Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Rivedendo Once upon a time in America - chissà per quale ennesima volta - mi accorgo solo ora, davvero solo ora, che il rapporto tra i due protagonisti è improntato sulla diffidenza. Non proprio: un intrico di diffidenza, adorazione, complicità, competizione, (e pure) diversità. Alcuni piccoli gesti (quello che mettono le mani sulla valigia nel giuramento di lealtà, la scena dell'orologio da tasca rubato...) rivelano da subito che Noodles sa già come andrà a finire questa storia. Lo sa, eppure... Lo sa e la vive. Come succede che si pensa così: andrà in questo modo, finirà così, alla fine lui o lei farà questo. Tutta una casistica di premonizioni che non si ha coraggio per liberare alla luce. No, forse è solo che nella vita è bello vedere andare le cose nella direzione del destinato. O è una scommessa? Persa?
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Dopo era tutto come sempre era stato. Che io ero lì solo a pensare alle cose mie. Tutt'intono brulicavano pensieri e cose di altri. Mi contavo - forse pure mi contavano -, facevo il vuoto di quello che era stato prima. In fondo si poteva riniziare, pensavo. Magari tutto quello che era stato prima poteva tornarmi utile. C'era un filo di vento, c'era un filo di sole. C'erano pensieri sempre più leggeri. Dico: è questo il momento. Dopo... Dopo, non sapevo più dire.
S. ieri era sicura "noi donne mettiamo solo il desiderio, niente altro, solo il desiderio. Voi uomini mettete il bisogno" e si riferiva all'amore, allo stare insieme (al desiderio dello stare insieme). Era sicura S. Non ho detto nulla non avendo certezze al riguardo. Dopo, era tardi, c'era un tizio a casa di un amico che sarebbe rimasto a dormire lì. Aveva comprato uno spazzolino e un dentifricio: riniziava da lì. Prima c'era stato come evidente qualche litigio e un aut aut. L'aut che aveva scelto (ma perché si dice aut quando non c'è scelta?) era la casa del mio amico. La serata è passata così. Diceva L. "ma perché devo cambiare se ho 50 anni e ho vissuto bene fino ad adesso? perché devo vedere male il mio passato, la mia famiglia, perché devo odiare i miei, perché non posso invece continuare a mantenere i bei ricordi della mia infanzia?" Ci dilunghiamo sui pessimi effetto della psicanalisi. Gli effetti di ritorno. Alla fine ore 2 non arriviamo a un punto. La mostra di foto (fstival della fotografia) sono tanti scatti minimi che nella notte ritornano come sogni che non ricordo.
BUONA LA SECONDA. La prima impressione non è quella che conta di Roberto Carvelli(03/06/2009) Non è vero che le cose succedono solo la prima volta. Non è vero che il dopo è solo la corruzione del prima. Fatto 1: il trailer del recente film di Marco Bellocchio, Vincere, mostra gli ormai consueti attacchi di isteria a cui ci ha abituati Giovanna Mezzogiorno. Li abbiamo conosciuti con L'ultimo bacio e non ce ne siamo più liberati. Il tutto ha formato de visu un po’ di disappunto. Ora la sentiamo strillare come un’ossessa “Mussolini” e vediamo lui, il dittatore (Filippo Timi), rispondergli con un ghigno grottescamente ridicolo. Guardo il trailer e penso: non andrò mai a vedere questo film: è la prima impressione. Fatto 2: c'era stato un gran parlare del passaggio di una promettente scrittrice napoletana, Valeria Parrella, all’Einaudi. Si era parlato di cifre astronomiche, si era detto di inevitabili successi. All'uscita del suddetto libro, Lo spazio bianco, sono stato assalito, al fianco del contemporaneo tributo di osanna, da una tamburellante campagna denigratoria: il libro è frutto di un editing sin troppo invasivo che le ha strappato la freschezza degli esordi. Uno più uno due: non lo leggerò mai. Questa settimana ho visto il film Vincere e ho completato la lettura de Lo spazio bianco, pur senza averlo acquistato. A dispetto del trailer il film di Marco Bellocchio non è, come temuto, ridondante, eccessivo. Al limite espressionista ma è un colore d'autore che riconosciamo e che amiamo filmicamente in questo regista dall’abbandono degli psicologismi di anni fa. Il film esce con un tempismo (forse non del tutto casuale) a ricordarci i prodromi apparentemente “umani” di una feroce e degradante dittatura. Mai come questa volta Giovanna Mezzogiorno mette al servizio del film il suo carattere. Le righe fra le quali s’immalinconisce o soffre, o strilla o digrigna o si abbandona sono alla equidistanza tra quello che è interpretare e quello che dovrebbe sempre essere verosimigliare (si perdoni il neologismo). Timi è par suo. Ma mi permetto di insistere sull’attrice per rimarcare una riabilitazione, per sottolineare una grazia che le auguriamo di non perdere. Anche il libro di Valeria Parrella - e siamo al Fatto 2 - merita lo stesso bagno di sgravi. E’ la storia ben raccontata di una professoressa di corsi di recupero e per immigrati, primipara, alle prese con un parto difficile (anche per essere frutto di un’unione subito mozza) e prematuro, successivi travagli e attese della vera (ri)nascita della piccola Irene dal plexiglass della neo-placenta all’aria e al biberon. E’ vero che questa volta la scrittura è sincopata, contratta, pensosa (e forse sì il lavorio degli editor ci ticchetta nelle orecchie) ma tutto è al servizio di una storia che tiene dappertutto e ovunque sborda. Le due cose, esserci e disarginare, rappresentano al meglio la condizione umana di chi si avvicina e si allontana, suo malgrado, dalla condizione umana. Che poi, se ci pensate, è La Condizione Umana. La prima impressione non è quella che conta. Fatti N. Così, alla rinfusa. La prima volta che ho visto mia madre e che ho pensato che mai sarebbe morta. Non l’ho pensato, in verità, ne ero certo. Non era un regalo a cui si disponeva la mia generosità, né una forzatura della stima: era così e basta. Di me non ho pensato altrettanto: sarò morto e rinato almeno mille volte e non sempre senza dolore. Temo che andrà avanti così per un po’ e, alla fine, ci ho fatto il callo, anzi mi piace pure. Anche il primo amore non sarebbe finito. Certi politici – un certo politico – prima o poi si sarebbero rivelati per quello che era, a dispetto del “buona la prima” della sua guittezza in onore del nostro immediato avvertimento del male. Pensiamo per giorni, lavoriamo per anni. La vita, a nostro dispetto, agisce per attimi e insieme descrive ere con una facilità di visuale a cui accediamo con sovrastanti difficoltà e non senza essere invasi da una saggezza prospettica che la nostra finitezza umana ci allontana costantemente (davvero un bell’esercizio, il migliore davvero, se si ha la forza di scegliere questo sport così survivor). “Non c’è congruenza” dici? “Non c’è comprensione” pensi? Forse sì. Forse si tratta solo di aspettare. Meglio sarebbe non con le mani in mano e facendo lavorare a tutta forza le nostre capacità. Ma, nel frattempo, è bene ricordarselo, senza fidarsi troppo della prima idea. Questa è la bellezza seconda della vita.
www.amiciperlacitta.it
Di Carvelli (del 09/06/2009 @ 17:03:21, in diario, linkato 1065 volte)
Succederà anche a te che qualcuno ti chieda scusa e ti chiederai “di che?”. Succederà che è tardi e che è meglio andare a dormire, che domani è un’altra giornata di lavoro. Insieme penserai a tutte le cose che nella vita non sono andate come dovevano andare. Ma il pensiero non ti darà più dolore come se fosse l’ultima ora della tua vita. Sai che c’è, ti dirai dandoti del tu e chiamandoti per nome, ce l’hai messa tutta, non hai nulla da rimproverarti. Hai provato, hai tentato, non era il caso. Non eri tu, non era lei. E un po’, sì, ti dispiacerà ma è andata, penserai. Una sera qualsiasi. Un giorno di un anno qualsiasi. Avremmo potuto. Avremmo dovuto. Un giorno. Un anno. Ecco qua: nel tuo giorno ultimo di vita, quello che pensi sia l’ultimo giorno, qualcosa ti starà ricordando errori, assenze. Beh succederà. Non prenderla male, la vita fa così. Hai provato, hai tentato. Lei, era lei. Lui, era lui. Ma non è andata così. Tutto sembrava dover andare in quel modo ma non è andata. E’ tardi per pensare che c’è qualcosa ancora da fare. Non è più il tempo per pensare che forse può ancora cambiare. Che peccato, pensi, sarebbe stato bello se tutto fosse andato in quel modo lì: lei e te, lui e te. Niente da fare, niente fatto. Ti metti il cuore in pace, ti giri dall’altra parte e dici addio a tutto.
Di Carvelli (del 09/06/2009 @ 17:06:00, in diario, linkato 1213 volte)
Di Carvelli (del 09/06/2009 @ 17:37:32, in diario, linkato 1246 volte)
Di Carvelli (del 10/06/2009 @ 09:49:35, in diario, linkato 1206 volte)
Visto ieri sera. Consiglio. Le Père de Mes Enfants di Mia Hansen-Løve. Regista giovanissima capace di un'opera (seconda) matura, intensa, sobria. Un film convincente e pieno di dimensioni, una felice compinazione di ottima sceneggiatura, una superba prova di recitazione frutto di una saggia direzione degli attori. Le bambine e la ragazza sono bravissime e poi fa sempre piacere rivedere la Caselli. Quando succede, spesso, è per il bene di un film.
Di Carvelli (del 10/06/2009 @ 15:23:48, in diario, linkato 5553 volte)
Sparire per ricomparire
di Roberto Carvelli
“Pochi giorni fa mi è arrivata, per via indiretta, una cartolina da San Antonio, Texas”. Chi scrive è Pier Vittorio Tondelli, indimenticato scrittore italiano a cui si deve la vera ripartenza di una letteratura contemporanea italiana nonché un brogliaccio di nomi perché essa si perpetuasse negli anni successivi nonostante la prematura scomparsa dello scrittore (frutto dello scouting delle sue antologie under 25). E’ lui che riceve la cartolina; è a lui che, in risposta a una sua recensione, scrive Carlo Coccioli. Peregrino tra Francia – in cui cerca di scampare per il livore del predominio nelle Patrie Lettere di Moravia – e Messico dove muore nel 2003. Tondelli fu estimatore di Coccioli che poi incontrò. Ora, grazie a Giulio Mozzi – anche a questo scrittore padovano dobbiamo un simile lavoro di messa in sicurezza dal rischio di annichilimento della letteratura – e a un nipote di Coccioli, questo autore riprende vita dopo tanto silenzio. Succede con il libro Davide (1976, ora Sironi € 17), finalista al tempo del Premio Campiello, autobiografia in transfert dell’eroe biblico su cui lo stesso Tondelli aveva messo in guardia dalla lettura ardua. Coccioli, come suggerisce Tondelli, è scrittore talvolta dell’esplosione del dettaglio ma interessante (“la sua ossessività, piace ugualmente”). Quello che interessa in Coccioli è la sua capacità di rilettura del mito in Ego. Un Ego a volte doppio o plurimo: “Non vi è mai stato un solo Davide: sempre ce ne sono stati due. Eravamo (siamo?) racchiusi in un solo corpo, ammirato per quanto lo si trovava bello (...) i nostri affanni (...) Consistevano nel sapere chi fosse chi: chi dei due Davide fosse Davide...” Coccioli (era questa ora la voce del suo Davide), oltre che per “lettori forti” come da definizione di Tondelli, non è autore consolatorio, nuova prova del nove per lettori non disposti alla facilità. La sua è una letteratura dell’eccesso dove si vive di continuo nel doppio e nell’incerto quello che gli fa leggere nell’eroe della Bibbia l’angelo e l’animale (“dualità funesta”). Mi piace pensare (non avendo letto altri libri e desiderando che vengano riportati alla luce; tra essi c’è anche una biografia di Buddha e un Piccolo karma che cercherò di procurarmi quanto prima) che il lavoro sull’Io e sulla sua doppiezza o complessità, sulla spiritualità, sia una traccia continua della sua opera, intesa anche come “necessità della funzione sociale” a cui si richiama, e a cui chiama lo scrittore, Coccioli (lo leggo in un saggio sullo scrittore dedicatogli dal Mercure de France nel 1952 a dimostrazione della attenzione non recente dell’universo mondo letterario). Lo scrittore, nato a Livorno nel 1920, fu anche autore di un contestato e ostacolato romanzo di tematiche omosessuali: Fabrizio Lupo (in Francia nel 1952 non senza ostracismi lì e altrove fino all’edizione italiana del 1978 e analoghe reticenze) di cui leggo per voce di Mozzi, che scrive un’appassionata ouverture bibliofila, aperto alla trascendenza (anche qui ho conferma che sia tematica ideale più che spunto narrativo). Quello che dà gioia in questa riscoperta post-mortem di Coccioli è comunque la capacità di durare della letteratura, la sua grande potenzialità temporale. I libri non muoiono anche se non danno, apparentemente, più segni di vita. In letteratura nulla scompare per morire: va solo in una latenza sempre pronta all’emersione. L’autore del miracolo è il lettore. Il lettore appassionato, quello che conserva i libri e li legge, la funzione principe della sua piccola religione. E’ bene ripetersi questa capacità dei libri in tempi in cui le regole le fa il fariseismo del commerce. La verità dei numeri non è nella diffusione milionaria. Il numero che conta è il 2, il piccolo ponte a sponde tra scrittore e lettore. Un raddoppio, il segno in una unione semplice ma potenziabile, l’unico gesto che fa funzionare e durare le parole delle storie. Il rapporto esclusivo dell’a tu per tu è la vera assicurazione della durata dei libri, quella che manca spesso nell’indeterminatezza del ponte incerto e provvisorio che dalla base missilistica dell’editore blockbuster cerca di raggiungere l’universo-acquirente più che l’universo-lettore. E’ a due che si gioca la partita della lettura e il primo a saperlo doveva essere proprio Coccioli alla continua presa con l’altro da sé fino al mito e alla trascendenza.
PS Aggiungo questa nota dopo aver comprato su internet e ricevuto il prezioso Piccolo karma (Baldini&Castoldi), il cui sottotitolo recita Minutario di San Antonio in Texas. Scrivo “prezioso” perché intendo che qua dentro c’è il senso della vera spiritualità e mi rimarrà attaccato addosso, lo capisco da subito e me lo confermo divorandolo. La felicità di una ricerca che inizia dall’assunto “Vorrei non avere scritto tutti i libri che ho scritto. Vorrei averne scritto soltanto uno: semplice, chiaro, preciso, definitivo. Vivo con la pena di non essere stato capace di scriverlo.” In realtà per un fausto contrappasso questa dichiarazione di sconfitta finisce per esserlo d’intenti e leggete uno dei libri più essenziali che vi possa accadere d’intercettare. Senza saperne nulla. Per caso. Così come s’intercetta per caso (ma dopo sforzi lieti, sinceri e instancabili) l’illuminazione.
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