Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mentre camminiamo dice: “Senti”, e poi il mio nome, e io aspetto che mi dica che lei è qui e anche che tra noi è finita. Però non lo fa, e io ho la sensazione che lui in effetti intendesse dirmi qualcosa del genere, almeno dirmi che lei era lì, e che poi per qualche motivo abbia cambiato idea. Invece, dice che tutto quello che è andato male stasera è stato per colpa sua e che gli dispiace. Sta con la schiena appoggiata alla porta di un garage e il viso alla luce e io sto di fronte a lui con le spalle alla luce. A un certo punto mi abbraccia, così all’improvviso che la cenere della mia sigaretta si sgretola contro la porta del garage alle sue spalle. So perché siamo qui fuori e non nella sua stanza, ma non glielo chiedo finché non ci siamo calmati del tutto. Poi dice: “Non c’era quando hai telefonato. È tornata dopo”. Dice che l’unico motivo per cui lei è lì è che ha un problema e lui è l’unica persona con cui ne può parlare. Poi dice: “Non capisci, vero?” Torno a casa dal lavoro e c’è un suo messaggio: che non viene, che ha da fare. Richiamerà. Aspetto che si faccia sentire, poi alle nove vado da lui, ma non è in casa. Busso alla porta del suo appartamento e poi a tutte le porte dei garage, non sapendo quale sia il suo – nessuna risposta. Scrivo un biglietto, lo rileggo, scrivo un altro biglietto e glielo appiccico alla porta. A casa sono irrequieta e l’unica cosa che riesco a fare, anche se avrei molto da fare, visto che domattina parto, è suonare il piano. Telefono di nuovo alle undici meno un quarto e lui è a casa, è andato al cinema con la sua ex ragazza, lei è ancora lì. Dice che richiamerà. Alla fine mi siedo e scrivo sul mio quaderno che quando lui mi chiamerà, dopo, o verrà da me oppure non verrà e io mi arrabbierò, e quindi mi ritroverò o con lui o con la mia stessa rabbia, e questo potrebbe anche andar bene, visto che la rabbia è sempre una gran consolazione, come ho scoperto con mio marito. E poi continuo a scrivere, in terza persona e al passato, che chiaramente lei aveva da sempre bisogno di un amore, foss’anche un amore complicato. Lui richiama prima che io faccia in tempo a scrivere tutto. Quando chiama, sono passate da poco le undici e mezza. Litighiamo fin quasi a mezzanotte. Tutto quello che dice è contraddittorio: per esempio, dice che non ha voluto vedermi perché voleva lavorare e ancor di più perché voleva stare da solo, ma non ha lavorato e non è stato da solo. Non c’è modo di fargli riconciliare anche solo una delle sue contraddizioni e quando questa conversazione comincia ad assomigliare troppo a molte altre avute in passato con mio marito, lo saluto e riattacco. Finisco di scrivere, anche se ormai non sembra più vero che la rabbia sia di alcuna consolazione.
Lo richiamo cinque minuti dopo per dirgli che mi dispiace di tutto questo litigare, e che lo amo, ma non risponde nessuno. Chiamo di nuovo cinque minuti dopo, pensando che magari è andato in garage ed è tornato. Penso di prendere la macchina e andare di nuovo da lui e cercare il suo garage per vedere se è lì dentro a lavorare, perché è lì dentro che tiene la scrivania e i libri ed è lì dentro che va a leggere e scrivere. Io sono in camicia da notte, è mezzanotte passata e la mattina dopo devo partire alle cinque. Ciononostante mi vesto e mi faccio i due chilometri che mi separano da casa sua. Ho paura, quando arriverò da lui, di vedere davanti alla casa altre macchine che prima non avevo visto e che una di esse appartenga alla sua ex ragazza. Entrando nel vialetto vedo due macchine che prima non c’erano e una di esse è posteggiata il più vicino possibile alla porta, e penso che c’è lei. Scendo e faccio il giro della palazzina fin sul retro, dove dà il suo appartamento, e guardo dalla finestra: la luce è accesa, ma non riesco a vedere niente con chiarezza perché le veneziane sono semiabbassate e il vetro è appannato. Ma le cose dentro la stanza non sono uguali a come erano qualche ora fa, e prima i vetri non erano appannati. Apro la porta esterna a zanzariera e busso. Aspetto. Nessuna risposta. Lascio sbattere la porta a zanzariera e vado a controllare la fila di garage. Adesso, mentre mi allontano, si apre la porta alle mie spalle ed esce lui. Non riesco a vederlo bene perché nel vicoletto accanto alla porta è buio e lui indossa abiti scuri e quel poco di luce che c’è è alle sue spalle. Mi si avvicina e mi abbraccia senza parlare, e io penso che se non parla non è perché stia provando chissà che ma perché si sta preparando quello che dirà. Mi lascia andare mi gira attorno mi precede verso il punto in cui sono posteggiate le macchine davanti alle porte dei garage.
Cerco di ricostruire la cosa. Allora, sono andati al cinema e poi sono tornati a casa sua e poi ho telefonato io e poi lei se n’è andata e lui ha richiamato e abbiamo litigato e poi io ho richiamato due volte ma lui era uscito a prendere una birra (dice) e poi io ho preso la macchina e sono andata lì e nel frattempo lui era tornato con la birra e lei pure era tornata e lei era in camera sua e di conseguenza siamo rimasti a parlare davanti alle porte dei garage. Ma qual è la verità? È davvero possibile che sia lui che lei siano tornati in quel breve intervallo tra la mia ultima telefonata e il mio arrivo a casa sua? O forse la verità è che mentre lui mi telefonava lei aspettava fuori o in garage o in macchina e che poi lui l’ha fatta entrare di nuovo, e che quando il telefono ha squillato per la mia seconda e terza chiamata lui l’ha lasciato squillare senza rispondere perché non ne poteva più di me e dei nostri litigi? O forse la verità è che in effetti lei se n’è andata e in effetti è tornata dopo ma invece lui è rimasto e ha lasciato squillare il telefono senza rispondere? O forse l’ha fatta entrare e poi è uscito a comprare una birra e intanto lei lo ha aspettato lì e ha ascoltato il telefono che squillava? Quest’ultima è la meno verosimile. E comunque non credo che ci sia stata alcuna spedizione per la birra. Il fatto che lui non mi dica sempre la verità certe volte mi fa dubitare che sia sincero, e allora mi sforzo di capire da sola se quello che mi dice è vero o no, e a volte capisco che non è vero e a volte non lo so e non lo saprò mai, e a volte solo per il fatto che lui me lo continua a ripetere mi convinco che è vero perché non credo che ripeterebbe tanto spesso una bugia. Forse la verità non è importante, però vorrei saperla anche solo per poter giungere ad alcune conclusioni riguardo ad alcune domande, quali: se è arrabbiato con me o no; se lo è, allora quanto; se la ama ancora o no; se sì, allora quanto; se mi ama o no; quanto; quanto è capace di ingannarmi nei fatti e dopo i fatti a parole.
Questo è il primo racconto della raccolta Pezzo a pezzo di Lydia Davis (Minimum fax - Trad. Adelaide Cioni). Ve ne avevo già parlato. Il racconto si chiama Storia. Mi piacerebbe che ogni tanto questo racconto possa essere riletto - magari nella sua integralità - quando le cose (le storie) vanno a pezzi come succede alla tazzina in copertina. Perché prima o poi le cose vanno a pezzi e rimetterle su non è affar da poco. Perché è l'affare della vita: un affare che non sempre ci piace. Qual è l'affare che non ci piace? Rincollare? Ritrovare i pezzi? Bere da una tazza sbeccata? Comprarne un'altra ma conservarla?
Io sto qui. Come un anacoreta, come un santo. Come il migliore dei peccatori in circolazione. Il più serio, il più dedito al suo vizio. Il più virtuoso, dunque. Oggi è lunedì e bevo caffè. Guardo dalla finestra per vedere se qualcuno mi guarda. Nessuno mi guarda. Non guardo più nessuno. Sto qui.
Da www.mattatoia.splinder.com
anche questo bisogna fare, precedere il diluvio ma lo stesso non porti in salvo le scorte alimentari e gli animali per la tua sopravvivenza
Di Carvelli (del 17/06/2008 @ 09:20:26, in diario, linkato 1253 volte)
Stamattina il cielo è una glassa. Distribuita alla meglio e al contrario sopra il celeste. Di tutte le stanchezze che contiamo nessuna vale quanto quella che non ha riposo o che lo attende invano. Così pareggiamo il conto attenendoci ai minimi sforzi che possiamo.
Di Carvelli (del 17/06/2008 @ 14:54:20, in diario, linkato 1885 volte)
Questo discorso (questa breve parte di esso) lo pronuncia Eugenio Montale all'atto del ricevimento del Nobel. Era il 1975.
Ho scritto poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e persine disoccupato per riconosciuta insufficienza di fedeltà a un regime che non poteva amare. Pochi giorni fa è venuta a trovarmi una giornalista straniera e mi ha chiesto: come ha distribuito tante attività così diverse? Tante ore alla poesia, tante alle traduzioni, tante all'attività impiegatizia e tante alla vita? Ho cercato di spiegarle che non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale. Nel mondo c'è un largo spazio per l'inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell'inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovannissimi.
In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione o una malattia assolutamente endemica e incurabile.
Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una mercé. Essa è una entità di cui si sa assai poco, tanto che due filosofi tanto diversi come Croce storicista idealista e Gilson cattolico, sono d'accordo nel ritenere impossibile una storia della poesia. Per mio conto, se considero la poesia come un oggetto ritengo ch'essa sia nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale (parola) ali martellamento delle prime musiche tribali. Solo molto più tardi parola e musica poterono scriversi in qualche modo e differenziarsi. Appare la poesia scritta, ma la comune parentela con la musica si fa sentire. La poesia tende a schiudersi in forme architettoniche sorgono i metri, le strofe, le così dette forme chiuse. Ancora nelle prime saghe nibelungiche e poi in quelle romanze, la vera materia della poesia è il suono. Ma non tarderà a sorgere con i poeti provenzali una poesia che si rivolge anche all'occhio. Lentamente la poesia si fa visiva perché dipinge immagini, ma è anche musicale: riunisce due arti in una. Naturalmente gli schemi formali erano larga parte della visibilità poetica. Dopo l'invenzione della stampa la poesia si fa verticale, non riempie del tutto lo spazio bianco, è ricca di « a capo » e di riprese. Anche certi vuoti hanno un valore. Ben diversa è la prosa che occupa tutto lo spazio e non da indicazioni sulla sua pronunziabilità.
L'intero.
Di Carvelli (del 17/06/2008 @ 16:25:10, in diario, linkato 1193 volte)
Di Carvelli (del 18/06/2008 @ 09:25:17, in diario, linkato 1276 volte)
Lui ha l'aria compassata e ha fatto tutti i capelli bianchi. Lei si è vestita colorata stamattina. La spazzatura l'ha buttata lui. Hanno l'aria stanca ma è fine stagione. Ancora devono decidere cosa fare quest'estate ma forse vanno al paese di lui. Stamattina proprio non ingrana. Non parlano: camminano e si lanciano due parole per uno come se prendessero a calci una lattina. Un calcio per uno e avanzano. Non si dicono nulla d'importante. Ora lei gli ha detto che fa le patate fritte e lui ha sorriso come se ricordasse l'infanzia. "Tu quando torni?" e hanno detto ognuno un numero. Uno ha preso la metro in una direzione l'altra nell'altro. Si rivedranno stasera.
Di Carvelli (del 18/06/2008 @ 14:05:50, in diario, linkato 1256 volte)
L'autrice che rimane in forma anonima manda un possibile seguito di Lui Lei. E' bello e posto.
E a cena le patate fritte stanno nel piatto al centro della tavola. Lei aspetta seduta che lui rincasi. Dopo pochi minuti, eccolo, sulla soglia della porta con un sorriso sospeso, che vuol dire: sono qui, grazie, ho paura, aiutami. Ha sollevato la mano dove tiene stretta per il collo una bottiglia di vino rosso. Vanno a tavola, lui sembra sempre sul punto di cominciare a parlare. Ma non lo fa. Vieni, andiamo in giardino, dice lei. Il profumo di gelsomini nella notte placida le dà una stretta al cuore. Quando ha cominciato a vivere con il freno a mano?, le viene questa immagine, lei che non ha mai guidato! Quando ha iniziato a tenersi tutto dentro, a non dire le cose che sente e a dire invece esattamente il contrario? Quand'è che si è distratta, cosa è successo, dove, in che momento della vita si è aperto, si è allungato lo strappo? Guarda, il limone ha messo le foglie, ha sussurrato lui alle sue spalle, con voce tranquilla.
Di Carvelli (del 18/06/2008 @ 14:08:44, in diario, linkato 1203 volte)
Dice che va a intervistare questa scrittrice. Mi chiede se la conosco. Solo di nome, dico. Mi chiede se l'ho mai letta. No, dico, perché tu? Io sì. E com'è? Mah: non mi sembra che aggiunga nulla al panorama della letteratura italiana. Le dico che è proprio quello il segreto: lasciarlo intatto quel panorama. Pubblicare il non-letteratura italiana. Scherziamo. Forse lo fanno per non dover aggiornare il trivial pursuit. O le antologie scolastiche?
Di Carvelli (del 19/06/2008 @ 09:32:37, in diario, linkato 1304 volte)
E' un po' che non lo facevo. Ecco un bel pezzullo dalla Catena di San Libero del bravissimo Riccardo Orioles.
Vivo-morto-chissà
È una roulette russa. Nessuno può sapere a chi toccherà, ma è certo che tutte le mattine, in Italia, tre-quattro lavoratori escono di casa per andare in fabbrica, o in cantiere, e rientrano in una bara (incidenti d’auto esclusi). L’11 giugno i morti sul lavoro sono stati undici: i sei asfissiati in una vasca di depurazione del Comune di Mineo (Catania), poi uno a Imperia, Udine, Nuoro, Modena, nel Monferrato. Le chiamano “morti bianche” per evitare che si parli di omicidi. Nessuno ha mai pagato. Il giorno dopo la strage di Mineo, il ministro Sacconi, ha convocato le parti sociali annunciando piani straordinari. Poi si è scoperto che il vero obiettivo è abolire le sanzioni nei confronti degli imprenditori che non rispettano le norme di sicurezza. Fa venire i brividi, ma è così: l’Italia è un grande palcoscenico dove attori di quart’ordine recitano una commedia dell’assurdo.
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