. Anni fa era così.
Di Carvelli (del 29/08/2006 @ 15:07:09, in diario, linkato 2337 volte)
Di Carvelli (del 29/08/2006 @ 08:21:39, in diario, linkato 1372 volte)
Ieri su l'Espresso ho letto un'interessante dichiarazione di poetica (o meglio di lavoro) di Monica Ali. Fare ricerca sulle storie per poi inventare. Fare ricerca come un pretesto per poi abbandonare quel che si è scoperto e creare quello che ancora non c'è. Così, per sommi capi. Come a dire che cercare è come un presupposto (apparentemente) necessario ma da superare, trascendere nell'invenzione della storia. In copertina su un libro di Biondillo una frase lapidaria di Antonio D'Orrico (cito a memoria) a uno scrittore (di gialli? non ricordo) servono una città e dei personaggi e Biondillo li ha entrambi. La lista del "cosa serve" sembra sterminata e personale. Da qualche parte quest'estate ho letto (persino) una dichiarazione di poetica che suonava grosso modo così: io non invento nulla, racconto solo quello a cui ho assistito.
Di Carvelli (del 28/08/2006 @ 09:08:27, in diario, linkato 1400 volte)
(E su) La remissione, un magnifico racconto in cui l'autrice canadese ma da quasi sempre a Parigi Mavis Gallant ci fa seguire da vicino una malattia mortale (tutto il racconto è una "cronaca di una morte annunciata" o se preferite dilatata) e tutto quello che ne consegue a ricasco. Cambiano le vite attorno a questa morte come succede e cambia forse anche la morte attorno a queste vite mutate, fino alle laconiche e profetiche - una profezia e un'intuizione apparentemente a scarto ridotto - parole del condannato alla fine. Ecco allora la distribuzione del dolore e le sue conseguenze. Non sempre dal dolore nasce altro dolore e non è detto che sia un male (l'ovvietà, in questo caso, è che dal dolore si rinnovi dolore e si perpetui...si debba perpetuare...) ed è così per Barbara. Dire che è un male? Questo racconto meraviglioso si candida ad essere una delle mie reiterabili letture oltre allo scatto di una determinazione (debole per la mia poca pratica delle lingue) di una lettura di originali (proponimenti di tarda estate). Per ora mi sento affascinato dalla lucidità dello sguardo della Gallant, la sua assenza di moralismi, la sua capacità di osservazione, di scavo psicologico senza condanne. Si discute sulle differenze - per dire - da una Munro.
Ma è sempre vergognoso e improprio (di cattivo gusto) paragonare due bellezze, due abilità, due virtù. Ecco perché la Soria della Letteratura è spesso una campana di temerarie volgarità dottorali su chi ama leggere. Intanto è da dire che: il finale del racconto (le ultime nove o dieci righe) è superlativo; che rimane un senso di condanna nel destino futuro dei ragazzi e (purtroppo) mai lo conosceremo; che anche se Will ha detto "La morte senza Dio è vuota" se la Gallant non avesse letto nella mente del ragazzo il resto si sarebbe smarrito il peso del ragionamento per lasciare saggezza precoce e basta; che se in fondo Molly (saggezza precoce) ha capito che il futuro è già nei suoi quattordici anni magari non è un vantaggio brutale ma è fortuna casuale (un dolore non è spesso solo un dolore, insomma). Ma alla fine sono sopratutto belle (arrivano, segnano, modificano, convincono, incantano) le parole, perché questa è la letteratura. "Molly scosse la testa. Sapeva già come stavano le cose, a quattordici anni: non c'era alcuna libertà tranne che smettere di amare." (E mi piace pensare che questa frase sia filosofia buddista più che sconcerto e dolore così come che la psicologia sia un vestito troppo attillato per questa autrice, sottodimensionato per volgarità).
Di Carvelli (del 25/08/2006 @ 09:45:06, in diario, linkato 1373 volte)
L'estate trascorre nelle letture. Queste letture. Federico De Roberto I Viceré, un libro su cui pesa il giudizio negativo di Croce ma anche la geniale visione di Sciascia che parla di "democrazia ottica". Ma è una lettura ancora con l'omino e la pala, in corso. Prezioso è il libro della Mavis Gallant Al di là del ponte (fortunato incontro all'usato di Mel bookstore). Sono quattro meravigliosi racconti dal gusto fuori tempo e una prosa esatta di colore e di procedimento a vite e ad accumulo. Vi leggo un pezzo da La remissione: "Barbara capì, dal modo in cui la guardò, di aver iniziato il suo viaggio verso sud come moglie e madre dalla bellezza sfiorita, per giungere in un luogo dove il suo viso appariva esotico. Fino a quel momento aveva pensato solo che quella salita sul treno era una normale famiglia inglese, mentre poi ne era scesa la sua caricatura. La questione era sempre la stessa: l'occhio di chi guarda." E la questione è sempre quella sì, l'occhio di chi guarda. E lo sguardo che4 ho atteso giorno per giorno e da cui ho avuto calore letterario è anche quello del viaggio (giornalistico) curioso di Paolo Rumiz che ieri ha trovato una fine degna (degno finale e degno incipit dell'ultima tappa per chiudere in bellezza). Da leggere qui http://www.repubblica.it/2006/08/speciale/altri/2006appennino/tappa-24/tappa-24.html insieme a tutto il resto. E' stata una compagnia di tutti i giorni. Una giusta finestra sull'andare per monti e per persone, così, all'avventura e per sguardi.
Di Carvelli (del 03/08/2006 @ 11:50:42, in diario, linkato 1413 volte)
Sto leggendo Pynchon, L'incanto del lotto 49, edizione Einaudi, traduzione di Massimo Bocchiola. Perché non l'ho letto prima? Già, perché? Recupero e leggo ora. Prima pagina e già applausi a scena aperta e la scena è questa: io seduto su un lettino per la donazione di rossi (globuli) plasma. Donazione n.27 (qui almeno, in questo ospedale). Quindi l'applauso è impedito dalle cannule e gli aghi e gli infermieri e le macchine separatrici e... ecc. Applaudo lo stesso e continuo la lettura anche se - esangue - sono un po' incerto sul come e sul dove e sul quando. Poi riprendo e d'un fiato avanzo nella bellezza di questa prosa perfetta nell'equilibrio di dialogo e situazioni stranianti. Ora, per esempio, sono (letteralmente, anche se il me che legge si rifrange in un vagone-serpentone di metro) in una stanza d'albergo che sto per essere spogliato da un avvocato o sto poer spogliare una nominata esecutrice testamentaria ma, che io sia l'uno o l'altra, mi sto rivoltando in un bagno di schiuma per capelli mentre un'orchestrina improvvisata intona una serenata cupida. Ma ecco che chiudo il libro e scendo (dalla reverie, dalla metro, dal libro).
Di Carvelli (del 01/08/2006 @ 08:31:56, in diario, linkato 2025 volte)
Un libro è la sua copertina? Un libro è anche la sua copertina? Forse no ma la tara di questo cambio di immagine nell'edizione economica del libro della Munro (Nemico, amico, amante... che semplifica un titolo inglese forse per noi meno significativo, per noi oggi?) opacizza la bellezza della prima edizione (la bella fotografia di Fulvio Ventura della donna ad un caffè). La domanda è: è giusto che l'edizione economica mantenga l'immagine della prima? E' giusto che sia la versione low cost dell'altra? Vorrei fare la stessa dissertazione su Dance dance dance di Murakami o rivelare la mia affezione per Un cuore così bianco nella versione Donzelli. Inutili edonismi? Affezioni? L'altro giorno uno scrittore (durante una presentazione di Perdersi) sottolineava come solo ora gli è permesso di dire la sua sulle copertine. Lo diceva giustificandosi per l'immagine in copertina di uno dei suoi primi libri. Quanto è importante poter dire la propria sull'immagine in copertina?
Allego di seguito un'inchiesta di qualche tempo fa da www.librialice.it
Inchiesta - Quanto conta la copertina?
Che ruolo riveste la copertina in un successo editoriale? E abitualmente chi la sceglie? Abbiamo rivolto queste domande ad alcuni attori del mondo del libro: scrittori, editori, grafici. Le risposte costruiscono un quadro piuttosto completo della situazione italiana, ma anche di quella internazionale. Una linea sembra prevalere: la copertina ha un ruolo abbastanza importante nel lancio di un libro e ne può indicare i contenuti in modo addirittura stupefacente, ma può anche essere “respingente”. È una scommessa e un rischio, comunque una scelta in generale molto ponderata.
Gli autori
Abbiamo chiesto ad Antonia Byatt, scrittrice con particolare competenza in ambito artistico, che importanza attribuisce alla copertina, in particolare per il suo Natura Morta così evocativo già nel titolo, e se sceglie, almeno nella versione originale, le immagini che vengono proposte al pubblico.
Sì io richiedo che venga stipulato e precisato nel contratto una clausola che mi consenta di approvare la scelta della copertina. Tuttavia non credo che uno scrittore capisca sino in fondo il meccanismo del marketing editoriale che portano a una determinata decisione. È ridicolo che gli scrittori, come spesso fanno, portino fotografie fatte da amici... Io non lo farei mai, ma mi interesso di copertine e mi permetto di suggerire delle immagini. Nel caso di Zucchero, ghiaccio, vetro filato c’è un’immagine polare con ghiaccio e neve che sono stata io a suggerire dopo averla trovata in Norvegia. Ho visto che funziona molto bene su sfondo giallo (in edizione britannica) e altrettanto bene su quello bianco dell’edizione Einaudi. Non mi piacciono le fotografie utilizzate per le copertine, specie se sono ritratti. Con un’unica eccezione: è stato ristampato di recente negli Stati Uniti il mio primo libro, The Shadow of the Sun (L’ombra del sole) con una fotografia di due piedi: sono due piedi degli anni 50 e non si vede il viso perché la testa è completamente tagliata. È un’immagine che amo moltissimo, con quella luce che viene da dietro... Preferisco comunque riproduzioni di disegni e dipinti, come quello di Casorati della copertina italiana di Natura morta. Alcuni anni fa andai a Torino per un seminario alla scuola Holden ed ebbi occasione di cenare da Casorati. Questo quadro mi piacque talmente che lo convinsi a cedermi i diritti di riproduzione. Il romanzo che ha reso molto popolare in Italia David Grossman, Che tu sia per me il coltello, ha un ritratto in copertina estremamente evocativo, forse una delle concause del successo immediato del romanzo sul grande pubblico. Anche il titolo è davvero carico di suggestioni: lo scrittore israeliano ha sempre, anche nei romanzi successivamente usciti in Italia, mostrato particolare cura per questo tipo di scelte. Ma a chi va il merito di tutto ciò? Ecco come lo scrittore ha risposto:
La casa editrice mi consulta sia a proposito dei titoli che delle copertine, però mi fido del mio editor perché so che conosce gli editori italiani molto meglio di quanto li conosca io. Quello che posso dire è che so molto bene ciò che non voglio: ho sempre la possibilità di scegliere, per esempio, fra le fotografie che verranno messe sulle copertine dei miei libri. Conoscerete, forse, l’aneddoto che sta dietro la copertina di Che tu sia per me il coltello, questa storia sorprendente, stupefacente, che recentemente si è conclusa purtroppo con la morte della donna del ritratto. Quanto ai titoli: in ebraico i titoli dei miei libri sembrano bizzarri, quasi incomprensibili, ma è successo che dopo un po’ siano diventati frasi entrate nel linguaggio comune, quasi degli slogan, applicabili a diversi aspetti della vita. È successo per Il libro della grammatica interiore, è successo per Vedi alla voce: amore e anche per Ci sono bambini a zig-zag. Forse in Italia il clima, da questo punto di vista, è più conservatore. Per esempio, il titolo del primo racconto di Col corpo capisco (quello a cui ho accennato) è stato tradotto in italiano con “Follia”, in ebraico invece è una parola che ho inventato, cioè ho creato un neologismo, che letteralmente significa “render se stessi folli”, più precisamente ancora, “infiammare se stessi fino a portarsi al grado della pazzia”. È esattamente quello che fa Shaul, il protagonista. Mi chiedo come potrebbe mai essere tradotta un’idea del genere in italiano, ed è per questo che è stata scelta una traduzione forse più conservatrice come, semplicemente, “Follia”, che non copre, però, l’intero significato del neologismo ebraico. A uno scrittore italiano molto noto e amato, Giuseppe Culicchia, libraio in un passato non remoto, chiediamo quanto la copertina di un libro abbia importanza, secondo lui, nel determinare il successo o l'insuccesso di un’opera
Sì, in base alla mia esperienza di libraio devo dire che la copertina di un libro ha naturalmente la sua importanza nel determinarne il destino. Ricordo su tutti il caso dell'esordio di Banana Yoshimoto: Kitchen aveva una copertina molto bella, piena di giapponesine, capace di attirare l'attenzione del cliente e di incuriosire (come peraltro, va detto, il nome dell'autrice). Raramente l'autore ha la possibilità di scegliere la copertina. E, fermo restando che i grafici dovrebbero poter fare il loro lavoro di grafici, non sempre è un bene. Per quanto mi riguarda ho scelto la fotografia per la copertina del Paese delle meraviglie perché mi pareva che contenesse tutto il libro: vitalità dell'adolescenza, voglia di ribellione, innocenza, e però anche l'incombere di qualcosa. e poi c'era la quercia, insomma era a mio modo di vedere perfetta. non ho condiviso la scelta del lettering, ma non si può avere tutto.
A chiudere questa panoramica Elena Loewenthal, che ha scritto narrativa e saggistica, due generi che richiedono sicuramente un approccio grafico differente. Quale importanza attribuisce alla "giusta copertina" per il successo di un libro? Con quali criteri sono state scelte le sue copertine?
Ho un rapporto viscerale con i miei libri, per me la copertina viene come dire dopo tutto il resto. Però so che ci sono ragioni commerciali importanti e per questo mi affido sempre all'editore, che ne capisce più di me... Diciamo che cerco di rispettare le sue scelte, se non vedo proprio qualcosa che sento estraneo a ciò che ho scritto. Il mio editore mi sottopone sempre le prove di copertina, ne discutiamo democraticamente. Ma da parte mia cerco di rendermi conto che, per la scelta della copertina, l'editore ha di gran lunga più esperienza di me.
Gli editori
Particolarmente interessante il parere di Giulio Mozzi, che si colloca a metà strada tra quello dell’autore e dell’editore. In realtà riveste entrambi i ruoli, e può darci un’idea di come si compensino le esigenze e le scelte. Quale importanza può avere la "giusta copertina" per il successo di un libro per un autore-editore?
Non rispondo né come autore né come editore: ma come lettore. So benissimo che una copertina fatta in un certo modo può provocare l'estensione del braccio destro e la presa in mano del libro. Poi, ovviamente, nel libro ci si guarda dentro. Ma ci sono copertine che trovo respingenti (quelle con i pittori fiamminghi, quelle con il modernariato pop illucidito con Photoshop ecc.) e copertine che trovo attraenti (quelle di carta non patinata, quelle con piccoli segni fatti a matita, quelle con colori saturi ecc.). La copertina quindi è importante. (Lo stesso discorso vale per i dischi). Tornando all’attacco, come autore chi sceglie le tue copertine e, se le scegli tu, con quali criteri?
In dodici anni che pubblico, mi è successo di tutto. Per il primo libro di racconti (presso l'editore Theoria) proposi un'immagine, che fu accettata. Per il secondo (Einaudi), quando dissi che avevo delle proposte da fare mi dissero che non era affar mio. Per il terzo (Mondadori) l'editore mi fece una proposta che mi convinse subito. Per i primi due libri fatti in Einaudi Stile Libero, vidi la copertina quando mi arrivarono le copie a casa; per il terzo mi fu chiesta un'opinione, quando la espressi qualcuno si irritò, sul libro trovai l'immagine che meno mi andava a genio. Per il poema e l'ultimo libro di racconti (Einaudi) portai delle immagini e nessuno ebbe niente da ridire. Quanto ai criteri: non saprei dire. Secondo me non ha molto senso parlare di "copertina": è più giusto parlare di "confezione", includendo nella confezione anche il titolo. L'ultimo libro che ho fatto, a quattro mani con Dario Voltolini, Sotto i cieli d'Italia, ha un titolo che è stato generato dall'immagine della quale mi ero innamorato. Il criterio, se un criterio è, è questo: il libro è un oggetto, ogni sua parte deve corrispondere alle altre. Nelle vesti di editore invece come ti comporti? decidi tu, decidono gli autori, scegliete insieme?
Dipende. C'è l'autore propositivo, e l'autore che no. C'è l'autore ipercritico e quello al quale va bene tutto. In linea di massima decide il gruppo di redazione; accogliendo volentieri suggerimenti dell'autore; e tenendo conto delle sue osservazioni. Non credo che si possa stabilire un criterio. Una collana ha una sua logica grafica, immaginifica. Si può anche dare il caso di un libro per il quale sia impossibile trovare la copertina giusta, a meno di stravolgere la logica della collana. Eccetera. Tutto sommato, credo che sarei per l'improvvisazione, per il "volta per volta". Ma questo, in una casa editrice, è difficile (e rischioso) da fare... Un copertina “sbagliata” può danneggiare un buon titolo? Lo chiediamo a Luisa Sacchi, direttore editoriale della casa editrice Fabbri
Titolo e copertina certo sono determinanti nell'incentivare l'acquisto o al contrario nello sfavorirlo. Ma anche nel creare un'aspettativa di temi, tenore, sapore che potrebbero poi essere deluse. Quindi la scelta della copertina è un lavoro delicato e difficile: i criteri? leggere sempre il libro, pretendere che anche il grafico e l'illustratore lo facciano. Scegliere quindi grafici e illustratori che abbiano una vera passione per i testi. Non esistono compartimenti stagni nel nostro lavoro, la passione per la lettura, l'attenzione per il nostro lettore, il rispetto per il nostro autore devono vederci uniti. Non è importante chi sceglie: a volte l'editor, a volte il grafico, a volte l'autore, più raramente il direttore editoriale. È importante invece come si sceglie. È un lavoro infatti che richiede molta cultura, curiosità e ricerca. Bisogna poi avere in mente molte immagini per trovare quella giusta e amare la fotografia, l'arte, l'illustrazione, non solo la lettura. A Marco Zapparoli e a Claudia Tarolo, (gli editori marcos y marcos) che hanno sempre avuto copertine particolari e inconfondibili per i loro libri chiediamo “come” e “quando” nasce una copertina.
L'idea per la copertina in marcos y marcos nasce quando i due marcos – Marco Zapparoli y Claudia Tarolo - si rendono conto che è venuto il momento di pensarci e riescono a ricavarsi uno spazio bello sgombro da dedicare solo a quello. Si parte, naturalmente, parlando del testo: tentando di intuirne la tonalità, di lasciarne affiorare quadri e immagini. Attraverso un confronto sempre più serrato si arriva al soggetto vero e proprio, procedendo per tentativi, continuando a correggerci a vicenda fino all'idea che convince tutti e due. Che è sempre la somma di più idee. Entra in scena così Lorenzo Lanzi, dal 1997 disegnatore esclusivo della Real Casa. In un lasso di tempo che, a seconda dell’urgenza, va da tre ore a tredici giorni, Lorenzo prepara due bozzetti a matita. Lì si vede quanto ha raccolto dell’idea di partenza, dopo averci aggiunto e/o tolto del suo. A volte tutto si presenta già più che bene, e normalmente le copertine migliori sono quelle in cui la “trasformazione” avviene al primo colpo. Altre volte, occorre rifare. e rifare. e tri-fare. L’autore deve già fare l’autore: fatica non da poco. Per gli aspetti grafici e commerciali meglio riposare nelle salde mani dell’editore, che normalmente di queste cose si intende. Capita, naturalmente, che dica la sua; ma è meglio per tutti che non diventi una regola. Una copertina brutta può frenare le vendite, ma forse la cosa peggiore è una copertina sbagliata. Una copertina sbagliata può dare del libro, del suo contenuto, un’idea diversa da quel che è. Quindi, mette il libro nelle mani sbagliate. Il lettore si aspettava un libro completamente diverso! E il lettore deluso non consiglia poi a nessuno il libro: per noi questa è la cosa peggiore.
Il punto di vista dei grafici
Interessante vedere l’argomento anche dal punto di vista dei grafici che realizzano i disegni ideando un’immagine espressamente legata a quel titolo. Non dunque copertine ricavate da disegni o fotografie preesistenti, ma un lavoro fatto ad hoc in collaborazione con l’autore. È ciò che accade con le edizioni statunitensi di Haruki Murakami che collabora strettamente con i grafici delle case editrici Alfred A. Knopf e Vintage Books Haruki Murakami lascia molto spazio a Chip Kidd e John Gall che lavorano con lui da molti anni, fornendo loro il manoscritto del romanzo per permettere una lettura meditata del testo. La collaborazione è così riuscita ad “invadere” anche l’area editoriale giapponese: After the quake, con la colorata ranocchia, è diventata anche la copertina dell’edizione giapponese del libro. Segno evidente della soddisfazione dell’autore e della risposta del mercato editoriale. Come nasce il disegno di una copertina? Chip Kidd dichiara a proposito di una delle più fortunate dei romanzi di Murakami, The Wind-Up Bird Chronicle (L’uccello che girava le viti del mondo):
Murakami non descrive mai la forma dell’uccello protagonista, e in questo caso ho infranto una delle mie regole principali: ho realizzato un’immagine che rappresentasse il titolo alla lettera. Generalmente non si tratta di una decisione giusta, e può sembrare quasi un insulto al lettore. Cosa salva questa scelta specifica è l’astrazione. Nel romanzo quello che il narratore chiama “the wind-up bird” è molto presente anche se non si vede mai. Così ho realizzato un uccello così grosso che solo una parte di esso possa essere percepito singolarmente sulla superficie del libro. E per esprimere ciò che può celarsi dentro un simile uccello, ecco un buco che rimanda a un altro livello. A John Gall invece il compito di disegnare le copertine delle edizioni paperbacks. Secondo quali linee di lavoro?
I libri di Murakami sono contemporaneamente misteriosi, surreali e un po’ fantascientifici. Ha sviluppato temi antichi come donne scomparse, acque che scorrono, misteriose cavità del terreno. Così come molte azioni, che risultano essere normali, nelle sue storie vengono descritte in un modo particolarmente accattivante: preparare il pranzo, fare la spesa... Volevo copertine originali ma tranquille al tempo stesso. E volevo colori che richiamassero la cultura giapponese contemporanea. Alla fine ho realizzato con pochi elementi una grande quantità di disegni così come accade a Murakami, non dimenticando il gusto un po’ vintage, che anche lui possiede, per cose come il jazz e in whiskey. Quale la differenza sostanziale dal punto di vista grafico tra la copertina dell’edizione rilegata e quelle tascabile?
La grande differenza è che è necessario mettere più informazioni in una copertina più piccola destinata a un pubblico ancora più vasto. Oltre al titolo spesso vengono inseriti quote, una frase che richiami il successo di vendite della prima edizione, qualcosa sull’autore e talvolta su un premio vinto. Inoltre la copertina deve essere accattivante e richiamare l’attenzione del lettore, perché l’edizione economica non è supportata dalle recensioni.
Di Grazia Casagrande e Giulia Mozzato
Data dell'ultimo aggiornamento: 17 febbraio 2005
www.librialice.it/news/primo/inchiesta_copertina.htm
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