Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Conoscete forse la mia debolezza per Robert Walser. Credo di averla esplicitata spesso qui. In Walser ammiro un tono vagamente incantato, addolcito dall'osservazione delle cose. Come se l'esistente fosse foriero di piaceri piccoli e inattesi ma anche di brucianti perplessità come in questo racconto di cui vi parlo oggi. Si intitola La novella italiana (ed è in Pezzi in prosa) ma il gioco è: sostituire al titolo qualsiasi cosa vi susciti un senso di soggezione ideale.
Ho serio motivo di chiedermi se piacerà una storia che narra di due persone o personcine, ovvero di una graziosa, amabile fanciulla e di un bravo e buon giovanotto (nel suo genere almeno altrettanto amabile) che si trovano nella più bella e intima relazione di amicizia reciproca. L'amore tenero e appassionato che sentivano l'uno per l'altra somigliava, per calore, al sole estivo e, per purezza e castità, alla neve decembrina".
Così inizia Walser. Ma poi si annida nel racconto un'ombra che è alla fine una luce. La luce della novella italiana che fa dire al Lui della storia che mai potrà essere eguagliata dal loro amore. Salvo l'happy end in cui l'amore reale supera la pur abbagliante bellezza del racconto italiano. E ho pensato a quanto un master o un credo esterno sia esso televisivo, cinematografico o letterario (e, comunque, d'invenzione) possa compromettere la riuscita di tanti amori imbarazzati da una formazione idealistica.
Non ti spaventare. Non avere paura. Non è la prima volta: che mi sento dire queste frasi in riferimento a cose sentimentali. Mi chiedo: ma perché qualcuno pensa che sia fonte di terrore il fatto di ricevere attenzioni affettive da parte sua? Mi rispondo che forse è perché le attenzioni affettive suscitano spesso panico. In certi casi è davvero un assioma. Ma “mi domando2”: perché nessuno si accorge quando davvero suscitano sgomento, quando davvero atterrisce l’idea o solo l’ipotesi di questa attenzione? Quando è davvero spaventevole. Davvero spiazzante, imbarazzante. A queste due domande non ci sono risposte coerenti. In definitiva, si potrebbe concludere che la paura del rifiuto cautelativamente fa avanzare mozioni d’ordine. Tipo: occhio, adesso ti sto facendo oggetto delle mie attenzioni, ti potrà succedere di conseguenza di provarne un sensibilissimo fastidio; tranquillo è solo paura. La mia mozione d’ordine è invece: ho paura di non riuscirti a spiegare che la mia paura è di non riuscirti a spiegare che non ho paura e che solo vorrei sapere come se ne esce da questa tua paura e soprattutto dalla mia di non riuscirtelo a spiegare? Mi spiego?
L'altroieri credo c'era un'intervista ad Alan Bennett (su laRepubblica) di cui lessi un libro che non mi era particolarmente piaciuto nonostante l'esaltazione di chi me lo consigliava (La cerimonia del massaggio). Questa nuova uscita (Una vita come tante) mi tenta e rivedo la mia posizione ostracistica. Forse lo acquisterò. Dicevo, l'intervista. Enrico Franceschini chiede: "Un altro critico inglese nota che questo suo libro esalta la dignità delle vite anonime, delle esistenze di poco conto". Bennett risponde: "I miei genitori erano persone così. Non pensavano di valere molto, ma non se ne dolevano. Non avevano grandi aspettative. Non sarebbero mai voluti finire in prima pagina. Oggi si pensa che, se uno non ha 15 minuti di fama, magari in tivù, è come se non esistesse. Se c'è un aspetto di cui essere nostalgici, riguardo al passato, è questa capacità di essere contenti anche restando ai margini, senza bisogno di dare nell'occhio".
Dovremmo tutti saper volare a pelo d'acqua o sotto. A dispetto della nostra naturale goffaggine, con una sorprendente facilità. Il ricavo quasi casuale di un tuffarsi così come si è contro qualcosa che è più grande e vasto di noi. Per noi. Magari vista da fuori una ginnastica non particolarmente articolata e ridicola ma efficace. Ho ripensato a tutto questo rivedendo Sabrina con Audrey Hepburn. Se il mondo si dividesse in Monroiani e Hepburniani io starei sempre con i secondi. Avete presente? La romantica Sabrina che crede nell'amore a dispetto delle impossibilità determinate dal suo status sociale. Sbaglia, perde (o sembra perdere) e nel perdere conquista. Tutto succede quando scopre che può tuffarsi com'è (nell'amore), senza cercare altrove quella sicurezza che non ha di partenza. Lo scopre altrove (a Parigi) e lo riporta nel mondo fatato e ingenuo a cui prima aveva però un accesso ridotto (fatto di inutili incantamenti) e in cui scopre poi di avere un accesso totale. Quando smette di aspettare, sperare che qualcosa accada fuori di lei solo allora è capace di farlo accadere. Per due volte e la seconda è la volta giusta (perché è vera e non è esterna, mitizzata). penso a questo quando penso al miracolo dell'essere semplici.
Di che cosa ha bisogno Irene? Irene ha bisogno di una sosta, di qualcosa di dolce, di una pausa prima di arrivare al suo concerto. Irene è stanca, spossata dal viaggio. Persino la voce le è calata. Irene non ce la fa più. E anche noi, tutto sommato.
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